STORIA: Il processo a Gilles de Rais (Barbablu. Champtocé-sur-Loire, settembre/ottobre 1405 – Nantes, 26 ottobre 1440)18 Aprile 2019 (da “I grandi processi della storia” – Edizioni di Crémille – Ginevra 1971) Il sire de Rais, maresciallo di Francia, è dunque convenientemente ringraziato. Non avrà mai più dei prestigiosi comandi militari; è stato ormai giubilato ed è costretto a ritornarsene nelle proprie terre. Alla fine del 1429 comunque, sua moglie Caterina di Thouars dà alla luce una figlia, alla quale viene posto il nome di Marie. Coperto di gloria, ma lontano dal campo di battaglia, Gilles a venticinque anni non sa che fare di se stesso. Giovanna d’Arco è passata nella sua vita come una meteora e con lei sono finiti quell’incredibile fiducia irrazionale nelle armi di Francia e il fervore che trasformava ogni cosa, anche l’esistenza di un rude soldato qual era Gilles. Costui decide allora di seppellire le proprie frustrazioni nei bagordi. Riprende insomma con maggiore accanimento la sterile vita che conduceva prima di abbracciare la carriera delle armi. Alle fine del 1429 inizia a vendere una fetta del suo patrimonio; si tratta del castello di Blaison. Il suo spasmodico bisogno di denaro è tale che con questa in fondo modesta vendita ha inizio il sistematico saccheggio che egli stesso farà delle sue proprietà. Mette insomma nel distruggere ciò che ha ricevuto in eredità lo stesso entusiasmo che ha dimostrato nelle distruzioni della guerra. E attorno a lui gravita in permanenza la più balorda delle corti : cortigiani e trafficoni, ma soprattutto soldati, perfettamente equipaggiati come sempre e che egli riveste da capo a piedi tre volte l’anno, un lusso smodato per quei tempi. Per loro i cavalli non sono mai abbastanza belli e quando la sua scorta militare si sposta è quasi un vero esercito che prende le mosse, con tanto di servi tori, cuochi, donne e bambini al seguito. Jean de Craon è vivamente preoccupato per la piega assunta dalle cose; le ricchezze di fami glia si vanno assottigliando giorno per giorno; decide quindi di mettersi a sferrare qualche colpo, spalleggiato da Gilles. Alla fine del 1430 un drappello di Gilles attacca addirittura la scorta di Jolanda d’Aragona che viene fatta oggetto di un’atroce imboscata nei pressi di Champtoceaux. Gli uomini di Jolanda vengono decimati e spogliati di ogni avere. Jolanda fa finta di dimenticare l’incidente, dato che ancora ha bisogno dei servigi di Jean de Craon per le sue trattative con il duca di Bretagna. Nel dicembre del 1430, Gilles si trova a Louviers. Giovanna d’Arco è prigioniera degli Inglesi a Rouen. Il suo ritorno dopo circa un anno di assenza fa pensare che egli abbia inten zione di liberare la fanciulla. Giovanna è abban donata da tutti, ma forse non dai suoi vecchi compagni d’armi. Gilles in ogni modo troverà a Louviers La Hire e Dunois, il suo fedele amico.
A questo punto la cronaca ci dice che il signore di Rais venne colto da una specie di follia, un fuoco divoratore, sotterraneo, un furore di passioni inconfessabili che lo condur ranno verso l’abisso. Forse è la morte della giovane che aveva combattuto al suo fianco a farlo sprofondare in una follia sempre più evidente, forse è la debolezza di carattere, unita a uno smisurato orgoglio e a un vero e proprio masochismo che tende alla distruzione di tutto ciò che gli altri hanno costruito in suo favore : certo si è che per Gilles iniziano giorni terribili. Un anno circa dopo la morte della Pulzella, Gilles si ridà alla guerra. In compagnia del « bastardo » d’Orléans, del signore di Gaucourt, di Xaintrailles, muove guerra contro gli Inglesi. Alla testa delle sue truppe si comporta come d’abitudine, cioè da valoroso : mette rapida mente in fuga i soldati del reggente Bedford che avevano posto l’assedio alla città di Lagny. E’ l’ultima impresa del maresciallo di Francia.
Così, ritornato nella cupa atmosfera dei suoi castelli, darà sfogo alla sua demenza; nel 1432 Gilles per la prima volta uccide un giovane dopo averne abusato. Il 15 novembre di quello stesso 1432, muore Jean de Craon; è una morte dovuta più alla disperazione che alla vecchiaia. Jean l’avido, l’avaro, colui che ha passato tutta la sua esistenza ad accumulare ricchezze e signorie, muore di crepacuore vedendo l’accanimento del suo erede nel dilapidare ciò che è costato tanta fatica. Comprende forse troppo tardi che è colpa sua se un simile disastro è potuto accadere e in un ultimo sprazzo di lucidità, nell’ultima speranza di vedere Gilles mutare rotta, chiede funerali umili e consegna per testamento la sua spada a René de La Suze, fratello di Gilles… (omissis…) Chi incomincia l’udienza è comunque un personaggio silenzioso, un uomo venerabile e pru dente, dottore in legge; è in altri termini quel Jacques de Pentcoëdic, titolare della cattedrale di Nantes che si erge all’improvviso accanto a Gilles. Il viso pallido, la fronte alta, i capelli brizzolati, gli occhi grandi dallo sguardo vivo, egli lancia una sguardo di commiserazione sul l’accusato, come se davvero provasse una certa pena a dover attribuire quei nefandi delitti a un maresciallo di Francia, al braccio destro di Gio vanna d’Arco. Poi, lentamente, inizia a parlare. Con la sua voce accuratamente studiata, riassume ed enuncia i quarantanove articoli che formano il complesso dell’accusa ; sono quindici lunghe pagine; un documento che si com pone di tre parti : i crimini contro i fanciulli, quelli di magia e stregoneria e la violazione delle immunità ecclesiastiche. In un silenzio impressionante le parole, con il greve peso delle accuse che esse contengono, cadono una dopo l’altra ritraendo con fedeltà i misfatti di cui si è macchiato il giovane de Rais. Ogni articolo è scritto in Unga francese anche se le cronache lo vergheranno, come si è detto, in latino. Sarebbe assurdo e noioso riportare qui per intero tutto il documento, pagina per pagina ; ci limitiamo a darne un breve riassunto :
lo pone pertanto in grado di giudicare i crimini commessi contro l’autorità da lui stesso rappre sentata e pone sotto la sua giurisdizione il complesso dei cittadini dei territori della dio cesi;
Ci si può figurare il silenzio di Gilles durante la lettura di questi noiosissimi… punti. Che cosa potrebbe mai obiet tare? Sono cose evidenti a chiunque, anche se proprio in esse sta il punto di partenza di un disegno giuridico che finirà per avvolgere il coraggioso e sprezzante maresciallo di Francia in una spirale senza rimedio. Riconoscendo infatti l’indiscussa autorità a giudicare del tribunale ecclesiastico, Gilles si lega mani e piedi alle decisioni dello stesso consesso, che non potranno non Influenzare grandemente quelle del collaterale tribunale civile… E senza avvocato difensore trovare un appiglio fra i meandri di una duplice legislazione (secolare e religiosa) diventerà per lui impossibile…
Una confessione allucinante
C’è ora in città una folla strabocchevole. Il processo di Gilles de Rais è davvero l’avveni mento dell’anno. Così, il 22 ottobre, una folla enorme si accalca nei pressi del tribunale all’ora della seduta. Fra i saltimbanchi e gli uomini d’arme del duca di Bretagna, parenti e amici sono venuti anche da località assai lontane per ascoltare la confessione del terrore delle cam pagne, del mostro memorabile. E’ dall’alba che le vie formicolano di curiosi i quali, allorché il momento è giunto, cercano d’entrare tutti nello scalone della torre, poi nella sala delle udienze. Questa gente, per la maggior parte come si è detto famigli e conoscenti del mare sciallo di Francia, non riconosce d’acchito Gilles. Costui indossa infatti dei grossolani abiti da popolano di color rosso. Ognuno sa che « il terrore delle campagne » ha confessato, ma nes suno fa motto. La folla attende, avida, la confessione dalla bocca stessa del colpevole. E Gilles parla; nell’ora del vespro, quando Guillaume Chapeillon si volge verso di lui e gli chiede se vuole ritrattare o mettere in discus sione i punti discussi nelle sedute precedenti, Gilles dichiara: « Ancora una volta devo dire che non ho proprio nulla da obiettare o da aggiungere. Tutto quello è stato detto non è altro che l’espres sione della più pura verità. » Riprende la descrizione dei suoi delitti con parole più o meno uguali, aggiungendo sola mente qualche particolare a quanto aveva detto la vigilia a porte chiuse. Desidera perfino che quanto confessa sia messo in lingua volgare, perché ciascuno ne possa prendere conoscenza e perché avendo fatto pubblica confessione possa meritare più facilmente la remissione dei peccati e la divina assoluzione. Gilles a questo punto si rivolge allora verso il pubblico, il suo vero interlocutore nel dibat tito, e descrive nuovamente i suoi delitti, quasi ricavando un amaro piacere nell’infangarsi e coprirsi d’obbrobrio di fronte a quella folla di pezzenti, ruffiani e ribaldi che l’avevano conosciuto in tutta la sua gloria e in tutta la sua potenza di signorotto di Francia. Si può allora benissimo parlare d’esibizionismo. Gilles de Rais in certo qual modo va ora magnificando le sue imprese e beandosene pur nella contrizione apparente. Gli incubi delle sue superstizioni e le dimostrazioni di pietà religiosa sono ora passati in secondo piano… Indirizzandosi a quelle persone che non aspettano altro che le sue parole, Gilles grida loro: « Se ho così gravemente offeso Dio, se ho commesso tanti delitti contro di lui e i suoi comandamenti, se mi sono reso colpevole di tutti gli abominevoli misfatti che ora ho confessato, tutto ciò è accaduto a causa della pessima educazione ricevuta nella mia infanzia. « In quel tempo io fui solo e senza guida; mi potevo permettere di fare tutto ciò che mi piaceva e nessun atto da me commesso veniva ritenuto illecito. Così incominciai a fare tutto il male che potevo e a concentrare tutta la mia esperienza e le mie capacità nel commettere azioni sempre più malvage e disoneste. « Brava gente che mi ascoltate e che siete anche voi padri e madri solleciti, fate in modo che i vostri figli siano educati durante l’infanzia e la giovinezza nelle giuste dottrine e nella virtù. E se avete dei figli che si mostrano deside rosi di seguire il mio nefasto esempio, allora castigateli e se necessario uccideteli. » E per meglio convincere gli ascoltatori che stanno di fronte a lui sbigottiti e silenziosi, ripete i particolari più orrendi della sua confes sione : « … con quel fanciullo che mi inviò André Buchet, il luglio scorso, a Vannes, feci degli atti contro natura, poi dopo averlo ucciso ordinai a Poitou di gettarne il cadavere nelle latrine… » E mentre si levano grida di raccapriccio, imperterrito continua : « … a molti fanciulli che mi portavano ho inflitto numerose torture o spiccato il capo dal busto con daghe e coltelli. Altri solevo percuo terli violentemente sul capo con un grosso bastone, altri ancora venivano sospesi per mezzo di corde nella mia camera e li strangolavo lenta mente; e quando stavano per chiudere gli occhi per sempre li violentavo, li baciavo, ormai cadaveri, sulle labbra esangui e ciò facevo soprattutto con quelli che avevano il volto più grazioso. Spesso dopo aver abusato di un giovane, mi sedevo sopra di lui e provavo un sadico piacere a vederlo morire sotto di me… e ridevo, ridevo come un folle… e facevo poi bruciare il cadavere per sentire l’odore che faceva quella sua carne bruciata, per gustare quel lezzo immondo che ne emanava… » Dopo queste parole si ferma come sfinito; è livido; le sue labbra tremano; respira a fatica. Il vescovo Malestroit sembra rendersi conto all’improvviso della sacrilega bestialità di queste parole e, levatosi il mantello, ne ricopre il croci fisso appeso al muro, dietro le proprie spalle. E Gilles continua… l’orrore trascina altro orrore. E’ come in un incubo infernale le cui visioni, immaginate attraverso le parole del l’imputato, riempiono di raccapriccio gli astanti. Gilles narra ora come sia caduto a poco a poco in preda a una sensualità divorante, ad una frenesia senza rimedio divenuta ben presto la sua sola ragione di vita. Narra con precisione, non omettendo nessun particolare, quei terribili assassinii il cui sadismo andava a braccetto con la sodomia e il sacrilegio, quel sabba indegno di crudeli voluttà. Racconta ancora come sapesse accattivarsi la riconoscenza delle vittime e come perciò il piacere di ucciderli venisse aumentato. Narra dei suoi sogni insensati, di come la lussuria lo spingesse continuamente alla ricerca di nuove prede; descrive davanti a quella folla stupefatta le sue incredibili torture, il terrore che coglieva i fanciulli, i loro occhi sbarrati, i visi che a poco a poco impallidivano vuotandosi del sangue. Poi parla ancora degli stupri, dei corpi martoriati e di quelle libidini mischiate all’odore del sangue… descrive le estasi in cui lo gettavano la vista di quei corpi agonizzanti, l’ansimare soffocato, i rantoli della morte, il piacere di avvicinare il suo corpo a quello ormai freddo delle vittime. L’atmosfera della sala diviene ben presto irrespirabile; il maresciallo di Francia è però, per sua fortuna, giunto quasi alla fine della sua allucinante confessione. Questi assassinii, tende a ribadirlo, li ha commessi unicamente per sollecitare i propri sensi ormai stanchi, per dare un nuovo sfogo alla propria lussuria. E’ vero, ha commesso anche dei crimini contro la religione e contro la fede, ma questi sono stati, come dire, in subordine rispetto ai primi; ammette tuttavia le evocazioni di Machecoul e di Tiffauges, i suoi desideri (andati in fumo) di veder apparire il demonio, di vedere concesse da lui scienza, ricchezza e potenza. Racconta ancora di delitti non troppo lontani nel tempo e di cui ha conser vato un perfetto ricordo e per i quali prova un’immensa tristezza. Letto 799 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||