STORIA: Poveri e ricchi nel medioevo15 Febbraio 2021 di Bartolomeo Di Monaco PARTE PRIMA: La condizione dei poveri Ä– mia intenzione, con questo breve lavoro, ripercorrere il medioevo, alla ricerca di testimonianze che mi rafforzino nel convincimento che la storia è soprattutto una lotta, una guerra fatta, più che di battaglie, di piccoli, lenti e apparentemente insignificanti movimenti, i quali sono dati dal popolo ovvero dalla moltitudine dei deboli e dei poveri: e ogni volta il movimento impercettibile incontra la resistenza del ricco-potente. HOMO DE POTESTATE Mentre il vassallo, nel medioevo, veniva definito “uomo di bocca e di mani†a significare un’intimità che egli aveva con il signore, pur essendo inferiore a lui, il contadino era chiamato “homo de potestateâ€, cioè che è in potere del signore. “Queste tre parti che coesistono non soffrono per il fatto di essere separate: i servizi resi da una sono la condizione delle opere delle altre due; ciascuna a sua volta si incarica di aiutare l’insieme. Così, questo triplice gruppo non è meno unito, e è così che la fede ha potuto trionfare e che il mondo può godere la paceâ€. Il vescovo Adalberone, autore del passo sopra riportato, scrive anche, nel 1020. “L’altra classe è quella dei servi: questa sventurata genia non possiede nulla se non a prezzo del proprio lavoro. Chi potrebbe, con l’abaco in mano, fare il conto delle occupazioni che assorbono i servi, delle lunghe marce, dei duri lavori? Denaro, vestiti, nutrimento, i servi li forniscono a tutti quanti; nessun uomo libero potrebbe vivere senza i serviâ€. Il povero è, dunque, necessario, non solo perché risparmia al signore il lavoro manuale, esecrato tanto dai nobili che dal clero, ma soprattutto perché permette loro di accumulare la ricchezza, grazie al suo sfruttamento. “Tutti quelli che si sono stabiliti nelle terre dei ricchi subiscono una metamorfosi come se avessero bevuto alla coppa di Circe, poiché i ricchi prendono a considerare come proprio bene quelli che hanno accolto come degli stranieri che non appartengono loro; questi liberi autentici vengono ad essere trasformati in schiaviâ€. E il concilio di Tours, alla fine del regno di Carlomagno, constata: “Per varie ragioni i beni dei poveri sono stati, in molti luoghi, fortemente ridotti, vale a dire i beni di quelli che sono conosciuti per essere uomini liberi, ma che vivono sotto l’autorità di potenti magnatiâ€. OSSESSIONE DELLA FAME Forse l’aspetto più peculiare del medioevo è l’ossessione della fame. Il contadino, lo abbiamo detto, pur di assicurarsi una manciata di cibo, arriva a rinunciare alla propria libertà e diviene oggetto, cosa del padrone. “Renart si trovava nella sua signoria di Malpertuis, ma come era triste e preoccupato il suo cuore, non avendo il minimo nutrimento. Era magro e debole, tanto la fame tormentava il suo ventre. Vede venirsi incontro il figlio Rovel che piange di fame, e Hermeline, la moglie, egualmente affamataâ€. Nella canzone di gesta “Aliscans†il protagonista Renouart riesce a mangiare un pavone in due bocconi. “La fame è uno dei castighi del peccato originale… Dio gli impose dunque la fame perché lavorasse sotto la costrizione di questa necessità e potesse così ritornare alle cose eterneâ€. La fame del medioevo non ha però la sua causa, ovviamente, nel peccato originale. Se è vero che le terre non erano sfruttate al meglio e il contadino imparava appena a conoscere la rotazione triennale e il nuovo attacco del bue o del cavallo all’aratro, bisogna pure ricordare che la popolazione era assai esigua e Parigi, ad esempio, la più popolosa città della cristianità settentrionale, contava non più di 80.000 abitanti e soltanto Venezia e Milano, all’inizio del XIV secolo, superavano i centomila abitanti. “I figli fuggivano abbandonando i cadaveri dei loro genitori senza sepoltura, i genitori abbandonavano le viscere fumanti dei loro figli. Se per caso restava qualcuno per seppellire il prossimo, condannava se stesso a restare senza sepoltura… Il secolo era riportato al silenzio di ere lontanissime: non un grido nelle campagne, non il fischio di un pastore… I frumenti con il tempo di mietere ormai trascorso, aspettavano ancora intatti il mietitore. Le vigne, nell’inverno che già si avvicinava, mostravano sui tralci senza foglie i grappoli lustri… Gli antri dei pastori diventano sepolture umane, e le case degli uomini rifugio di fiereâ€. Insieme ad essa arrivano i danni provocati dai topi, come risulta negli Annali di Basilea del 1271, dalle cavallette nell’873 in Germania, Spagna e, nel 1195, in Ungheria e in Austria. Compaiono intorno al Mille anche varie epidemie come il fuoco di S. Antonio, la lebbra, la risipola (il fuoco di S. Silvano), la tubercolosi, fino al ritorno della peste nel 1348, di cui ci ha lasciato un realistico ritratto il Boccaccio. “Molti, imputridendo sotto l’effetto del fuoco sacro che consumava l’interno del loro corpo, mentre le membra bruciate annerivano come carbone, morivano miseramente; oppure, perduti mani e piedi perché andati in putrefazione, erano risparmiati per vivere ancora più miseramenteâ€; Da “Vitae Paparum Avenionensium: Clementis VI Prima vita†stralciamo, invece, queste righe sulla grande peste del 1348 in Provenza: “Molti anche, colpiti dal male e che si pensava fossero destinati a sicura e rapida morte, erano trasportati, senza la minima discriminazione, alla fossa per essere inumati: così un gran numero fu seppellito vivoâ€. Nel 1221 la Polonia è colpita dalla carestia; nel 1223 è la volta della Francia, nel 1263 tocca alla Moravia; nel 1277 all’Austria: “Vi fu in Austria, in Illiria e in Carinzia una tale carestia che gli uomini mangiarono gatti, cani, cavalli e cadaveriâ€; nel 1280 è Praga a subirla. “In Genova fu un tempo un gran caro, e là si trovavano più ribaldi sempre che in un’altra terra. Tolsero alquante galee e tolsero conducitori e pagarli, e mandaro il bando, che tutti li poveri andassero alla riva ed avrebbero del pane comune. Andarvene tanti, che meraviglia fu… Andaro suso. I conducitori furo presti: diedero dei remi in acqua, ed apportarli in Sardegna. E là li lasciaro…â€; o è costretto al suicidio: “una terribile carestia si diffuse nel popolo e lo distrusse… Si dice che spesso quaranta o cinquanta persone, spossate dalla fame, s’incamminassero insieme verso l’abisso o verso il mare e vi si precipitassero tutte insieme tenendosi per mano†(Beda) La più terribile di tutte fu, tuttavia, la carestia del 1032-1034, di cui il monaco Raoul Glaber ha lasciato questa impressionante testimonianza: “Gli uomini si misero, sotto l’impulso di una fame divorante, a raccattare per mangiarle ogni sorta di carogne e di cose orribili a dirsi. Per sfuggire alla morte alcuni ricorsero alle radici delle foreste e alle erbe dei fiumi. Infine… cosa sentita raramente nel corso dei secoli, una fame furibonda fece sì che gli uomini divorassero carne umana. Dei viaggiatori venivano rapiti da gente più forte di loro, le membra venivano fatte a pezzi, cotte al fuoco e divorate. Molti che andavano da un posto ad un altro per sfuggire alla carestia e avevano trovato, strada facendo, ospitalità , furono sgozzati durante la notte e servirono di nutrimento a quelli che li avevano accolti. Altri, adescando i bambini con la vista di un frutto oppure di un uovo, li attiravano in luoghi appartati, li massacravano e li divoravanoâ€. PARTE SECONDA: La condizione dei ricchi Il sistema feudale poggiava sull’accaparramento di quasi tutta la produzione rurale assicurata dai contadini. Ad essi restava appena il necessario per vivere. “La Corsica è talmente oppressa dalla tirannide degli esattori e dal peso delle imposte che gli abitanti possono provvedervi a stento vendendo i loro figliâ€. Mentre il contadino trova nel pane la soddisfazione e la ricompensa delle sue estenuanti fatiche (la durata media della sua vita è di 30 anni), alla fine del medioevo (1488), il signore si siede a tavola per mangiare: “spà resi molto belliâ€, “picciole polpe con ficatelliâ€, “carne di starne arrostitaâ€, “teste di vitelle e manzetti intiereâ€, “capponi, salami, presuti, cingaliâ€, “castrato intiero arrostoâ€, “tortore, pernici, fagiani, quaglie, dordi, beccafichiâ€, “pollastri cotti con zuccaroâ€, “pavone arrosto con diversi condimentiâ€, “mistione di uovi, latte, salvia, fior di farina e zuccaroâ€; e tutto “in piatti d’argento e d’oro et erano accompagnate da fiaccole accese e trombe che andavano suonando avanti le vivande; e nelle medesime fiaccole v’erano gabbie d’uccelli e quadrupedi di tutte quelle sorte di viventi che furono mandati in tavola cotti; e appresso furono introdotti nel luogo del convito commedianti, rappresentatori, saltatori e cianciatori oltre ai trombetti, ai suonatori, ai musici eccellenti e ad altri che correvano sopra la corda…†(da “Historie del lago Maggiore, del Ticino e di Milano†di fra Paolo Morigi milanese). Ma il piacere della tavola non era sufficiente ad appagare il signore e, quanto più il contadino si affannava e torturava nel lavoro, egli ne consumava il profitto inseguendo ideali di guerra, alla ricerca del prestigio e della gloria. “Ve lo dico: nulla per me ha sapore, / nè mangiare, riè bere ° dormire, / quanto il sentir gridare: “Avanti!†/ dalle due parti, e sentir nitrire / cavalli disarcionati, nella foresta, / e gridare: “Aiuto! Aiuto†/ e veder cadere nei fossati / grandi e piccoli nella prateria, / e veder i morti con nel costato / pezzi di lancia e con i loro stendardiâ€. LA CHIESA In un periodo storico in cui il povero è addirittura tipizzato come un vivente brutto, goffo, dagli occhi distanti, stupido, la Chiesa non muove un passo per lui. “Buona gente, date al vostro signore terreno quello che gli dovete. Voi dovete credere e capire che al vostro signore terreno dovete censi, taglie, cottimi, servizi, trasporti e cavalcate. Date tutto in tempo e in luogo debito, integralmenteâ€. E nel 1336, l’abate cistercense di Vale Royal, nel Cheshire, gli fa eco, facendo giurare sulle Sacre Scritture a suoi contadini di essere: “dei villani, loro e i loro figli dopo di loro, per tutta l’eternità …â€. “I contadini che lavorano per tutti, che si stancano continuamente in tutti i tempi, con tutte le stagioni, che si danno ai lavori servili disprezzati dai padroni, sono oppressi incessantemente, e questo per provvedere alla vita, ai vestiti, alle frivolità degli altri… Sono perseguitati con l’incendio, con la rapina, con la spada; sono gettati nelle prigioni e in catene, poi sono costretti al riscatto, oppure si fanno morire violentemente di fame, si infliggono loro ogni genere di supplizi…â€. Alleata al signore, la Chiesa ignora il povero e occupa il suo tempo ad accrescere la potenza e la ricchezza. Presto sarà alleata anche del mercante, prima disprezzato, e lo difenderà davanti alla oziosa classe signorile. «la penuria cessò; quell’approvvigionamento bastò alla città di Bruges, nonché a Ardenburg e a Oudenburg per un annoâ€. Qualche volta la Chiesa sembra, sottilmente, prendere la parte del povero; in realtà è l’interesse di ricchi abati e vescovi che difende, come in questo patto di pace che il vescovo Warin di Beauvais sottopose al re Roberto il Pio: “Non porterò via né bove, né vacca, né altra bestia da soma; non prenderò né il contadino, né la contadina, né i mercanti, non prenderò per niente i loro denari e non li costringerò a riscattarsi. Non voglio che essi perdano il loro avere a causa della guerra del loro signore e non li fustigherò per togliere loro la sussistenza. Dalle Calende di Marzo fino a Ognissanti non prenderò né cavallo, né giumenta, né puledro sui pascoli. Non demolirò i mulini e non prenderò la farina che vi si trova…â€. Spontanea e terribilmente amara risulta così questa esclamazione di un anonimo ecclesiastico del XII secolo: “noi, i capi della Chiesa, siamo più timidi dei rozzi discepoli del Cristo, all’epoca della Chiesa nascente. Noi neghiamo o taciamo la verità per timore dei secolari; noi neghiamo il Cristo, la verità stessa! Quando il predatore si getta sul povero, noi rifiutiamo di portare aiuto a questo povero. Quando un signore tormenta il pupillo o la vedova, noi non gli andiamo contro: il Cristo è sulla croce e noi facciamo silenzio!†Il suo molto denaro la Chiesa sapeva dove spenderlo: in cattedrali e nel lusso dei prelati. Essa teneva gli occhi tanto alti al cielo da non accorgersi che il popolo di Dio aveva fame. “Cosa si vuol ottenere con tutto ciò? Forse di far sorgere nei cuori il timore di Dio, la pietà e il pentimento? o vanità delle vanità , anzi vanità non tanto inutile quanto piuttosto senza criterio. Splende la chiesa nelle sue pareti, ma langue nella persona dei poveri; ricopre d’oro le proprie pietre, ma abbandona nudi i suoi figli. Con quanto si sottrae ai bisognosi, si reca servizio agli occhi dei ricchiâ€, Sugero di San Dionigi risponde: “Tengo fermo che noi dobbiamo anche rendere onore al rito del Santo Sacrificio… per mezzo dello splendore dei vasi sacri, di ogni forma di purezza interiore sì, ma anche di magnificenza esterioreâ€. Alla fine del medioevo, nel 1478, John Morton, vescovo di Ely, dà un banchetto “grande e costoso†durante il quale sono serviti circa 33 squisiti e ricercati piatti. LA RIVOLTA DEI CONTADINI Tanto il signore che la Chiesa, gaudenti compagni nella spartizione del bottino medioevale a danno dei poveri, sapevano quel che facevano. “E siccome avevano delle armi, dispiaceva loro che si potesse pensare che essi non erano tanto coraggiosi quanto il popolo di Worms e sembrò loro vergognoso di essere sottomessi come delle donne al potere dell’arcivescovo che li governava tirannicamente.†A Le Mans, nel 1070, la rivolta è diretta contro Guglielmo il Bastardo. Il cronista dell’episodio, un ecclesiastico, commentando gli eccidi che i contadini compirono, conclude, con significativa ipocrisia: “E fecero tutto questo senza ragioneâ€. “Gli abusi, le prepotenze, la miseria li spingevano maggiormente a desiderare di prender parte ai magistrati e di entrare nei Consigli, per migliorare la propria condizione. Pertanto una ragione economico-politica incalzava il popolo minuto e gl’infimi artefici, o Ciompi, a chiedere riformeâ€. Che la condizione dei poveri fosse la medesima in tutta Europa e che il sistema feudale tenesse gli umili come in una ferrea morsa di stenti e di soprusi, lo dimostra il fatto che queste sollevazioni si ebbero dappertutto, a catena o consentanee: nel Belgio, in Francia, in Italia, in Germania, in Inghilterra, in Boemia. “li rese tutti tristi e dolenti: / a parecchi fece strappare i denti / e gli altri fece impalare, / levare gli occhi, tagliare i pugni, / a tutti fece arrostire i polpacci / anche se ne dovevano morire. / Altri furono bruciati vivi / o immersi nel piombo bollenteâ€. Se da una parte il medioevo ha rafforzato il potere nelle mani dei ricchi e dallo sconvolgimento portato dai barbari sono stati essi a trarre il maggior vantaggio, dando alla società una struttura rigidamente gerarchica, questa ha generato i molti movimenti popolari, grandi e piccoli che, non tollerando la crudezza e l’inumanità dell’oppressione, hanno lentamente maturato nell’umile servo il sentimento dell’uguaglianza sociale. “Siamo uomini fatti a somiglianza del Cristo e ci trattano come bestie selvaggeâ€. La corsa verso l’uguaglianza sociale, tuttavia, non è ancora finita. (Fonti: “Storia d’Europa†di David Thomson, Feltrinelli 1963; “La società feudale†di Marc Bloch, Einaudi 1949; “La voro e tecnica nel medioevo†di Marc Bloch, Laterza 1969; “Signori, Contadini, Borghesi. Ricerche sulla società italiana nel basso medioevo†di Giovanni Cherubini, La Nuova Italia 1974; “L’economia rurale nell’Europa medievale†di Georges Duby, Laterza 1970; “Storia d’Europa dalle invasioni al XVI secolo†di Henri Pirenne, Sansoni 1956; “Le città nel medioevo†di Henri Pirenne, Laterza 1971; “Breve storia economica dell’Italia medievale†di Gino Luzzato, Einaudi 1958; “Storia d’Europa†di A.H.L. Fisher, Laterza 1969; “L’autunno del medio Evo†di Johan Huizinga, Sansoni 1966; “Il Medio Evo†di Gioacchino Volpe, Sansoni 1969; “La rivoluzione commerciale nel medioevo†di Roberto S. Lopez, Einaudi 1971) Letto 634 volte.  Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||