STORIA: I MAESTRI: Un complotto contro Mazzini18 Marzo 2012 di Furio Sampoli I periodi di storia, gravidi di eventi e di rivolgimen ti delle strutture politico-economiche, lasciano in eredi tà alle generazioni che seguo no â— insieme con i problemi avviati e rimasti insoluti, con i vantaggi o gli svantaggi di una realtà nuova â— il rischio dell’interpretazione. Così è successo, a esempio, nella sto riografia americana per la guerra di Secessione (di volta in volta interpretata e quindi corretta dall’angolazione particolare, che rispecchiava il corso delle idee correnti e la formazione e aspirazione di una determinata società), così si ripete in Italia per quel gros so groviglio storico che è il Risorgimento. Sul quale la « revisione » era inevitabile, dovendo sfrondare incrostazio ni, che via via si erano sovrap poste per la compiacenza a giustificare i fatti: un proces so storico pieno di contraddi zioni, « risalenti a loro volta a vizi congeniti della costituzio ne politica interna » italiana. Antonio Labriola in Da un secolo all’altro aveva scritto che il Risorgimento si era « svolto più nel senso della storia passiva che in quello della storia attiva ». Questa distin zione partiva dal giudizio che l’Italia fino al 1870 era stata « a rimorchio » delle altre na zioni europee. E realmente la vita politica italiana soffriva di una debolezza organica, do vuta sia all’assenza di una ve ra classe dirigente sia al di vorzio fra le classi popolari e il nuovo stato. La borghe sia, sollecita all’unificazione in quanto si era resa conto che « il progresso economico non poteva prescindere da un più vasto mercato interno », era sì riuscita a organizzare il suo stato, ma grazie alle condizio ni internazionali, le quali ave vano favorito la sua vittoria sui ceti feudali e semifeuda li: politica di Napoleone III nel 1852-60, guerra austro-prus siana, sconfitta della Francia a Sedan e conseguente svilup po dell’impero tedesco. Recisa in tal senso la valuta zione di Angelo Tasca: « Il Ri sorgimento si è realizzato sot to la forma di conquista regia della penisola da parte del pic colo Piemonte, senza parteci pazione attiva del popolo, anzi in parte contro di esso ». E’ l’accettazione della tesi di Gramsci di critica alla borghe sia risorgimentale per non aver saputo ampliare il moto nazionale in una più integra le rivoluzione democratico borghese, nel senso concreta mente giacobino, che includes se anche le finalità e i proble mi sociali dei contadini. Lo Chabod, invece, individuava proprio in questo « anacroni smo » storico l’errore comune a tutti i revisionismi risorgi mentali: il ricorso cioè a un astratto ideale politico e mo rale, che non nasceva dalla storia del tempo, quanto dai problemi che si erano posti successivamente alla società italiana. In particolare lo Cha bod insisteva sul legame esi stente fra la critica di Gram sci al Risorgimento e il pro blèma che nel dopoguerra era divenuto fondamentale per socialisti e comunisti di aggan ciare al movimento del prole tariato cittadino le masse con tadine controllate dalle leghe « bianche ». Gramsci, comunque, aveva soprattutto come obiettivo l’in capacità del partito d’azione a svolgere, sul piano della coe renza storico-politica, la pro pria battaglia per una rivolu zione fondata sull’alleanza gia cobina di una borghesia avan zata con i contadini, la quale avrebbe consentito, sottraen dosi all’egemonia dei modera ti, di realizzare una rivoluzio ne democratica. Ma alla socie tà italiana, uscita da secoli di servitù, mancava proprio «quella lunga evoluzione, quel la accumulazione di esperien za, quella fissazione di rifles si e di costumi » che avevano reso possibile lo sviluppo de mocratico in Inghilterra e in Francia, Cavour, del resto, ave va subito trasformato il nazio nalismo in uno strumento di conservazione sociale. Quanto agli altri due primi attori, Maz zini e Garibaldi, erano troppo sprovveduti politicamente per avere un peso determinante, che andasse al di là del fasci no romantico della loro per sona. Paragonato a Cavour, Gari baldi appare un avventuriero sentimentale, ma anche un giocatore imprevedibile, capa ce di rovesciare situazioni di sperate; non riesce a vedere la trama complessa delle rela zioni internazionali, non capi sce il sottile intrigo diplomati co, ma ha intuizioni prodigiose dell’animo popolare che gli permettono imprese ritenute impossibili come la spedizio ne di Sicilia. Mazzini ha un altro temperamento, soprattut to un’altra formazione cultu rale. Per lui il nazionalismo consisteva in insurrezioni con tinue, così da rendere il popo lo consapevole della propria forza e della propria missione storica. Malinconico e solita rio, la sua fede nell’azione era stata pari ai suoi ininterrotti insuccessi, e questi gli aveva no procurato facili detrattori. Egli stesso, nell’amarezza del la delusione, ne aveva avuta piena coscienza: « Avevo cre duto di evocare l’anima del l’Italia e non mi sono trovato di fronte che a un cadavere ». Su Mazzini, nella scia della « revisione » di storia risorgi mentale, è uscito ora un volu me di Marco Nozza Mazzini Giuseppe contumace (ed. Su gar, Milano 1966, pagg. 235, L. 1500). Ma più che una ri valutazione dell’apostolo del l’unità italiana, il libro è uno sguardo gettato dietro le quin te della classe governativa ita liana negli anni che vanno dopo Aspromonte alla terza guerra d’indipendenza. E’, in somma, il dietro della facciata di un edificio che si è sforzato di mantenere agli occhi dei più una certa dignità, un rispet tabile aspetto di decoro. Mar co Nozza, rovistando nei cor ridoi, entrando nei sotterranei, scopre, infatti, immondezzai non bruciati: tutta la segreta e stupefacente putredine di una società corrotta. Si tratta di rapporti riservati, lettere confidenziali, telegrammi ci frati, un materiale proibito che si era tentato di far scompari re e che, per uno di quei gio chi bizzarri del caso, è torna to improvvisamente alla luce. La storia proibita, che dà l’av vio all’analisi del Nozza sul l’Italia risorgimentale, inco mincia nel Natale del 1863. Tre italiani e uno svizzero, qualificati come musicisti, ar rivano a Parigi. Apparente mente sono nella capitale fran cese per una tournée artistica. Ma nelle valigie nascondono armi, pugnali e bombe. La polizia li sorveglia, segue ogni loro mossa. Sa che i quat tro vogliono ripetere l’attenta to di Felice Orsini contro l’im peratore Napoleone Terzo. Al la vigilia dell’attentato i quat tro sono arrestati e poi tradot ti davanti al tribunale. Si leg gono le lettere trovate loro ad dosso. Pasquale Greco, capo del gruppo, confessa che il mandante dell’attentato è Giu seppe Mazzini. Il Tribunale non ha esitazioni; condanna i quattro e Mazzini, che vive a Londra, in contumacia. Ma questo, che sembrerebbe l’epilogo, è invece solo l’inizio della storia «proibita ». Al Par lamento italiano Francesco Crispi presenta un’interroga zione al governo: vuole sapere perché Pasquale Greco, coin volto in una rissa a Varese, è stato rilasciato dalla polizia, subito dopo il fermo. La mac chia si allarga. Greco è un agente segreto del ministero dell’Interno. Da Londra Giu seppe Mazzini sconfessa la let tera presentata come sua: era stata falsificata la scrittura. Da qui muove la riscoperta del Nozza nel dietro della faccia ta. La paura che i moderati hanno di uomini come Mazzi ni e Garibaldi, il loro recluta re agenti segreti, emissari, confidenti fra ex garibaldini e mazziniani (un agente « d’ec cezione » sarà lo stesso genero di Garibaldi), e la loro costan te preoccupazione di trovare qualsiasi appiglio per scredi tarli. La farsa dell’attentato di Parigi aveva di mira proprio questo: togliere di mezzo Maz zini e presentarlo all’Europa come un sanguinario. I moderati, nel progressivo sfaldamento della democrazia italiana, temevano da un mo mento all’altro una rivoluzione sociale, capeggiata appunto dai due uomini capaci di su scitare entusiasmi nel popolo. Fra l’altro era arrivato in Ita lia Bakunin. Unica soluzione per uscire da una situazione che diveniva di giorno in gior no più precaria: la guerra. La quale, combattuta nel disinte resse generale, avrà come tap pe Custoza e Lissa. All’indo mani delle sconfitte, sul Poli tecnico compare un articolo di Pasquale Villari dal titolo « Di chi la colpa? » che riassu me il quadro cupo e disperato dell’Italia risorgimentale: «V’è nel seno della nazione un ne mico più potente dell’Austria ed è la nostra colossale igno ranza, sono le moltitudini anal fabete, i burocrati macchina, i politici bambini, i generali in capaci… e la retorica che ci rode le ossa. Non è il quadri latero di Mantova e Verona che ha potuto arrestare il no stro cammino, ma è il quadrila tero di 17 milioni di analfa beti e di cinque milioni di ar cadi ». Letto 1624 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||