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STORIA: I MAESTRI: Un complotto contro Mazzini

18 Marzo 2012

di Furio Sampoli
[da “La Fiera Letteraria”, numero 6, giovedì 9 febbraio 1967]

I periodi di storia, gravidi di eventi e di rivolgimen ­ti delle strutture politico-economiche, lasciano in eredi ­tà alle generazioni che seguo ­no â— insieme con i problemi avviati e rimasti insoluti, con i vantaggi o gli svantaggi di una realtà nuova â— il rischio dell’interpretazione. Così è successo, a esempio, nella sto ­riografia americana per la guerra di Secessione (di volta in volta interpretata e quindi corretta dall’angolazione particolare, che rispecchiava il corso delle idee correnti e la formazione e aspirazione di una determinata società), così si ripete in Italia per quel gros ­so groviglio storico che è il Risorgimento. Sul quale la « revisione » era inevitabile, dovendo sfrondare incrostazio ­ni, che via via si erano sovrap ­poste per la compiacenza a giustificare i fatti: un proces ­so storico pieno di contraddi ­zioni, « risalenti a loro volta a vizi congeniti della costituzio ­ne politica interna » italiana.

Antonio Labriola in Da un secolo all’altro aveva scritto che il Risorgimento si era « svolto più nel senso della storia passiva che in quello della storia attiva ». Questa distin ­zione partiva dal giudizio che l’Italia fino al 1870 era stata « a rimorchio » delle altre na ­zioni europee. E realmente la vita politica italiana soffriva di una debolezza organica, do ­vuta sia all’assenza di una ve ­ra classe dirigente sia al di ­vorzio fra le classi popolari e il nuovo stato. La borghe ­sia, sollecita all’unificazione in quanto si era resa conto che « il progresso economico non poteva prescindere da un più vasto mercato interno », era sì riuscita a organizzare il suo stato, ma grazie alle condizio ­ni internazionali, le quali ave ­vano favorito la sua vittoria sui ceti feudali e semifeuda ­li: politica di Napoleone III nel 1852-60, guerra austro-prus ­siana, sconfitta della Francia a Sedan e conseguente svilup ­po dell’impero tedesco.

Recisa in tal senso la valuta ­zione di Angelo Tasca: « Il Ri ­sorgimento si è realizzato sot ­to la forma di conquista regia della penisola da parte del pic ­colo Piemonte, senza parteci ­pazione attiva del popolo, anzi in parte contro di esso ». E’ l’accettazione della tesi di Gramsci di critica alla borghe ­sia risorgimentale per non aver saputo ampliare il moto nazionale in una più integra ­le rivoluzione democratico ­borghese, nel senso concreta ­mente giacobino, che includes ­se anche le finalità e i proble ­mi sociali dei contadini. Lo Chabod, invece, individuava proprio in questo « anacroni ­smo » storico l’errore comune a tutti i revisionismi risorgi ­mentali: il ricorso cioè a un astratto ideale politico e mo ­rale, che non nasceva dalla storia del tempo, quanto dai problemi che si erano posti successivamente alla società italiana. In particolare lo Cha ­bod insisteva sul legame esi ­stente fra la critica di Gram ­sci al Risorgimento e il pro ­blèma che nel dopoguerra era divenuto fondamentale per socialisti e comunisti di aggan ­ciare al movimento del prole ­tariato cittadino le masse con ­tadine controllate dalle leghe « bianche ».

Gramsci, comunque, aveva soprattutto come obiettivo l’in ­capacità del partito d’azione a svolgere, sul piano della coe ­renza storico-politica, la pro ­pria battaglia per una rivolu ­zione fondata sull’alleanza gia ­cobina di una borghesia avan ­zata con i contadini, la quale avrebbe consentito, sottraen ­dosi all’egemonia dei modera ­ti, di realizzare una rivoluzio ­ne democratica. Ma alla socie ­tà italiana, uscita da secoli di servitù, mancava proprio «quella lunga evoluzione, quel ­la accumulazione di esperien ­za, quella fissazione di rifles ­si e di costumi » che avevano reso possibile lo sviluppo de ­mocratico in Inghilterra e in Francia, Cavour, del resto, ave ­va subito trasformato il nazio ­nalismo in uno strumento di conservazione sociale. Quanto agli altri due primi attori, Maz ­zini e Garibaldi, erano troppo sprovveduti politicamente per avere un peso determinante, che andasse al di là del fasci ­no romantico della loro per ­sona.

Paragonato a Cavour, Gari ­baldi appare un avventuriero sentimentale, ma anche un giocatore imprevedibile, capa ­ce di rovesciare situazioni di ­sperate; non riesce a vedere la trama complessa delle rela ­zioni internazionali, non capi ­sce il sottile intrigo diplomati ­co, ma ha intuizioni prodigiose dell’animo popolare che gli permettono imprese ritenute impossibili come la spedizio ­ne di Sicilia. Mazzini ha un altro temperamento, soprattut ­to un’altra formazione cultu ­rale. Per lui il nazionalismo consisteva in insurrezioni con ­tinue, così da rendere il popo ­lo consapevole della propria forza e della propria missione storica. Malinconico e solita ­rio, la sua fede nell’azione era stata pari ai suoi ininterrotti insuccessi, e questi gli aveva ­no procurato facili detrattori. Egli stesso, nell’amarezza del ­la delusione, ne aveva avuta piena coscienza: « Avevo cre ­duto di evocare l’anima del ­l’Italia e non mi sono trovato di fronte che a un cadavere ».
Il Paese, aggiungeva, era « marcio di materialismo e di egoismo ».

Su Mazzini, nella scia della « revisione » di storia risorgi ­mentale, è uscito ora un volu ­me di Marco Nozza Mazzini Giuseppe contumace (ed. Su ­gar, Milano 1966, pagg. 235, L. 1500). Ma più che una ri ­valutazione dell’apostolo del ­l’unità italiana, il libro è uno sguardo gettato dietro le quin ­te della classe governativa ita ­liana negli anni che vanno dopo Aspromonte alla terza guerra d’indipendenza. E’, in ­somma, il dietro della facciata di un edificio che si è sforzato di mantenere agli occhi dei più una certa dignità, un rispet ­tabile aspetto di decoro. Mar ­co Nozza, rovistando nei cor ­ridoi, entrando nei sotterranei, scopre, infatti, immondezzai non bruciati: tutta la segreta e stupefacente putredine di una società corrotta. Si tratta di rapporti riservati, lettere confidenziali, telegrammi ci ­frati, un materiale proibito che si era tentato di far scompari ­re e che, per uno di quei gio ­chi bizzarri del caso, è torna ­to improvvisamente alla luce. La storia proibita, che dà l’av ­vio all’analisi del Nozza sul ­l’Italia risorgimentale, inco ­mincia nel Natale del 1863. Tre italiani e uno svizzero, qualificati come musicisti, ar ­rivano a Parigi. Apparente ­mente sono nella capitale fran ­cese per una tournée artistica. Ma nelle valigie nascondono armi, pugnali e bombe.

La polizia li sorveglia, segue ogni loro mossa. Sa che i quat ­tro vogliono ripetere l’attenta ­to di Felice Orsini contro l’im ­peratore Napoleone Terzo. Al ­la vigilia dell’attentato i quat ­tro sono arrestati e poi tradot ­ti davanti al tribunale. Si leg ­gono le lettere trovate loro ad ­dosso. Pasquale Greco, capo del gruppo, confessa che il mandante dell’attentato è Giu ­seppe Mazzini. Il Tribunale non ha esitazioni; condanna i quattro e Mazzini, che vive a Londra, in contumacia.

Ma questo, che sembrerebbe l’epilogo, è invece solo l’inizio della storia «proibita ». Al Par ­lamento italiano Francesco Crispi presenta un’interroga ­zione al governo: vuole sapere perché Pasquale Greco, coin ­volto in una rissa a Varese, è stato rilasciato dalla polizia, subito dopo il fermo. La mac ­chia si allarga. Greco è un agente segreto del ministero dell’Interno. Da Londra Giu ­seppe Mazzini sconfessa la let ­tera presentata come sua: era stata falsificata la scrittura. Da qui muove la riscoperta del Nozza nel dietro della faccia ­ta. La paura che i moderati hanno di uomini come Mazzi ­ni e Garibaldi, il loro recluta ­re agenti segreti, emissari, confidenti fra ex garibaldini e mazziniani (un agente « d’ec ­cezione » sarà lo stesso genero di Garibaldi), e la loro costan ­te preoccupazione di trovare qualsiasi appiglio per scredi ­tarli. La farsa dell’attentato di Parigi aveva di mira proprio questo: togliere di mezzo Maz ­zini e presentarlo all’Europa come un sanguinario.

I moderati, nel progressivo sfaldamento della democrazia italiana, temevano da un mo ­mento all’altro una rivoluzione sociale, capeggiata appunto dai due uomini capaci di su ­scitare entusiasmi nel popolo. Fra l’altro era arrivato in Ita ­lia Bakunin. Unica soluzione per uscire da una situazione che diveniva di giorno in gior ­no più precaria: la guerra. La quale, combattuta nel disinte ­resse generale, avrà come tap ­pe Custoza e Lissa. All’indo ­mani delle sconfitte, sul Poli ­tecnico compare un articolo di Pasquale Villari dal titolo « Di chi la colpa? » che riassu ­me il quadro cupo e disperato dell’Italia risorgimentale: «V’è nel seno della nazione un ne ­mico più potente dell’Austria ed è la nostra colossale igno ­ranza, sono le moltitudini anal ­fabete, i burocrati macchina, i politici bambini, i generali in ­capaci… e la retorica che ci rode le ossa. Non è il quadri ­latero di Mantova e Verona che ha potuto arrestare il no ­stro cammino, ma è il quadrila ­tero di 17 milioni di analfa ­beti e di cinque milioni di ar ­cadi ».


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A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart