STORIA: Lucca: Berta di Lotaringia, contessa di Arles sposa Adalberto II (2)26 Gennaio 2010 di Vincenzo Moneta  Nel IX secolo, soprattutto al tempo dell’imperatore Ludovico III e dei duchi Adalberto I e Adalberto II, a Lucca avvenne la fusione progressiva della vecchia società longobarda con la nuova società franca.          Adalberto II, detto “Il Ricco”, aveva in Lucca, una corte  che gareggiava in sfarzo e ricchezza con quella imperiale, tanto che lo stesso imperatore Ludovico III affermò che: “Ad Adalberto per essere re non manca che la coronaâ€.            Il potere di Adalberto II aumentò in maniera notevole con il suo matrimonio: egli sposò Berta di Lotaringia e contessa di Arles,  figlia naturale del re Lotario II e pronipote di Carlo Magno, pronipote di Carlo Magno imparentandosi così direttamente con la famiglia imperiale. Berta sostenne il marito nelle iniziative tese ad inserirsi attivamente nel marasma della vita politica italiana di quegli anni, prendendo parte alla disputa sorta intorno all’assegnazione della corona d’Italia che in quel momento vedeva come massimi antagonisti  Berengario del Friuli e Guido di Spoleto. L’importanza ed il potere di Lucca derivavano dalla sua posizione strategica sulla via Francigena[1] che le permetteva il controllo delle vie di comunicazione tra l’Italia del Nord e quella Centrale: in sostanza il dominio delle vie di accesso a Roma. Infatti, durante le guerre scatenatesi dopo la morte di Carlo Magno per il dominio dell’Italia, i duchi di Lucca ricorsero più volte all’occupazione militare ed al blocco dei passi dell’Appennino Tosco-Emiliano[2]. LUCCA SOTTO IL REGNO ITALICO INDIPENDENTE Durante questo periodo,  Lucca fu la sede del Duca che fu poi Conte di Lucca e Marchese di Toscana. Era un periodo importante della storia lucchese anche  per la presenza della reliquia del Volto Santo che ne faceva un punto di incontro di pellegrini[3].  Dal calendario del secolo undecimo, che si trova nell’archivio del capitolo, risulta che Berta donò al Volto Santo la Corte di Massarosa.            La città , come centro di pellegrinaggi e centro di rapporti col mondo al di là del mare, acquistò una particolare importanza proprio nel momento burrascoso del Regno Italico indipendente. A Lucca, capitale del marchesato di Toscana, il potere esercitato dal marchese Adalberto II detto il Ricco e dalla moglie Berta era enorme: si estendeva praticamente su tutta la Toscana ed i territori limitrofi; sottoposto solo formalmente e in situazioni estreme, all’autorità del re-imperatore. Attraverso Luni, Pistoia e Firenze, i marchesi di Lucca, controllavano tutte le vie di comunicazione italiane dal Nord al Sud, mentre il titolo di Tutores Corsicae Insulae li confermava di fatto come i maggiori artefici della potenza, anche marittima, del mare Tirreno Settentrionale. Nessun emissario del re li affiancava più, tutti i vassalli del re erano divenuti vassalli del duca o vassalli del vescovo che rappresentava l’unica alternativa al potere ducale. Adalberto II poteva quindi svolgere una sua politica autonoma e non condizionata dal potere imperiale, se non in alcuni casi particolarissimi. La morte dell’imperatore Ludovico II ed i contrasti per la sua eredità aprirono la guerra di tutti contro tutti per la conquista del potere. Berta si gettò in questa lotta assieme al marito sostenendolo, consigliandolo e instaurando rapporti epistolari con i vertici del potere reale ed imperiale d’occidente e d’oriente e con le mogli dei signori più importanti dell’Italia di allora. Le residenze dei marchesi di Toscana La residenza urbana dei marchesi di Toscana – Adalberto II e Berta – era situata nella zona fra l’attuale piazzale Verdi e Porta S. Donato ed era circondata da un immenso parco che si estendeva fino a Ponte S. Pietro. Nella zona, dove attualmente si ergono i bastioni che proteggono porta S. Donato, pare sorgesse il palazzo ducale, presso S. Benedetto in Palatio: doveva costituire una realtà  architettonica e topografica  di rilevante  importanza, probabilmente composto di più fabbricati, come la curtis regia e il palazzo vescovile. E’ indicato nei documenti (i giudicati degli scabini[4] e dei vassi imperiali) come corte ducale, palatium, mansio, solarium, ed aveva una cappella palatina intitolata a S. Stefano.  Mentre i documenti degli anni 847, 853, 857, 873, non indicano se la corte ducale fosse dentro o fuori le mura, il documento del 915 è redatto foris hanc urbem Lucanam intus mansionem Adalberti, “fuori dalla città di Lucca all’interno del palazzo di Adalbertoâ€.  Lo stesso termine mansio, anche se può significare complesso di più edifici o palazzo, ha anche il significato di dimora rurale di una certa grandezza. Il palazzo sorgeva nell’isolato tra via Vittorio Emanuele, via del Crocifisso, via S. Paolino, piazzale Verdi. La chiesa del Crocifisso dei Bianchi, che ha preso il posto di S.Benedetto in Palatio è a est di via del Crocifisso. Sicuramente  il palazzo di Adalberto II fu un palazzo suburbano presso l’attuale Porta S. Donato.  Da questi pressi si dipartivano due strade: la Francigena e la Pedemontana per Pisa, ed alla Francigena si univa la strada che usciva dalla postèrula presso S. Tommaso[5]. I Marchesi possedevano anche due splendide residenze in campagna: una a Marlia e l’altra a Vivinaia nei pressi dell’attuale Montecarlo. La famiglia imperiale era presente in Lucca, ed  in particolare in quella zona della città , fin dalla metà del secolo precedente. A testimonianza, infatti, della considerazione, che l’imperatore nutriva per la città in virtù della sua importanza politico e militare, ci rimane una lapide con un’importante epigrafe del secolo IX. Questa lapide proviene dai resti della chiesa di S. Salvatore [6]fondata, nel 783 circa, dal duca Allo: donata nell’anno 851 dall’imperatore Lotario I alla moglie Ermengarda di Tours ed alla figlia Gisla (Gisella?), fu  intitolata a S. Giustina nel secolo XI. E’ la lapide funebre di un’altra Ermengarda, che in questa chiesa era stata suora Benedettina, figlia del re Lotario II di Lotaringia e sorella quindi di Berta di Toscana. L’epigrafe in distici elegiaci, recita: HIC  IACET. IN TUMULO FELIX VENERABILIS ATQUE. – ERMINGARDIS OLIM. NA (m) QUE DICATA DEO. – QUA (m)REX EGREGIUS LOTHARIUS EDIDIT IPSE. – GERMANIÆQUE DECUS. FRANCOR(um)-VE POTENS. – HUC QUISQUIS VENIENS EPIGRA(m)MATA LEGERIS ISTA. – DIC FAMULÆXR(ist)E. PROBA REMITTE TUAE. -:. VIII. ID(us) AUG(usti) FELICITER OBIIT “Qui giace nel tumulo la felice e venerabile Ermengarda, un tempo infatti dedicata a Dio, che l’egregio re Lotario, decoro della Germania, signore dei Franchi, mise al mondo. Chiunque tu sia che qui venendo leggerai questa scritta dì: “O Cristo, rimetti i peccati alla tua servaâ€. Morì felicemente il 25 luglio.†L’iscrizione si trova al primo piano della scala dell’ex Ospedale di S.Luca, oggi sede di uffici giudiziari[7]. [1] La via Francigena La denominazione di via Francigena o Francesca, apparsa la prima volta nell’876 e in seguito sempre più frequente, ne indica la provenienza dalla Francia che, nell’accezione medievale, includeva la Lotaringia e l’asse renano fino ai Paesi Bassi. Ma l’origine della strada è più antica. La sua prima denominazione fu infatti quella di via di monte Bardone, da Mons Langobardorum, che comprendeva gran parte dell’Appennino Tosco-Emiliano e stabiliva il confine tra la sfera d’influenza longobarda e quella bizantina.  Fu proprio a causa della presenza dei bizantini sul litorale toscano, in Lunigiana, in Umbria e sugli sbocchi appenninici orientali, che i Longobardi dovettero cercare un percorso appenninico più occidentale che collegasse il regno di Pavia ai ducati di Spoleto e Benevento. La strada romana che univa Parma a Lucca attraverso il passo di monte Bardone (l’attuale passo della Cisa) si rivelò la più sicura. Da Lucca scendeva verso l’Arno per sfruttare la valle dell’Elsa fino a Siena e di qui, attraverso i corridoi naturali della Val d’Arbia e della val d’Orcia, raggiungeva il lago di Bolsena per immettersi nella via Cassia fino a Roma. Quando con l’invasione della Lunigiana e della Maretima, i Longobardi si sentirono più sicuri, mossi dal fervore per la religione cristiana da poco abbracciata e da una strategia di controllo della nuova strada, si diedero alla fondazione di abbazie e monasteri. Nascono in quest’epoca, tra l’VIII e l’XI sec., la Pieve di S. Maria Assunta a Fornovo che conserva in una nicchia la statua di un pellegrino e all’interno un celebre bassorilievo dell’Antelami, la pieve di monte Bardone, raggiungibile oggi in un paesaggio mosso e boscoso, abbandonando la strada della Cisa in direzione di Calestano. Ad Aulla i Longobardi fondarono S. Capraio, a Pontremoli S. Giorgio, a Lucca, che dovrà alla Francigena il suo sviluppo urbanistico, S. Martino di Ariano.  Quando, nel 774, Carlomagno sconfisse  i Longobardi, la via Francigena accrebbe la sua importanza perché permetteva ai Franchi il collegamento con Roma. Da allora fino alla fine del Medioevo, la strada fu l’itinerario obbligato dei viaggiatori e dei pellegrini di tutta Europa che volevano recarsi a Roma. Con mantello, cappello a larghe tese legato sotto il mento, la bisaccia appesa alla vita per il cibo, l’alto bastone di legno con la punta d’acciaio detto bordone, tutti benedetti,  i pellegrini furono delle figure centrali nell’Europa medievale. Sulla via Francigena si incrociavano i tre grandi itinerari dell’epoca: l’uno diretto a Roma, l’altro a Santiago de Compostela, poiché si passava da Luni per immettersi, al di là delle Alpi, sulla via Tosolana e infine il pellegrinaggio in Terra Santa, destinato solo a pochi privilegiati, che prevedeva l’imbarco a Otranto. – M. Pace Ottieri, sta in Qui Touring, Milano, febbraio 1993. [2] Si trattava del passo della Cisa nell’alta valle della Magra, chiamato allora passo di Monte Bardone, da Mons Langobardorum,. Ćil valico più importante fra l’Appennino ligure e quello tosco-emiliano (m. 1041). [3] VOLTO SANTO DI LUCCA Una complicata leggenda narra che proprio nell’VIII secolo un crocifisso riproducente la “vera†immagine del Salvatore, imbarcato a Giaffa su una misteriosa nave priva di vele e di remi  (un particolare questo che tornerà nei romanzi del Graal), giunse sul litorale tirrenico, a Luni, e da lì fu traslato a Lucca dove si venera sotto il nome divenuto celebre di “Volto Santoâ€. Il vescovo di Lucca, volendo appunto sottrarre la preziosa immagine alla gente di Luni le avrebbe offerto in cambio un’ampolla del sangue di Gesù da lui stesso rinvenuta all’interno del crocifisso. E tale ampolla, da quando la diocesi di Luni fu trasferita a Sarzana, si venera appunto nella cattedrale di quella città , dove esiste la “cappella del Santo Sangueâ€. Nel Santo Volto lucchese possiamo vedere sia un’immagine tradizionalmente autentica del Cristo e al tempo stesso una statua-reliquiario. Dietro alla leggenda della Translatio del Volto Santo da Luni a Lucca si cela una grossa e importante verità storica: il cadere cioè d’importanza di Luni, il cui porto si andava interrando e che soffriva della crisi di molte altre città romane in età altomedioevale, e, al tempo stesso, il crescere d’importanza di Lucca, città che, coloro che dall’ultimo quarto del VI secolo erano i padroni della Toscana, i Longobardi, privilegiavano, e la cui cattedra episcopale stava divenendo, di fatto, la principale della Toscana. Situata a sud di Luni, sulla medesima strada che veniva dall’Oltreappennino ma abbastanza lontana da quel mare che ormai, a causa dei pirati saraceni, stava divenendo fonte sempre meno di guadagni e sempre più di pericoli, la Lucca dell’ VIII secolo era in ascesa quanto in decadenza era la splendida Luni, che, di lì a poco, sarebbe stata difatti saccheggiata dai corsari Vichinghi. Il trasferimento di una preziosa reliquia in un più sicuro centro dell’interno, da un luogo costiero considerato esposto, è stato caratteristico della storia religiosa e sociale dell’Occidente europeo tra VIII e X secolo. Nel cristianesimo popolare del tempo (condiviso anche da gran parte dei ceti dirigenti) l’arrivo di una reliquia era segno di elezione almeno nella stessa misura in cui la sua perdita o distruzione costituiva un segno dell’ira celeste. Franco Cardini [4] Scabini: giudici di una magistratura medievale istituita da Carlo Magno. [5] -Belli Barsali I., La topografia di Lucca nei secoli VIII – XI, sta in: Congressi Internazionali di studi sull’Alto Medioevo, Lucca, 3 – 7 ottobre 1971. [6] Ecclesia Domini et Salvatoris (poi S. Salvatore in Bresciano). Il monasterium il Luca, quod Allo dux edificavit (Mon. Germaniae Historica, Dipl. Karolinorum, III, Berlin 1966 p. 266) è databile circa 783. [7]Isa Belli Barsali, Guida di Lucca,II edizione, Lucca 1970, MPF,  pag. 108. 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Commento by Carlo Capone — 26 Gennaio 2010 @ 13:51
Da non dimenticare il tratto norditalico della via Francigena. Di esso si conservano  pochissime tracce. Ma è certo che sia esistito,altrimenti non si capisce  attraverso quali varchi,   dalla Francia e dalla Svizzera occidentale,  i pellegrini  entrassero in Italia.
 Ebbene, numerosi studi conducono a un tracciato che parte dal Sempione, scende per la Val d’Ossola e , costeggiando il Lago Maggiore, incontra i primi colli dolci e poi la pianura all’altezza di Gozzano (non a caso sede vescovile). Da  qui  si inoltra per un territorio che conosco bene, cioè  Briga Novarese, forse Borgomanero, Cureggio, Cressa, dove c’è un  ricovero degli Ospitalieri per le cure ai pellegrini e il cambio cavalli,  Novara. Dal capologuo   inizia il mistero: qual era il tracciato dalla Lomellina fino a Lucca? a me viene da pensare che puntasse su Alessandria e costeggiasse l’arco appennico ligure,   per poi  immettersi  in Lunigiana.  L’alternativa è l’itinerario Pavia, Mortara, l’ovest Piacentino e quindi la Lucchesia.
Non so, chiedo anche a Bartolomeo che notizie abbia in merito. Â Â
Commento by Vincenzo Moneta — 26 Gennaio 2010 @ 14:45
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Queste informazioni sono veramente preziose. Per parte mia lo studio si è concentrato sull’importanza politica-strategica del controllo dei passi alpini da parte del marchesato di Toscana.
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L’importanza ed il potere di Lucca derivavano dalla sua posizione strategica sulla via Francigena[1]che le permetteva il controllo delle vie di comunicazione tra l’Italia del Nord e quella Centrale: in sostanza il dominio delle vie di accesso a Roma. Infatti, durante le guerre scatenatesi dopo la morte di Carlo Magno per il dominio dell’Italia, i duchi di Lucca ricorsero più volte all’occupazione militare ed al blocco dei passi dell’Appennino Tosco-Emiliano[2].
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I marchesi di Toscana presero parte attiva al “marasma†della vita politica italiana di quegli anni, intervenendo nella disputa per la corona d’Italia.
Lucca aveva il controllo delle vie di accesso a Roma, in particolare attraverso il Passo della Cisa chiamato allora passo di Monte Bardone, e quindi poteva interferire sull’incoronazione imperiale: è infatti solo il papa, comunque eletto, che può incoronare l’imperatore.
Anno 894- Il marchese di Toscana si oppone all’incoronazione di Arnolfo di Carinzia. Adalberto II impedisce ad Arnolfo di Carinzia il passaggio dalla via Francigena occupando, con tutte le forze di cui dispone, i valichi degli Appennini dai quali l’aspirante alla corona imperiale sarebbe dovuto passare per recarsi a Roma.
Anno 907 – Impedita l’incoronazione imperiale. Il marchese Adalberto II fa occupare militarmente il Passo di Monte Bardone per impedire il passaggio di Re Berengario diretto a Roma per essere incoronato imperatore. I marchesi di Toscana temono ch l’elezione di Berengario porti ad una limitazione dell’autonomia della Marca Toscana.
Anni 905 e 908 – I marchesi di Toscana e di Spoleto si oppongono all’incoronazione imperiale di Berengario bloccando i passi fra la Valle del Po e l’Italia Centrale. L’incoronazione di Berengario minaccia il predominio che Adalberto e Berta esercitano su Roma.
La via Francigena
La denominazione di via Francigena o Francesca, apparsa la prima volta nell’876 e in seguito sempre più frequente, ne indica la provenienza dalla Francia che, nell’accezione medievale, includeva la Lotaringia e l’asse renano fino ai Paesi Bassi. Ma l’origine della strada è più antica. La sua prima denominazione fu infatti quella di via di monte Bardone, da Mons Langobardorum, che comprendeva gran parte dell’Appennino Tosco-Emiliano e stabiliva il confine tra la sfera d’influenza longobarda e quella bizantina. Fu proprio a causa della presenza dei bizantini sul litorale toscano, in Lunigiana, in Umbria e sugli sbocchi appenninici orientali, che i Longobardi dovettero cercare un percorso appenninico più occidentale che collegasse il regno di Pavia ai ducati di Spoleto e Benevento. La strada romana che univa Parma a Lucca attraverso il passo di monte Bardone (l’attuale passo della Cisa) si rivelò la più sicura.
Da Lucca scendeva verso l’Arno per sfruttare la valle dell’Elsa fino a Siena e di qui, attraverso i corridoi naturali della Val d’Arbia e della val d’Orcia, raggiungeva il lago di Bolsena per immettersi nella via Cassia fino a Roma.
Quando con l’invasione della Lunigiana e della Maretima, i Longobardi si sentirono più sicuri, mossi dal fervore per la religione cristiana da poco abbracciata e da una strategia di controllo della nuova strada, si diedero alla fondazione di abbazie e monasteri. Nascono in quest’epoca, tra l’VIII e l’XI sec., la Pieve di S. Maria Assunta a Fornovo che conserva in una nicchia la statua di un pellegrino e all’interno un celebre bassorilievo dell’Antelami, la pieve di monte Bardone, raggiungibile oggi in un paesaggio mosso e boscoso, abbandonando la strada della Cisa in direzione di Calestano. Ad Aulla i Longobardi fondarono S. Capraio, a Pontremoli S. Giorgio, a Lucca, che dovrà alla Francigena il suo sviluppo urbanistico, S. Martino di Ariano.
Quando, nel 774, Carlomagno sconfisse i Longobardi, la via Francigena accrebbe la sua importanza perché permetteva ai Franchi il collegamento con Roma. Da allora fino alla fine del Medioevo, la strada fu l’itinerario obbligato dei viaggiatori e dei pellegrini di tutta Europa che volevano recarsi a Roma.
Con mantello, cappello a larghe tese legato sotto il mento, la bisaccia appesa alla vita per il cibo, l’alto bastone di legno con la punta d’acciaio detto bordone, tutti benedetti, i pellegrini furono delle figure centrali nell’Europa medievale.
Sulla via Francigena si incrociavano i tre grandi itinerari dell’epoca: l’uno diretto a Roma, l’altro a Santiago de Compostela, poiché si passava da Luni per immettersi, al di là delle Alpi, sulla via Tosolana e infine il pellegrinaggio in Terra Santa, destinato solo a pochi privilegiati, che prevedeva l’imbarco a Otranto.
– M. Pace Ottieri, sta in Qui Touring, Milano, febbraio 1993.
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[1] Si trattava del passo della Cisa nell’alta valle della Magra, chiamato allora passo di Monte Bardone, da Mons Langobardorum,. Ćil valico più importante fra l’Appennino ligure e quello tosco-emiliano (m. 1041).
Commento by Bartolomeo Di Monaco — 26 Gennaio 2010 @ 14:54
Guglielmo Lera, studioso lucchese deceduto nel 2004, nel libro Sulle vie del primo Giubileo, disegna il tratto della via Francigena che da Fornovo arriva a Fucecchio, San Miniato per Roma. In privato ti invio la piantina.
Comunque, le tappe principali sono: Fornovo, Passo della Cisa, Pontremoli, Aulla, Sarzana, Luni, Massa, Pietrasanta, Camaiore, Montemagno, Passo di Piazzano, Ponte San Pietro (vicino casa mia), Lucca, Porcari, Altopascio , Galleno, Fucecchio, San Miniato.
Commento by Carlo Capone — 26 Gennaio 2010 @ 16:23
Grazie Bart, ricevuto.
Il punto  cruciale  è il passo della Cisa, l’ho capito. Come  è certo il collegamento Sempione -Novara.  Mi chiedo che strada percorressero da Novara  alla Cisa. La Lomellina  di sicuro, e quindi la via emilia in direzione Parma. Per la Cisa devi passare per forza di lì, e d’altra parte in Toscana o ci entri per la Cisa o bordeggiando il golfo ligure. Ma non mi sembra affatto che Genova sia stata longobarda, men che meno franca.
Commento by Bartolomeo Di Monaco — 26 Gennaio 2010 @ 18:09
Devo avere da qualche parte una mappa completa della Via Francigena, ma non sono riuscito a trovarla, ahimè.