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STORIA: I MAESTRI: RELIGIONE ISRAELITICA

24 Dicembre 2012

[Tratto dall’Universale Garzanti: “Religioni”]
(In quanto non accettati dalla piattaforma wordpress, si sono sostituiti i particolari accenti presenti su alcune parole con gli accenti della nostra lingua.)

Con questo termine viene designata la religione degli Israeliti, una comunità tribale impersonificata dai dodici figli del capostipite, Giacobbe, chiamato anche con l’appellativo onorifico di Israele (etimologia incerta). La religione dei discendenti di Israele rappresenta la primaa fase di sviluppo della storia della religione israelitico-giudaica, terminata con la fine del regno di Giuda e l’inizio dell’esilio babilonese (586 a.C); a essa subentra, come seconda fase, il Giudaismo.

I seguaci della religione israelitico-giudaica nella prima fase furono chiamati in prevalenza Israeliti, nella seconda soprattutto Ebrei. Il termine Ebrei (‘Iwrim) è il nome più comune dato agli Israeliti nella diaspora in quanto discendenti di ‘Eber (‘Ever), pronipote di Sem (Genesi 10,21). La religione israelitica appartiene alle religioni  semitiche e dell’Asia Mi ­nore.

Mosè, l’iniziatore della religione israeli ­tica (da lui prende anche nome di reli ­gione mosaica), è la prima figura stori ­camente delineata, almeno a grandi tratti. Nacque da discendenti dalla ca ­sata di Levi nell’epoca in cui Ramesse II (1290-1224 a.C.) era faraone dell’Egitto e teneva in schiavitù i nomadi semiti. Il suo nome, di provenienza egiziana, significava «figlio » (di Dio). Secondo il racconto del libro dell’Esodo, a causa di un ordine del faraone che obbligava gli Ebrei a uccidere tutti i loro neonati ma ­schi, Mosè venne posto in un cestino di canne e affidato alla corrente del Nilo; tratto in salvo da una delle figlie del fa ­raone, venne allevato a corte. Una volta adulto fu costretto, in seguito a un omi ­cidio, a fuggire presso i pastori di Ma ­dian. Qui si unì in matrimonio con Zippora, figlia del sacerdote Jetro.

Un giorno, mentre Mosè stava pa ­scolando il gregge del suocero, ebbe luogo presso il monte Horeb (Sinai), considerato sacro dalle tribù nomadi che vivevano nell’omonimo deserto, una teofania. Il roveto che ardeva senza consumarsi attirò l’attenzione di Mosè e l’incendio fu all’origine della manifesta ­zione di Dio. Qui nel deserto il dio loca ­le Jhwh (Jahveh) rivelò il proprio nome: «Io sono colui che sono » (Esodo 3,14) e affidò a Mosè l’incarico di liberare gli Israeliti dalla schiavitù egiziana. Rice ­vuto questo ordine, Mosè tornò in Egit ­to per ottenere dal faraone, con l’aiuto del fratello Aronne, la liberazione degli Ebrei.

Poiché il faraone si oppose, Jhwh inviò sull’Egitto le dieci piaghe (Esodo 7,12): l’ultima di queste puniva gli Egiziani con la morte di tutti i primogeniti d’uo ­mo e d’animale. Per gli Ebrei, invece, essa segnò l’avvio della celebrazione della Pasqua che, da allora in poi, ricor ­re ogni anno a commemorare la libera ­zione dalla schiavitù egiziana. Difatti, dopo l’ultima piaga, il faraone decise di lasciar liberi gli Ebrei e Jhwh fece pre ­cedere il popolo in marcia da una co ­lonna di nubi e fuoco. Il faraone, però, ritrattò la parola data e si pose all’inseguimento degli Ebrei con il proprio esercito: nell’attraversamento del Mar Rosso gli Egiziani, colpiti dal ­l’ira di Jhwh, morirono sommersi dalle acque che, poco prima, si erano ritirate per lasciar passare il popolo di Mosè. In questo avvenimento gli Ebrei vedono una conferma della potenza di Jhwh e del suo mediatore Mosè. Nelle sue pere ­grinazioni nel deserto, il popolo degli Ebrei raggiunse il Sinai, la montagna di Jhwh. Qui ebbe luogo la decisiva rivela ­zione divina e Jhwh strinse l’alleanza col popolo di Israele, il popolo eletto: con questo atto venne formalmente fondata la religione israelitica (Esodo cc. 19-24).

La stipulazione dell’alleanza trova la sua espressione visibile nelle Tavole della legge; al fine di conservarle venne fabbricata, per volere divino, un’arca (detta dell’alleanza) trasportata alla testa delle colonne in marcia che, da quel momento in poi, costituì il punto sacrale della comunità. Quando, dopo quarant’anni di peregrinazioni, venne raggiunto il confine della «terra promessa », la terra di Canaan, Dio la indicò a Mosè dall’alto del monte Nebo. A Mosè non fu tuttavia permesso di attraversare il Giordano: a 120 anni, egli aveva ormai raggiunto il termine della sua vita. Morì a Moab e venne se ­polto, secondo la Bibbia, nella valle an ­tistante Bet-Peor (Bet-Pegor). Ma nes ­suno conosce il luogo dove venne sepol ­to. Intorno al 1200 a.C. parte delle stir ­pi israelitiche migrarono sotto la guida di Giosuè, successore di Mosè, verso la regione della Palestina meno abitata, dove si unirono ad altri gruppi ivi stan ­ziati a partire dal 1500 a.C. Sempre intorno al 1200 le tribù di Israe ­le, per la comune origine e la venerazio ­ne di un unico Dio, si strinsero in una federazione (anfizionia), alla testa della quale c’erano i Giudici, capi carismati ­ci, ai quali spettava il compito di veglia ­re sul culto e sul rispetto del diritto di Jhwh. Nell’XI sec, in seguito all’accre ­scersi della potenza dei Filistei sulla co ­sta occidentale e degli Ammoniti nella Giordania Orientale, di fronte al peri ­colo imminente, si giunse alla formazio ­ne dello stato e all’instaurazione della monarchia col re Saul. Il successore, Davide (1006 ca-966), uni ­ficò le stirpi di Giuda e Israele in un unico grande regno e fece di Gerusa ­lemme il capoluogo politico e religioso. Con il trasporto nella sua capitale dell’arca dell’alleanza egli fece di Gerusalemme (Sion) il centro religioso delle tribù israelitiche. Il suo figlio e successore, Salomone (966 ca-926), fece ampliare Gerusalemme ed erigere, a nord della città, un ampio complesso di palazzi con un tempio regale (tempio di Jhwh), detto anche «il primo tempio ».

Lo sfarzo del regno e la sua attenzione alle scienze e alle arti sono divenuti proverbiali. Per questo era ritenuto autore di libri biblici a contenuto sapienziale e poetico: I Proverbi, il Cantico dei Cantici, l’Ecclesiaste e il Libro della Sapienza.

Dopo la morte di Salomone il regno si divise in due piccoli stati: a sud il regno ­di Giuda (925-587) con capitale Gerusalemme, a nord il regno di Israele (926-722) con capitale prima Sichem, poi Tirzah e Penuel e infine Samaria. Al tempo del re Acab (871-852), figlio e successore di Omri, unitosi in matrimo ­nio con la principessa fenicia Gezabele, nel regno settentrionale di Israele si co ­minciarono a venerare le divinità feni ­cie. Emerse allora la figura del profeta Elia che, alla testa di un movimento di protesta jahvista, si pose in contrasto con la dinastia di Omri. Sotto il re Jehu (845 – 818) Israele dovette versare nell’842 un tributo agli Assiri; così sot ­to il re Menahem (747-738) che, nel 738, dovette pagare un oneroso tributo al re assiro Tiglatpileser in (745-726). Il crescente squilibrio sociale e lo sfrutta ­mento dei gruppi più poveri trovò eco nelle proteste dei profeti Osea e Amos che preannunciarono il declino del re ­gno. Avendo l’assiro Salmanassar V (726-722) conquistato e distrutto Sama ­ria dopo 3 anni di assedio, Israele divenne una provincia assira e per molti abitanti del regno settentrionale iniziò l’esilio nella Media e in Mesopotamia. La popola ­zione rimasta si unì ai nuovi coloni stra ­nieri dando origine ai Samaritani. Nel regno meridionale di Giuda (925-587), sotto la regina Atalia (845-839) venne introdotto il culto di Baal. Al tempo del re Azaria (Asarja: 787-736) visse il profeta Isaia (la cui vocazione si rivelò verso il 743) che svolse anche un ruolo politico. Quando il re Giosia (Joshija: 639-609) ritrovò nel tempio nell’anno 621 un antico rotolo della Legge, ebbe luogo una restaurazione politica e cultuale, la «riforma deutero-nomista », in seguito alla quale venne ri ­pristinato nel tempio l’autentico culto di Jhwh, mentre gli altri santuari venne ­ro distrutti. La predicazione di Geremia (chiamato nel 627) che annunciava la fi ­ne del regno a opera dei Babilonesi non venne presa sul serio: nel 598 il re Na ­bucodonosor (605-562) assediò Gerusa ­lemme e attuò una prima deportazione di Ebrei a Babilonia: fra questi, si tro ­vava anche il profeta Ezechiele. Al tem ­po del re Sedecia (597-587) Gerusalem ­me venne nuovamente assediata da Na ­bucodonosor, e sconfitta dopo un anno e mezzo di assedio; nel 587 fu infine di ­strutta e con essa anche il tempio di Sa ­lomone. La Giudea divenne una pro ­vincia babilonese e si ripeterono le deportazio ­ni. Per molti abitanti del regno meridio ­nale cominciava così l’esilio babilonese (586-538).

Per la sopravvivenza di Israele ciò che più conta è l’intervento di Dio nella sto ­ria; per questo il Dio di Israele è stret ­tamente collegato con la sua storia. Egli, rivelatosi sul Sinai, è il liberatore dalla schiavitù egiziana, la vera guida nell’esodo.

Il suo nome propriamente è Jahvè che, in ebraico, viene scritto solo con le consonanti (il tetragramma Jhwh). Nel racconto del roveto ardente (Es  3,14) si autodefinisce con queste parole: «Io sarò presente come colui che sarà presente » (per intervenire e aiutare); la Bibbia dei Settanta, invece, traduce: «Io sono colui che sono ». Il nome corrente Jehovah o Geova, usato in alcuni casi ancora oggi, è sorto nel Medioevo sulla base di un’errata lettura del tetragramma ebraico. Originariamente col nome Jhwh si indicava forse una divinità na ­turale di tribù non israelitiche (fra le al ­tre i Keniti). La trasformazione nel Dio della storia di Israele avvenne al tempo di Mosè. Un altro nome di Dio è Elohim: si tratta della forma plurale di ‘El (Dio, raramente usato al singolare) e sta a indicare la divinità per i Semiti. La forma ‘El viene a volte impiegata insie ­me con Shaddaj (onnipotente) dando origine alla denominazione El-Shaddaj (Genesi 28,3). Altro appellativo fre ­quentemente collegato al nome di Jhwh è Sebaot (ebraico: «schiere di eserciti »). Le tradizioni che sono state raccolte in seguito nel Pentateuco e che riguardano la preistoria di Israele, sono testimo ­nianze dell’autocoscienza popolare che si è venuta formando a partire dall’u ­nione definitiva delle dodici tribù. In origine esse costituivano esperienze specifiche di singoli gruppi tribali e     fra     queste     acquistò particolare rilievo la fuga di una tribù dall’Egitto. Le tradizioni dell’Esodo (Esodo 1-15) rappresentano, infatti, la confessione primigenia di Israele e rivestono un’im ­portanza fondamentale per la fede nel ­l’elezione. Le tradizioni del Sinai (Esodo 19-34) che parlano dell’incontro di un gruppo tribale con Dio sul monte santo in mezzo al deserto e raccontano il pat ­to di alleanza tra Jhwh e Israele diven ­nero, in vista dell’unificazione delle tri ­bù, l’elemento costitutivo dei riti festivi volti periodicamente a rinnovare l’al ­leanza. Parimenti funzionali alla fede nell’elezione furono le tradizioni dei Pa ­triarchi (Genesi 12-50) gravitanti intor ­no alla promessa del possesso della ter ­ra e di una discendenza numerosa per i Patriarchi disposti ad accogliere la rive ­lazione e per coloro che si decidevano a instaurare il culto all’interno dei singoli gruppi.

Nella fase stanziale delle popolazioni, subentrata a quella seminomade, la vi ­cenda delle origini non venne più senti ­ta come esperienza di singole tribù, ma come esperienza comune a tutto il po ­polo eletto di Israele, sotto la guida di un unico eroe (Mosè, e poi Giosuè), o come storia degli avi (Abramo, Isacco, Giacobbe) ancora in grado di influire sui destini della loro discendenza. Il nucleo centrale della legge rivelata sul Sinai è rappresentato dal Decalogo (gre ­co: «dieci parole »; «dieci comandamen ­ti ») il cui testo era scritto su due tavole in pietra conservate nell’arca dell’al ­leanza.

«Io sono Jhwh, il tuo Dio… / Non avrai altri dèi all’infuori di me. / Non ti farai alcuna immagine di Dio… / Non nomi ­nare il nome di Jhwh, Iddio tuo, invano. / Ricordati del giorno di riposo… / Ono ­ra tuo padre e tua madre… / Non uccide ­re. / Non commettere adulterio. / Non rubare. / Non dire falsa testimonianza contro il tuo prossimo. / Non desiderare la casa e la donna del tuo prossimo… (Esodo 20) ».

Le stirpi israelitiche, che condividevano le tradizioni jahviste, si unirono proprio nel nome del culto comune. Il culto era costituito essenzialmente dai sacrifici (qorban, «offerta ») che potevano avve ­nire in forma cruenta come sacrifici di animali (buoi, pecore, capre, colombe) oppure in forma incruenta come sacrifi ­ci di cibi e bevande (cereali, farina, pani azzimi, olio, incenso) ogni giorno, il sa ­bato oppure nei giorni di festa. Tra i sa ­crifici di vivande offerti nel culto vi era ­no i pani di proposizione (lechem ha-panim, «pane della presenza ») ovvero do ­dici focacce di farina di frumento senza lievito che, ogni sabato, venivano disposte a pila su un particolare altare nel tempio, «alla presenza di Dio », e rinno ­vate ogni settimana. La benedizione di Aronne (Numeri 6, 24-26), oggi impiegata anche nel culto cristiano, è una triplice formula di be ­nedizione che il levita Aronne, pronipo ­te di Levi e fratello maggiore di Mosè e la sua discendenza sacerdotale pronun ­ciano su Israele.

«Ti benedica il Signore e ti protegga! Il Signore faccia risplendere su di te il suo volto e ti conceda la sua grazia! Rivolga il Signore a te il suo volto e ti dia la pace! »

I Leviti erano i sacerdoti e servitori del tempio, discendenti dalla genealogia di Levi, terzo figlio di Giacobbe, e Lea. Fra i compiti loro assegnati c’erano l’in ­segnamento religioso, il servizio sacrifi ­cale e gli oracoli. Mentre all’epoca dei re erano gli unici detentori del ministe ­ro sacerdotale nel tempio di Gerusa ­lemme, con la centralizzazione religiosa promossa dal re Giosia (622 a.C), ven ­nero degradati a personale del tempio di basso rango, mentre le funzioni pret ­tamente sacerdotali vennero riservate alla famiglia dei Sadokiti, originaria di Gerusalemme.

In Israele i luoghi di culto preesistenti oppure coesistenti con il santuario cen ­trale di Gerusalemme furono Betel, Dan, Silo e Sichem. Il tempio salomoni ­co (ebraico: bet-ha-miqdash, «santua ­rio ») era una costruzione rettangolare divisa in tre parti, davanti alla quale si trovavano l’altare degli olocausti, il co ­siddetto «mare di bronzo », e le due co ­lonne di Iachin e di Bo’az. Annesso al ­l’Atrio del tempio vi è il Santo (qodesh o hekal) nel quale si trovavano l’altare dell’incenso, il tavolo per i «pani della presenza » e due candelieri a cinque braccia. Il «Santo dei Santi » (qodesh ha-qodashim o debir) era un tempietto interno al santuario, privo di finestre: era il luogo dove veniva custodita l’arca dell’alleanza in legno dorato d’acacia, nella quale erano conservate le due Ta ­vole della Legge; essa era simbolo della costante presenza di Jhwh nel tempio. Secondo la tradizione, Mosè è l’autore dei cinque libri, detti anche Pentateuco (greco: «rotolo in cinque parti », ebraico: Tí³ràh Moshe, «insegna ­mento di Mosè »). Il libro della Genesi (greco: «origine ») inizia con la creazio ­ne del mondo e contiene i racconti del paradiso e della caduta nel peccato, del diluvio universale e della costruzione della torre di Babele. In questo libro è riportata anche la storia di Abramo, Isacco e Giacobbe e la vicenda di Giuseppe, il figlio di Giacobbe e Rachele, che venne venduto in Egitto dai propri fratelli e raggiunse poi un grande pote ­re, presso la corte del faraone, come in ­terprete di sogni. Questa narrazione (Genesi 34-47) è entrata nella letteratu ­ra mondiale ed è uno dei testi biblici più imitati e rappresentati. Il libro dell’Esodo (greco/latino: «uscita ») raccon ­ta la storia del popolo di Israele dalla fuga dall’Egitto fino agli avvenimenti del Sinai. Il Levitico (latino: «libro dei Leviti ») contiene disposizioni cultuali. Il libro dei Numeri riporta, in apertura, i censimenti fatti nel deserto e quelli successivi fino alla conquista della Transgiordania. Il Deuteronomio (greco: «seconda legge ») riproduce, nelle parole di Mosè, il racconto della peregrinazio ­ne nel deserto e una nuova versione del ­la legge mosaica. L’esegesi biblica con ­temporanea vede nei cinque libri mosai ­ci il risultato della fusione di testi risa ­lenti a epoche diverse. Essa distingue quattro fonti principali, la più antica delle quali ebbe origine nel IX-VIII sec. a.C, probabilmente nel regno meridio ­nale di Giuda. Poiché in essa (fino a Esodo 3) Dio viene chiamato Jhwh, questa fonte viene chiamata Jahvista. L’Elohista è al contrario una fonte sviluppatasi dopo il 900 a.C. nel regno del nord. Per indicare Dio essa impiega il termine Elohim (fino a Esodo 3, 15). Le due fonti, la Jahvista e l’Elohista. vennero unite in un unico testo dopo la caduta del Regno del nord nel 722. In ­torno alla metà del VII sec. a.C. ebbe origine la tradizione deuteronomista, in qualche modo collegata al ritrovamento del libro della legge sotto il regno di Giosia (621 a.C). L’ultima tradizione, detta Sacerdotale, risale all’epoca dell’e ­silio babilonese (VI sec. a.C). Sviluppa ­tasi nella cerchia dei sacerdoti, essa mi ­ra a purificare l’ordinamento legislati ­vo, ma soprattutto cultuale, ricondu ­cendolo a Mosè. Quale testo più antico della letteratura israelitica viene consi ­derato il Cantico di Debora (Giudici 5. 2-31), giudice e profetessa di Israele (circa 1100 a.C), guida nella lotta con ­tro i Cananei.


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Bart