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STORIA: Montanelli e Erasmo

5 Novembre 2021

(Da: Indro Montanelli e Roberto Gervaso: “L’Italia della Controriforma”)

“Erasmo sfiorava ormai la cinquantina, e aveva ai suoi piedi l’Europa. I più potenti sovrani se ne disputavano i favori. I più grandi eruditi erano in corrispondenza con lui, e Tommaso Moro gli scriveva: “L’unica cosa che mi dà qualche diritto di sperare di essere ricordato ai posteri è il fatto che voi mi abbiate ritenuto degno delle vostre lettereâ€. I più grandi pittori facevano a gara nel ritrarlo. Holbein batté i rivali per verità e potenza di rappresentazione.
Fisicamente, Erasmo non aveva nulla di suggestivo. Era piccolo, fragile, esangue. Sul suo volto emaciato, malinconico e assorto – il volto dell’intellettuale – facevano spicco un lungo naso a becco e gli occhi azzurri, vivaci e inquieti. Non si era mai sposato, forse per egoismo, forse per bisogno di libertà e di raccoglimento. E pur trovandosi a suo agio nel lusso delle case altrui, quella sua la preferiva semplice, come del resto erano i suoi gusti. Soffriva d’insonnia, e forse questo è il segreto della sua meravigliosa produzione. Sebbene una congenita debolezza di stomaco l’obbligasse a una dieta rigorosa, detestava i digiuni e rifiutava il pesce anche nei giorni di magro. Probabilmente, dice Durant, fu la sua bile a colorare la sua teologia. In compenso beveva molto vino e lo sopportava benissimo: nessuno lo vide mai ubriaco. Diceva d’infischiarsi del denaro, e forse è vero nel senso che non cercò mai di accumularne. Ma quando ne aveva bisogno – e gli succedeva spesso -, non si vergognava di chiederne a dritta e a manca. Anche della gloria diceva d’infischiarsi, ma non perdonava a chi non gliela riconosceva. Chiunque gli rendesse servizio poteva contare sulla sua ingratitudine, e in alcune occasioni si dimostrò spietato, e perfino cinico, come quando, alla notizia che alcuni eretici erano stati bruciati, esclamò: “Che noia, questi roghi! Proprio ora che siamo alle porte dell’inverno, rischiamo di far rialzare il prezzo della legna!â€
Il tratto più caratteristico del suo talento era una straordinaria capacità di concentrazione. All’opposto di Leonardo, i suoi interessi erano limitatissimi. Questo instancabile viaggiatore non si fermò mai ad ammirare l’architettura di una basilica, un affresco di Raffaello, una statua di Michelangelo o di Donatello; non sapeva nulla di scienza, sorrideva dell’astronomia, non riuscì mai a convincersi che la terra fosse rotonda, e ai concerti si annoiava mortalmente. Le uniche sue passioni erano la letteratura e la filosofia classiche. Non che le conoscesse a fondo, o per lo meno in estensione. Leggeva il greco con fatica, di ebraico sapeva poche parole appena. Ma era uno di quei filologi che, sorretti da un gusto e da un intuito infallibili, riescono a penetrare anche ciò che non riescono a leggere. Spesso citava a memoria, senza troppo curarsi dell’esattezza. Nella sua traduzione del Nuovo Testamento, gl’inveleniti teologi contarono quattromila errori. Forse avevano ragione. Ma nessuno di loro sarebbe stato e fu mai in grado di dare a un testo biblico la splendida forma che gli diede Erasmo e di affezionarvi la massa dei lettori.
Di questi lettori c’è da stupirsi che Erasmo riuscisse ad averne tanti, e così entusiasti, pur scrivendo in latino, cioè in una lingua che, ormai non più “parlataâ€, anche letterariamente cominciava a cedere il posto a quelle volgari, dalle quali Erasmo non fu mai tentato. Egli maneggiava malissimo non solo il francese e l’inglese, ma anche il suo fiammingo. In compenso però il suo latino era un modello, e non d’imitazione. Se la struttura del periodo era classicamente ciceroniana, dentro c’erano uno spirito, un’originalità, un’immediatezza, che avevano il potere di trasformare quella lingua morta in una lingua viva, più viva anche di quella del Petrarca.
Questo fu il primo motivo del suo successo di scrittore, ma non il solo. La verità è che Erasmo, più che un grande erudito e profondo pensatore, fu un magnifico, inimitabile giornalista, che “sentiva†il pubblico e rispondeva puntualmente alle sue aspettative. Poteva sbagliare l’impostazione o la soluzione di un problema, ma mai il “tempo†di affrontarlo. Il giubilo con cui nella stamperia di Manuzio assiste, fra torchi e inchiostri, alla nascita della pagina, l’impazienza con cui ne sollecita la composizione per paura ch’essa perda di “attualitàâ€, sono indicativi. Altrettanto lo è la “misura†dei suoi scritti. Erasmo sbaglia il “trattatoâ€, non sempre azzecca il “saggioâ€, ma brillava immancabilmente nell'”articoloâ€, come testimoniano le lettere, insuperati modelli di altissimo reportage, il suo vero capolavoro.
Del giornalista ebbe anche i limiti, e lo dimostra il seguito della sua vita su cui torneremo. Per ora lasciamolo qui a Bruxelles, di dove, appena arrivatoci, scrisse al Cardinale di York: “In questa parte del mondo il mio naso avverte un gran puzzo di rivoluzioneâ€. Questa lettera porta la data del 9 settembre 1517, e ancora una volta dimostra che il suo naso non s’ingannava mai. La rivoluzione scoppiò infatti di lì a due mesi, anche se in Germania invece che in Belgio. Ma il naso di Erasmo, sebbene così lungo e sensibile, non lo fu abbastanza da fargli presentire le proporzioni di un avvenimento destinato a sorpassare anche lui, che tanto aveva contribuito a provocarlo [ndr: la Riforma].
Era la sorte, comune appunto a tanti giornalisti, dell’apprendista stregone.”.


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Bart