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La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

Troppo odio farà nascere il mito Berlusconi

10 Giugno 2009

Le recenti elezioni europee e amministrative, che hanno visto crescere presso gli italiani il successo e la popolarità personali di Silvio Berlusconi, hanno per il nostro Paese un significato del tutto speciale su cui riflettere.
Per la verità, già da qualche anno le avvisaglie c’erano, ma un’opposizione sorda e cieca, intellettualmente confusa, non ne ha mai voluto tenere conto.
Berlusconi fu accolto dagli italiani (me compreso),  sconvolti dal marcio venuto alla luce dall’operazione Mani Pulite, come un uomo diverso, che non usciva dalle scuole di partito, ma si era fatto da sé e conosceva la realtà e i nostri problemi molto meglio dei politici di quegli anni.
Sconfitto dopo pochi mesi dalla Lega di Bossi (creatura nata e cresciuta grazie all’irresponsabilità dell’ex presidente della repubblica Oscar Luigi Scalfaro, che le consentì praticamente tutto, perfino di avere un parlamento autonomo), Berlusconi   ha avuto con gli elettori un’alternanza di simpatie. Fu sconfitto, vinse di nuovo, fu sconfitto un’altra volta, finché l’opposizione, ostinata nel volerlo eliminare dalla scena, non decise di prendere di mira non più la sua  politica, bensì la sua persona. Nacque così l’antiberlusconismo che ponendo l’uomo, e non la sua azione di governo, al centro dell’attenzione, ne accrebbe a poco a poco la popolarità.
Quel detto che recita all’incirca: Parla male di me, ma parlane, non trova nella storia del nostro Paese un esempio migliore. Così Belusconi, grazie all’antiberlusconismo, si trovò spianata la strada ad una nuova vittoria nelle elezioni del 2008. Non contenta, bensì ancora frastornata dall’odio, l’opposizione qualche mese fa, in vista delle elezioni europee e amministrative, cosa si inventa?: una nuova strategia: irrompere nella vita privata di Berlusconi, quella più intima, di cui conosce i difetti e gli eccessi. Così nascono i casi di Veronica Lario (che continuano qui), di Noemi Letizia, delle foto a Villa Certosa in Sardegna.
Il risultato conseguito dall’opposizione è sotto gli occhi di tutti. Un fallimento assoluto.
Franceschini, il più ostinato sulla linea del gossip e pedissequo al quotidiano La Repubblica, farà i conti con il suo schieramento in autunno, ma noi italiani con gli errori della opposizione facciamo invece i conti da subito. E questi ci dicono che l’opposizione, con il suo odio e i suoi errori conseguenti, sta per consegnarci, se non ci fermiamo a tempo, non più l’uomo sceso in campo nel 1994, ma un mito. Sì, perché oggi, dopo la campagna elettorale tutta basata sul gossip, Berlusconi non è nemmeno più l’imperatore definito da Veronica Lario, ma sta marciando diritto diritto verso il mito.
Ha tutte le carte per diventarlo. È straricco, si circonda di belle donne, sa comunicare con la gente, è simpatico, mostra di saper fare cose concrete in politica; quando viaggia per i suoi doveri di premier fa regali di sogno alle donne che incontra, acquistati con denari suoi; nel mondo dello spettacolo – ambito dagli uomini e soprattutto dalle donne – ha una potenza di fuoco da fare invidia ai cannoni di Navarone. Ci sono tutti gli ingredienti, insomma, per accendere ed esaltare intorno alla sua figura l’immaginario collettivo. Solo chi prova un odio profondo verso di lui, come fu per Scalfaro ed oggi per Franceschini, non può rendersi conto dell’enorme danno che sta arrecando al Paese.
Perché di questo si tratta. Fra poco gli italiani guarderanno a Berlusconi non più soltanto come politico, ma terranno conto anche   dell’alone magico che circonda la sua persona di uomo ricco, potente, in grado di levarsi ogni capriccio e ogni soddisfazione; l’uomo che, fattosi da sé, è arrivato a diventare presidente del consiglio dopo averlo dichiarato al momento della sua discesa in campo. Un uomo a cui riesce tutto, guidato dalla buona stella.
Come ho dato a Oscar Luigi Scalfaro la responsabilità di aver permesso alla Lega Nord di crescere e di radicarsi nel Paese, così do alla opposizione tutta intera la responsabilità di fare di Berlusconi un mito.
In politica non è come nel mondo del calcio e dello spettacolo: in politica i miti servono solo a confonderci le idee.


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14 Comments

  1. Commento by Felice Muolo — 11 Giugno 2009 @ 10:04

    Non è finita, Bart: dimentichi che Berlusconi punta alla presidenza della repubblica. Farà di tutto per arrivarci. E il contrario di tutto. Come si è comportato finora, quando voleva raggiungere un obiettivo e ci riusciva.

  2. Commento by Bartolomeo Di Monaco — 11 Giugno 2009 @ 10:24

    Mi piacerebbe che si riuscisse a valutare l’uomo per ciò che fa di concreto. Ho paura che l’alone suggestivo che può circondarlo, non ci aiuti a valutare il suo operato lucidamente.

    Io, per esempio, sono tra quelli che ho voluto mettere alla prova Berlusconi, viste le incapacità dei governi della sinistra. Tirerò le somme alla fine del suo mandato, però vorrei poter riuscire a giudicarlo per quello che ha fatto e non per la fama di uomo ricco, onnipotente e protetto dalla buona stella.

    La sinistra rischia di mettere all’attenzione degli italiani proprio questo. Non mi piace.

    Anche il successo della Lega non mi piace. Ho paura che se la Lega alzerà la posta (mi pare lo stia già facendo), cadrà il governo e il PD, come fece nel 1994, concederà tutto alla Lega pur di tornare al potere. Non sono d’accordo con il ripristino delle gabbie salariali, come pure voglio votare sì al referendum (troppi partiti). Il PDL dovrà soggiacere alle pretese della Lega (sì alle gabbie; no al referendum)?

    Gli italiani, incrementando a quel modo la Lega non hanno pensato alle conseguenze. Speriamo che le mie siano solo preoccupazioni eccessive.

  3. Commento by Giorgio Di Costanzo (Ischia) — 12 Giugno 2009 @ 15:06

    Roma, domenica 30 agosto 1970, ore 19.00: in via G. Puccini, nella residenza dei marchesi Casati, si consumò un feroce delitto. L’indomani, le pagine dei quotidiani, così descriveranno il fattaccio: “il marchese Casati uccide la moglie con il giovane amante e poi si spara†. Sei colpi di un fucile da caccia: una carabina Browning calibro 12.Le origini di questa vicenda vanno ricercate anni prima. Nel 1958 Anna Fallarino, moglie dell’ingegnere Peppino Drommi, conobbe a Cannes il marchese Camillo Casati Stampa di Soncino. Ragazza del sud, di modeste origini e di una bellezza perturbante, venuta a Roma per sfondare nel cinema, Anna Fallarino accese subito la passione del marchese Camillo Casati, nonostante anch’egli fosse già sposato e, in più, legato da profonda amicizia al di lei marito. Appena un anno dopo, nel 1959,

    la Sacra Rota annullò i due matrimoni e Anna Fallarino divenne la marchesa Casati Stampa: privilegi dei ricchi!La fortuna dei marchesi Casati era notevole: palazzi a Roma e Milano, tenute ad Arcore e Velate Milanese oltre all’isola di Zannone, nell’arcipelago pontino, barche, scuderie ecc. Un matrimonio di esemplare mondanità: ricevimenti, vernissage, prime d’Opera; lei sempre splendida ed elegantissima. All’indomani della tragedia, il diario del marchese, foderato in raso verde, svelò ai magistrati un inquietante lato oscuro nella loro vita coniugale.

    “…al mare con Anna ho inventato un nuovo gioco. L’ho fatta rotolare sulla sabbia, poi ho chiamato due avieri per farle togliere i granelli dalla pelle con la lingua…â€

    “…oggi Anna mi ha fatto impazzire di piacere. Ha fatto l’amore con un soldatino in modo così efficace che da lontano anche io ho partecipato alla sua gioia. Mi è costato trentamila lire, ma ne valeva la pena…â€

    Più di 1500 scatti della marchesa, nuda o con altri uomini, furono trovati a corredo degli incontri descritti nel diario. Il piacere voyeristico del marchese cessò quando ebbe la consapevolezza che le scelte sessuali della consorte sfuggivano alla sua regia. Massimo Minorenti, 25 anni, studente di Scienze Politiche, divenne l’amante della donna. Fu questa la causa del tragico gesto che appare evidente in ciò che scrisse il marchese poco prima: “Muoio perché non posso sopportare il tuo amore per un altro uomo. Quel che faccio lo devo fare…â€

    Quel 30 agosto l’appuntamento che il marchese Casati fissò con la moglie e il giovane amante di lei, era talmente importante da fargli disdire un incontro con la figlia, Anna Maria, avuta da un precedente matrimonio. Fu il tutore dell’allora minorenne Anna Maria Casati Stampa ad occuparsi, nel 1973, della vendita della tenuta di famiglia ad Arcore. La tenuta dei Casati consisteva in 3500 mq, una pinacoteca con opere del Quattrocento e Cinquecento, una biblioteca con circa 3000 volumi antichi, un parco immenso, scuderie e piscine. Un valore inestimabile che venne venduto per la sospetta cifra di 500 milioni. L’acquirente era un imprenditore milanese: Silvio Berlusconi. L’allora tutore della giovane figlia del marchese Casati, invece, un avvocato romano che rispondeva al nome di Cesare Previti.La compravendita fu ufficialmente conclusa nel 1980. Anna Maria Casati Stampa, disinteressandosi quasi completamente, fu pagata a rate e alcune azioni girate dall’imprenditore a copertura dell’importo risultarono insolvibili. Nel frattempo, presentando come garanzia la villa di Arcore, Silvio Berlusconi ottenne dalle banche la copertura di 7 miliardi e 800 milioni

  4. Commento by Giorgio Di Costanzo (Ischia) — 12 Giugno 2009 @ 15:14

    Roma, domenica 30 agosto del 1970, attico al 9 di via Puccini, verso Villa Borghese. Il marchese Camillo Casati Stampa di Soncino, quarantatré anni, abbatte con un fucile da caccia la moglie Anna Fallarino, quarantun anni, e lo studente Massimo Minorenti, venticinque anni, suo amante; quindi s’ammazza. Chi dei due coniugi è morto per ultimo? Da un respiro dipende la destinazione dell’eredità (i giornali favoleggiano di tre-quattrocento miliardi) che comprende una villa in Brianza: LA VILLA DI ARCORE. Se per ultima è morta Anna Fallarino, sua sorella e i genitori erediteranno la loro parte. Se per ultimo è morto il marchese, erediterà tutto la marchesina Annamaria, nata nel 1951 dal primo matrimonio con Letizia Izzo.

    La sorella di Anna Fallarino è una buona conoscente del giovane avvocato Cesare Previti, trentasei anni, nato a Reggio Calabria ma romano dall’infanzia, che l’incarica di patrocinare gli interessi dei Fallarino. Le perizie medico-legali tolgono presto ogni dubbio: l’ultimo a morire è stato il marchese, tutto andrà alla giovane figlia Annamaria. Ma Previti non esce per questo di scena. “Benché disponga del mandato per la tutela dei Fallarinoâ€, si propone alla marchesina Annamaria, che ne accetta l’assistenza legale. Vi è un problema però: Annamaria ha diciannove anni( per la legge dell’epoca è minorenne), il Tribunale minorile l’affida, lei consenziente, a un vecchio amico dei Casati, l’avvocato Giorgio Bergamasco, senatore liberale. Bergamasco tutore, Previti pro-tutore. Sarà la sua rovina. Sconvolta dalla tragedia, braccata dalla stampa (che aveva pubblicato le perversioni sessuali del padre suicida, scritte nei diari trovate nella stanza del massacro), Annamaria lascia l’Italia (vivrà stabilmente a Brasilia dopo aver sposato Pier Donà Dalle Rose).

    Il 26 giugno 1971 il tutore Bergamasco, buon tributarista, presenta all’Ufficio delle imposte la denuncia di successione, inventario analitico dei beni ereditati dalla marchesina minorenne: valore dichiarato, compresi liquidi, titoli azionari, mobili e gioielli, 2 miliardi 403 milioni; che si riducono a un miliardo 965 milioni tolti i debiti e le tasse e imposte da pagare.

    Compiuti i ventun anni il 22 maggio 1972, l’ereditiera è libera ormai di occuparsi delle proprie cosa da sé; ma per la difficoltà obiettiva di amministrare il patrimonio in Italia da Brasilia, crede di trovare una soluzione nominando il 27 settembre 1972 procuratore generale, “rimossa ogni limitazione di mandatoâ€, l’ex-tutore Bergamasco. L’ex-pro tutore Previti resta suo avvocato. Gli si rivolge nell’autunno del 1973 incaricandolo di vendere la villa di Arcore, “con espressa esclusione degli arredi, della pinacoteca, della biblioteca e delle circostanti proprietà terriereâ€. Il compratore è presto trovato. In una telefonata a Brasilia, Previti annunzia tripudante, e confidando nell’esultanza della marchesina, il nome dell’acquirente, il magnate Silvio Berlusconi, largo il prezzo, 500 ( o 800 secondo altre fonti) milioni (largo? per una villa settecentesca di 3 mila 500 metri quadri, completa, in difformità dall’incarico, di pinacoteca con tele del Quattrocento e del Cinquecento, di biblioteca con diecimila volumi antichi e d’un parco immenso?). Il valore di un comune appartamento nel centro di Milano. Un raggiro; tanto più che Berlusconi dilazionerà il pagamento negli anni, e le tasse continua a pagarle la marchesina. Tra lei e Previti i primi dissapori.

    Il 4 maggio 1977 è costituita a Roma l’Immobiliare Idra, della galassia berlusconiana. Entrano nel collegio sindacale Umberto Previti e, sino al 28 giugno 1979, il figlio Cesare. Alla Immobiliare Idra sarà intestata la villa di Arcore. “Previti è sì l’avvocato di fiducia della venditrice marchesina Casati Stampa, ma, al tempo stesso, e all’insaputa della sua assistita, ha diretti interessi nel gruppo berlusconianoâ€.

    L’atto pubblico di vendita innanzi a notaio è sottoscritto sei anni dopo la cessione, il 2 ottobre 1980. Rappresenta Annamaria, parte venditrice, il procuratore generale Bergamasco; rappresenta l’Immobiliare Idra, parte acquirente, il suo amministratore unico, Giovanni Del Santo, commercialista prestanome. La villa settecentesca già residenza dei conti Giulini e dei marchesi Casati Stampa è così indicata nel rogito: “Casa d’abitazione con circostanti fabbriche rurali e terreni a varia destinazioneâ€. Subito dopo la “casa di abitazione†pagata mezzo miliardo a rate sarà ritenuta dalla Cariplo garanzia congrua per un finanziamento di 7 miliardi 300 milioni (fidejussione dell’Immobiliare Idra in favore della Cantieri Riuniti Milanesi: da Berlusconi a Berlusconi) e dal Monte dei Paschi di Siena per un ulteriore finanziamento di 680 milioni all’Immobiliare Idra.

  5. Commento by Giorgio Di Costanzo (Ischia) — 12 Giugno 2009 @ 15:28

    COME NASCE L’AMICIZIA TRA BERLUSCONI E CESARE PREVITI

    Nel libro di Corrado Augias dal titolo “I segreti di Roma” si narra l’ascesa del giovane avvocato Cesare Previti in un piccolo paragrafetto sul delitto di Via Puccini a Roma il 30 agosto del 1970.

    Il conte Camillo Casati Stampa da Soncino era proprietario di varie dimore, fra cui la villa settecentesca di Arcore, in Brianza, impreziosita da una collezione di quadri del Quattrocento e del Cinquecento e da una biblioteca di 10 mila volumi.

    Sposò in seconde nozze Anna Fallarino nata il 19 marzo 1929 ad Amorosi, provinia di Benevento divenuta, per matrimonio, marchesa Casati Stampa di Soncino.

    Alla morte dei coniugi Soncino il marchese nomina erede Annamaria, figlia della prima moglie. La famiglia Fallarino rivendica l’eredità e viene assistita da un avvocato: Cesare Previti. Questi, nonostante rappresenti gli interessi dei Fallarino, contatta la giovane Annamaria offrendole la propria assistenza. Lei accetta. Parte per il Brasile e chiede all’avvocato Previti di vendere il patrimonio ricevuto in eredità.

    Nel 1974 l’avvocato Previti telefona all’ereditiera annunciandole trionfante di avere concluso un vero affare. Ha venduto la villa di Arcore al completo per 500 milioni di lire. “Il prezzo di un buon appartamento al centro di Milano” commenta Corrado Augias, autore del libro.

    Il costruttore Silvio Berlusconi, che è l’acquirente, s’insedia (1974) nella lussuosa villa. Pagherà in comode e lunghissime rate annuali coincidenti con le scadenze fiscali di Annamaria Casati, nonché con le numerose pendenze verso l’eraio del suo defunto padre Camillo. Così fino al 1980 Annamaria resterà proprietaria della proprietà di Arcore e continuerà a pagarne le tasse di proprietà.

    Poco tempo dopo l’acquisto la casa pagata 500 milioni di lire a rate, sarà ritenuta dalla Cariplo garanzia sufficiente per un finanziamento di 7 miliardi e 300 milioni di lire.

  6. Commento by Giorgio Di Costanzo (Ischia) — 12 Giugno 2009 @ 15:31

    Qui il marchese Camillo Casati uccise moglie e amante dopo un incontro a tre
    MARCO VENTURA (“La Stampa”)
    ROMA
    Può darsi che nell’ampio salone studio al terzo piano dell’edificio nobiliare di via Puccini 9, nel cuore della Roma bene ai Parioli, quel lontano 30 agosto 1970 i sei colpi della carabina calibro 12 abbiano risuonato all’esterno come altrettante bottiglie di champagne che l’eccentrico marchese Camillo Casati Stampa di Soncino, «Camillino », 43 anni mal portati, rampollo della ricca e blasonata schiatta lombarda, infallibile cacciatore, e la marchesa Anna Fallarino in Casati, 41 anni divinamente esibiti, avevano stappato per festeggiare le acrobazie erotiche con l’ultimo amante di lei, il venticinquenne studente fuori corso di scienze politiche Massimo Minorenti, complice nel vizio segreto della nobile coppia per i triangoli erotici e i giochi voyeristici.

    I sei colpi dovettero turbare lì per lì solo qualche uccellino che cinguettava nei prospicienti giardini di Villa Borghese. O qualche cicala incantata a lanciare la sua inutile ossessione estiva. Era sera, era agosto, e c’era lo stesso silenzio di oggi, nell’attico e superattico dei Casati Stampa dove dal 1991, ventuno anni dopo quel delitto che fece epoca, abita felicemente l’editore del «Secolo XIX », Carlo Perrone, della storica famiglia editrice del «Messaggero », che ci fa gentilmente strada. Perrone non ha con i Casati Stampa rapporti di parentela, ha ereditato l’appartamento da Delia Di Bagno, nonna della moglie, che da loro li acquistò. E non se ne duole affatto. «Il fatto è successo tanti anni fa, per me qui non aleggia proprio più nulla ».

    La sala dell’omicidio
    C’è lo stesso silenzio, ma oggi è la residenza romana di un appassionato velista con quattro figli, che in agosto ancora lavora nel suo ufficio romano, ampio ingresso nel 1970 dell’appartamento. Il salone dell’omicidio non esiste più, vittima delle ristrutturazioni per ricavare stanze e disimpegni, ma c’è il salone gemello al piano di sopra, il quarto, l’attico, al quale era collegato da una scala adesso murata che dava nell’attuale biblioteca, in penombra, raccolta, profumata della carta di volumi ben tenuti, che a sua volta immette in un vasto soggiorno affacciato panoramicamente sul verde e sui palazzi di Roma, da un lato San Pietro, dall’altro i viali di brecciolino rosa-viola e il parco verde slavato dal quale emerge l’edificio elegante e romanamente ocra del Museo di Villa Borghese.

    C’è il silenzio che c’era quel 30 agosto, la stessa vista, perché da qui Roma non sembra cambiata. Oggi come allora, la terrazza è adorna di rampicanti. Quel giorno aveva gli stessi colori dell’estenuato tramonto capitolino, ma anche altre, più inquietanti sfumature. C’era la storia «a luci rosse » che negli anni delle letture di nascosto di Playboy per sbirciare un seno patinato, agli albori della rivoluzione sessuale, provocò clamori oggi inimmaginabili.

    C’era il rosso sangue nel salone, anche se nell’efferatezza del duplice omicidio e del suicidio che subito seguì, i poliziotti rimasero stupiti dalla scarsità di globuli rossi, quasi che nobili come quelli ne avessero meno di noi comuni mortali. C’era il blu del sangue che scorreva nelle vene dell’assassino, ma non in quelle di Anna Fallarino, nata povera a Benevento, attrice mancata, sposata con un imprenditore romano al quale scriveva: «Spero tanto che la madonnina ci faccia sposare presto ».

    Insomma donna abile, avvenente, della quale il marchesino s’invaghì fino a spendere una fortuna per annullare davanti alla Sacra Rota il matrimonio di lei e il proprio, convolando insieme a nozze in Svizzera nel 1959, incalzati dall’ardente passione, poi in Italia nel 1961, in una più timorata cerimonia religiosa. Da allora fu un tran-tran d’élite tra corse di cavalli, battute di caccia nell’isola di Zannone delle Ponziane, «prime » della Scala e salotti esclusivi accanto a celebrità e aristocratici, lei fotografata in vesti sfarzose e collier di diamanti, «Camillino » in frac col pollice fuori dalla tasca.

    E c’era il nero del delitto che si consumò quella sera. Il marchese diede ordine alla servitù di non disturbare l’incontro a tre, qualsiasi cosa fosse successa. Non era la prima volta che la marchesa si era concessa ad altri, spinta dal marito al quale piaceva assistere. Lui godeva di vedere quel corpo amato che veniva posseduto da maschi di passaggio, da lui stesso raccolti e prezzolati.

    La gelosia
    Ma non sopportò l’idea che un ragazzino potesse conquistarne anche il cuore. Così imbracciò la carabina, sparò nel seno ad Anna, riversa sul divano, provocando la fuoriuscita di silicone che avrebbe fatto sorridere il medico legale spiegando agli agenti cos’era quel fluido bianco che gonfiava un seno già sontuoso, inseguì lo studentello fin sotto la scrivania, lo freddò, quindi si appoggiò sul divano e si mise la canna sotto il mento, il calcio puntato sulla spalliera. L’ultima bottiglia di champagne.

    Un lembo dell’orecchio finì inchiodato dal proiettile su un quadro alla parete, unico dettaglio davvero macabro. I cinque servitori, senza entrare, chiamarono la polizia. Alla scrivania, il capo della sezione omicidi della squadra mobile, Valerio Gianfrancesco, trovò chiuse in un cassetto le fotografie osé della marchesa, nuda sulla spiaggia o con amanti, scattate dal marito, e un diario in fodera di raso verde, sul quale il marchese aveva appuntato con dettagliato compiacimento gli incontri erotici di lei. Sul foglietto di un calendario che raffigurava una donna nuda aveva scritto l’ultimo messaggio, disperato: «Muoio perché non posso sopportare il tuo amore per un altro uomo ».

    Nessun tradimento, prima, perché era quello il loro modo di amarsi. Trentasette anni dopo, il dirimpettaio di Perrone su entrambi i piani è lo stesso dei Casati, uno dei più noti dentisti di Roma, Giuseppe Cerquetti. «Ricordo quella grande stanza al terzo piano con le finestre su San Pietro e Villa Borghese, un grande divano, le poltrone, il tavolo. Era una coppia che non c’era nulla da dire: gentili, simpatici…. Erano miei pazienti tutti e due. Lui, forse, un po’ nervoso. Una volta diede un calcio alla Rover di un nostro coinquilino, una macchina allora di una certa classe. Disse: “Questa è la mia assicurazione, fatevi pagare!â€. La domenica andavano al mare, facevano nudismo. Ma era l’unica stranezza. Per il resto, mai saputo o accorti di nulla. Mi invitavano a caccia, non sono mai andato. Lui aveva una stanzetta che era un’armeria. La mia cameriera e il suo maggiordomo si sono conosciuti dalle finestre delle cucine che si fronteggiavano, si sono sposati ».

    Ah, l’amore….Al pian terreno, oggi, c’è l’ufficio romano della Beretta. Ma da poco, e nulla da spartire. L’arma del delitto era della concorrenza. Una Browning. (continua)

  7. Commento by Giorgio Di Costanzo (Ischia) — 12 Giugno 2009 @ 15:33

    Roma, domenica 30 agosto del 1970, via Puccini n.9.
    Il marchese Camillo Casati Stampa di Soncino, quarantatré anni, abbatte con un fucile da caccia la moglie Anna Fallarino, quarantun anni, e lo studente Massimo Minorenti, venticinque anni, suo amante; quindi si suicida.
    Chi dei due coniugi è morto per ultimo?
    Da un respiro dipende la destinazione dell’eredità (i giornali dell’epoca parlano di quattrocento miliardi di lire; per farci un’idea, una Fiat 128 si porta a casa con 970mila lire…) che comprende anche una sontuosa villa in Brianza, presso Arcore.
    Se per ultima fosse morta Anna Fallarino, sua sorella e i genitori erediterebbero la loro parte.
    Se per ultimo fosse morto invece il marchese, erediterebbe tutto la marchesina Annamaria, nata nel 1951 dal primo matrimonio con Letizia Izzo.
    La sorella di Anna Fallarino è una buona conoscente di un giovane avvocato, Cesare Previti ; a lui l’incarico di patrocinare gli interessi dei Fallarino.
    Le perizie medico-legali stabiliscono che l’ultimo a morire è stato il marchese, e di conseguenza tutto andrà alla giovane figlia Annamaria.
    Ma Previti non esce per questo di scena. “Benché disponga del mandato per la tutela dei Fallarino”, si propone alla marchesina Annamaria, che ne accetta l’assistenza legale.
    C’è un problema però: Annamaria ha diciannove anni, quindi, per la legge dell’epoca, è minorenne.
    Il Tribunale dei minori l’affida, lei consenziente, a un vecchio amico dei Casati, l’avvocato Giorgio Bergamasco, senatore liberale. Bergamasco tutore, Previti pro-tutore.

    Sarà la sua rovina.

    Sconvolta dalla tragedia, braccata dai giornalisti, Annamaria lascia l’Italia (vivrà stabilmente a Brasilia). Il 26 giugno 1971 il tutore Bergamasco, buon tributarista, presenta all’Ufficio delle imposte la denuncia di successione, inventario analitico dei beni ereditati dalla marchesina minorenne: valore dichiarato, compresi liquidi, titoli azionari, mobili e gioielli, 2 miliardi 403 milioni; che si riducono a un miliardo 965 milioni tolti i debiti, le tasse e le imposte da pagare. Compiuti i ventun anni il 22 maggio 1972, l’ereditiera è libera ormai di occuparsi delle proprie cosa da sé; ma per la difficoltà obiettiva di amministrare il patrimonio in Italia da Brasilia, crede di trovare una soluzione nominando il 27 settembre 1972 procuratore generale, “rimossa ogni limitazione di mandato”, l’ex-tutore Bergamasco. L’ex-pro tutore Previti resta suo avvocato. Gli si rivolge nell’autunno del 1973 incaricandolo di vendere la villa di Arcore, “con espressa esclusione degli arredi, della pinacoteca, della biblioteca e delle circostanti proprietà terriere”. Il compratore è presto trovato.
    In una telefonata a Brasilia, Previti annunzia trionfante, e confidando nell’esultanza della marchesina, il nome dell’acquirente, il magnate Silvio Berlusconi: il prezzo? Un affarone.
    Magari più per chi compra, che per chi vende: 500 milioni per una villa settecentesca di 3 mila 500 metri quadri, completa, in difformità dall’incarico, di pinacoteca con tele del Quattrocento e del Cinquecento, di biblioteca con diecimila volumi antichi e d’un parco immenso. Il valore di un comune appartamento nel centro di Milano.
    Un raggiro; tanto più che Berlusconi dilazionerà il pagamento negli anni, e le tasse continua a pagarle la marchesina.

    Vediamo perchè (è dura da seguire…).
    Il 4 maggio 1977 è costituita a Roma l’Immobiliare Idra, della galassia berlusconiana. Entrano nel collegio sindacale Umberto Previti e, sino al 28 giugno 1979, il figlio Cesare. Alla Immobiliare Idra sarà intestata la villa di Arcore. “Previti è sì l’avvocato di fiducia della venditrice marchesina Casati Stampa, ma, al tempo stesso, e all’insaputa della sua assistita, ha diretti interessi nel gruppo berlusconiano”. L’atto pubblico di vendita innanzi a notaio è sottoscritto sei anni dopo la cessione, il 2 ottobre 1980. Rappresenta Annamaria, parte venditrice, il procuratore generale Bergamasco; rappresenta l’Immobiliare Idra, parte acquirente, il suo amministratore unico, Giovanni Dal Santo, commercialista prestanome.
    Infatti, Il 21 marzo 1979, primo giorno di primavera, avviene un’operazione che ha per protagonista Dal Santo. La società Coriasco, controllata dalla fiduciaria Saf su mandato di Luigi Foscale (zio di SB, forse quello che gli portava Playboy dagli Staes?), attua un aumento di capitale di 2 miliardi di lire. La transazione avviene, anche questa volta, «franco valuta »: quel giorno è Dal Santo che, con una telefonata, dà ordine alla Saf di sottoscrivere l’aumento di capitale e fa pervenire alla fiduciaria (come risulta dagli appunti rintracciati nella sede della Saf) 2 miliardi in contanti, che poi vengono versati alla Cariplo e alla Banca Popolare di Novara, in cambio di due assegni circolari per 2 miliardi. La Saf li gira alla Coriasco, che così ufficialmente ha aumentato il suo capitale attraverso l’ingresso di due assegni, anche se in realtà l’operazione è avvenuta per contanti: Dal Santo, il primo giorno di primavera del 1979, attraverso Coriasco ha riciclato 2 miliardi di lire di cui si ignora la provenienza .
    Il 29 giugno 1979 nelle Holding entrano 6 miliardi, per l’aumento di capitale delle Holding 1-6. Arrivano da due fonti: 4,8 miliardi da un soggetto non identificato; e 1,2 miliardi dalla Fiduciaria Padana (una società riconducibile al gruppo Berlusconi) che li riceve da Fininvest Roma in cambio di tre società fiduciariamente gestite da Riccardo Maltempo (un prestanome che lavorava in un’officina meccanica) e rappresentate da Giovanni Dal Santo.
    Il 4 ottobre 1979 scatta l’operazione Ponte: arrivano 11 miliardi alle Holding 7-17, come prestito obbligazionario. I soldi partono dalla Ponte srl, passano per Saf, Holding 7-17, Fininvest, Italiana Centro Ingrosso srl, e con cinque giroconti ritornano alla società Ponte, rappresentata da Enrico Porrà, un invalido di 75 anni colpito da ictus.
    Porrà risulta essere il titolare di altre sei o sette società, tra cui la Palina srl, una società fondata il 19 ottobre 1979 da lui e da Adriana Maranelli, una colf emiliana: altri prestanome… Porrà, quando c’è da firmare qualche documento, va dal notaio su una carrozzella spinta dai consulenti Fininvest…. Maranelli invece, contattata nel 2000 dai giornalisti del settimanale L’Espresso, ha dichiarato: «Fu la signora Itala Pala, presso cui ero a servizio, a chiedermi di firmare quelle carte nello studio del suo amico, il ragionier Marzorati, un consulente di Berlusconi. Mi dissero che non c’era niente di illecito e mi pagarono per farlo ».
    Presso l’abitazione della signora Pala erano domiciliate molte società, tra cui, appunto, la Ponte e la Palina (in onore alla padrona di casa?). Proprio la Palina il 19 dicembre 1979 è al centro di una delle operazioni più misteriose e ricche della storia berlusconiana. Quel giorno infatti Palina versa 27,68 miliardi di lire (oggi sarebbero circa 70 milioni di euro) alla Saf, che li trasferisce alle Holding 1-5 e 18-23, che li passano alla Finivest, che li paracaduta alla Milano 3 srl, che li restituisce alla Palina.
    Un giro completo, e apparentemente vizioso. Con quale scopo? Anche in questo caso, è un circolo contabile chiuso. Rispetto ad altre operazioni circolari (quella del 7 dicembre 1978, quella della Ponte…), l’operazione Palina ha però una particolarità: abbiamo a disposizione qualche informazione in più. Sappiamo che i 27,68 miliardi dati alla Palina dalla Milano 3 risultano essere il pagamento di 2 mila azioni della Cantieri Riuniti Milanesi, amministrata da Marcello Dell’Utri. Una bella cifra, se si pensa che quelle stesse azioni erano state pagate dalla Palina, poche settimane prima, soltanto 4,26 miliardi: in pochi giorni, una gigantesca plusvalenza fatta in casa.
    Le azioni erano state acquisite in parte (400 mila azioni) dall’Unione Fiduciaria, in parte (800 mila azioni) da una fiduciaria di nome Siraf, in parte (altre 800 mila azioni) da Annamaria Casati Stampa, la marchesina che aveva venduto, grazie ai buoni uffici di Cesare Previti, appunto la villa San Martino di Arcore e grandi terreni a Cusago. Proprio per quei terreni, la marchesina era stata pagata con le azioni della Cantieri Riuniti e, quando aveva chiesto di essere liquidata, nel novembre 1979, Palina le aveva pagato 1,7 miliardi di lire e poi aveva girato quelle azioni, insieme alle altre acquisite dalla Siraf e (per 860 milioni) dall’Unione Fiduciaria, alla Milano 3, realizzando una prodigiosa moltiplicazione del loro valore, almeno sulla carta.
    Non ci sono sicurezze su chi ci sia dietro la Siraf, né dietro l’Unione Fiduciaria, società delle Banche Popolari. Si sa soltanto che i fissati bollati siglati da Giorgio Bergamasco, il tutore della marchesina Casati Stampa, fanno riferimento a passaggi d’azioni per 2,56 miliardi: la somma di quanto pagato ufficialmente alla marchesina più quanto dato all’Unione Fiduciaria. Ciò apre un’ipotesi: se anche le azioni vendute dall’Unione Fiduciaria fossero della marchesina, il pagamento reale dei terreni di Cusago sarebbe un po’ meno giugulatorio di quello che appare, perché ci sarebbe un’aggiunta di «nero ». L’alternativa è che Anna Maria Casati Stampa, nelle mani del tutore ufficiale Giorgio Bergamasco e del tutore di fatto Cesare Previti, sia stata truffata. Come accadrà con la Villa di Arcore, pagata soltanto 500 milioni: a meno che anche qui non ci fosse una consistente parte in nero .
    La villa settecentesca già residenza dei conti Giulini e dei marchesi Casati Stampa è così indicata nel rogito: “Casa d’abitazione con circostanti fabbriche rurali e terreni a varia destinazione”.

    Leggiamo cio’ che scrive Giovanni Ruggeri in “Gli affari del Presidente†(uno dei pochi libri che né il Cavaliere né altri abbiano MAI querelato….)

    Il 2 ottobre 1980, a quasi sette anni dall’effettiva cessione dei beni, viene sottoscritto il rogito per la villa di Arcore e circostanti terreni. Ancora sotto la sapiente regia dell’avvocato Previti nel versatile ruolo di legale di fiducia della lontana “cedente” Annamaria Casati Stampa e di sodale affaristico dell’acquirente” Berlusconi-Fininvest, viene stipulato l’atto di compravendita repertato al n ° 36110 del notaio milanese Guido Roveda.
    “La signora Annamaria Casati Stampa di Soncino in Donà Dalle Rose [rappresentata dal procuratore senatore Giorgio Bergamasco] vende alla Società Immobiliare Idra srl [rappresentata dal signor Giovanni Dal Santo, amministratore unico della società] che acquista” la villa di Arcore e i circostanti possedimenti terrieri (oltre 200 mila mq); “Il prezzo della presente vendita è stato convenuto in complessive lire 500 milioni che la parte venditrice dichiara di aver prima d’ora ricevuto dalla parte acquirente alla quale rilascia corrispondente quietanza” – firmato: Giorgio Bergamasco (procuratore, a nome della “venditrice”) e Giovanni Dal Santo (amministratore, per conto della “acquirente”).
    La valutazione di 500 milioni di lire “già pagate” per la tenuta e la principesca villa di Arcore è un macroscopico imbroglio, anche sotto l’aspetto del danno all’Erario. Infatti, subito dopo, la Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde riterrà la villa di Arcore una garanzia congrua per erogare un finanziamento di 7 miliardi e 300 milioni (fideiussione dell’Immobiliare Idra in favore della Cantieri Riuniti Milanesi), mentre il Monte dei Paschi di Siena, con quella stessa garanzia, accorderà un ulteriore finanziamento di 680 milioni alla Immobiliare Idra. Del resto, secondo una conoscente della marchesina Casati, “la somma di 500 milioni è il valore della sola Via Crucis del Luini in 14 quadri che pendevano nella quadreria della villa accanto a un Tintoretto e a un Tiepolo…” . Nel bilancio 1980 della Immobiliare Idra si leggerà che la società ha acquistato “una villa con parco, di notevole valore e prestigio, sita in Arcore, al prezzo storico di mezzo miliardo”.
    La “acquirente” Immobiliare Idra srl era stata costituita a Roma nel maggio 1977, e nel suo collegio sindacale figuravano sia Umberto Previti, sia Cesare Previti; il 28 giugno 1979, nel collegio sindacale della società era rimasto solo Previti senior – il dimissionario Previti junior, il mese successivo, sarebbe stato impegnato nella prima parte del berlusconiano “miracolo italiano” avente per oggetto i cespiti più ghiotti del patrimonio Casati Stampa situati a Cusago e di proprietà della sua assistita.
    L’atto notarile del 2 ottobre 1980, che sancisce ufficialmente l’acquisizione di una parte del patrimonio Casati Stampa di Arcore da parte del gruppo Fininvest (villa e tenuta delle quali, come si è visto, Berlusconi già dispone di fatto e personalmente da circa sette anni), è stato preceduto di pochi giorni da una provvidenziale “coincidenza”: il 12 settembre, infatti, il Comune di Arcore aveva deliberato la destinazione urbanistica di una parte dei terreni oggetto della compravendita.
    Con questa sfacciata “transazione”, il poliedrico avvocato Previti arriva a eguagliare i più mirabolanti sortilegi di matrice berlusconiana: aliena una parte del patrimonio della sua assistita Annamaria Casati in favore di una società Fininvest nella quale è parte suo padre e nella quale è stato parte lui stesso.
    Ma il 2 ottobre 1980, il notaio Guido Roveda autentica anche un secondo atto di compravendita: riguarda tutti i superstiti possedimenti terrieri di Arcore dei Casati Stampa non compresi nel primo rogito, che vengono ceduti sottoforma di “permuta” a una società del gruppo Fininvest, la Immobiliare Briantea srl (rappresentata dall’amministratore unico Giovanni Bottino – un prestanome residente a Milano 2).
    Nel documento è scritto infatti che “il senatore Bergamasco, nella sua veste di procuratore generale di Annamaria Casati, cede alla Immobiliare Briantea srl tutti i residui beni posseduti dai Casati Stampa a Arcore: circa 70 ettari di terreni agricoli, parte dei quali consistenti in poderi a coltura intensiva e per il resto in appezzamenti seminativi, prati, boschi e pascoli, comprese le cascine e tutti i fabbricati rurali sovrastanti”. Come già l’anno prima per i beni di Cusago, anche in questo caso la transazione non avviene per denaro, bensì attraverso un “permuta” truffaldina: in cambio dei possedimenti terrieri, infatti, la Immobiliare Briantea srl “trasferisce a titolo di permuta alla signora Annamaria Casati Stampa di Soncino in Donà Dalle Rose numero 55.000 azioni del valore nominale di lire 1.000 ciascuna, della Infrastrutture Immobiliari spa, con sede a Milano, via Rovani 2 […]. I beni permutati hanno il complessivo valore di lire 250 milioni. Egualmente le 55.000 azioni della Infrastrutture Immobiliari spa hanno il valore di lire 250 milioni, per cui non si fa luogo ad alcun conguaglio”. Poiché il capitale sociale della Infrastrutture Immobiliari spa è di 400 milioni, l’importo di 250 milioni attribuiti alla transazione equivale al 62,5. per cento del capitale della società “acquirente”; ma la vittima del raggiro, la “cedente” e ignara Annamaria Casati, non acquisisce affatto la maggioranza della Infrastrutture Immobiliari spa: gli artefici del raggiro attribuiscono infatti alle 55.000 azioni un valore equivalente al 13,75 per cento del capitale sociale – in pratica, azioni senza mercato di una società sconosciuta e inattiva vengono valutate dagli stessi interessati quattro volte e mezzo il loro valore nominale…
    Artefice-regista della sconcertante operazione è come sempre l’avvocato Previti: grazie a lui, infatti, i superstiti e ingenti beni terrieri di Arcore della sua assistita vengono in pratica regalati in cambio del simbolico importo di 250 milioni (cioè 357 lire al metro quadro), somma non già in denaro bensì sottoforma di cartacee “azioni” della vacua e oscura Infrastrutture Immobiliari spa, azioni del tutto prive di valore certo e che saranno anzi fonte di grane per la vittima del raggiro; beneficiaria del “regalo” è una società del gruppo Fininvest, gruppo del quale l’avvocato Previti è parte. La società Infrastrutture Immobiliari era stata costituita a Roma il 30 dicembre 1977, e nel 19781a Fininvest Roma ne aveva assunto il controllo. Nel 1980, poco prima della “operazione permuta” a danno di Annamaria Casati, il capitale sociale era stato portato a 400 milioni, e il solito Luigi Restelli ne era stato nominato amministratore unico.
    Subito dopo la “casa di abitazione” pagata mezzo miliardo a rate sarà ritenuta dalla Cariplo garanzia congrua per un finanziamento di 7 miliardi 300 milioni (fidejussione dell’Immobiliare Idra in favore della Cantieri Riuniti Milanesi: da Berlusconi a Berlusconi) e dal Monte dei Paschi di Siena per un ulteriore finanziamento di 680 milioni all’Immobiliare Idra.
    L’orfana, tra l’altro, chiese al Cavaliere di darle almeno il dipinto raffigurante la madre (la casa fu venduta ammobiliata) e sua Emittenza gentilmente accondiscese. Purtroppo, ad oggi, il dipinto è dove stava 30 anni fa.
    La somma stabilita da Previti per far rilevare al suo importante cliente la villa in questione – già di per sè irrisoria se rapportata al vero valore dell’immobile – non è quindi mai stata pagata alla sventurata orfana Casati, in quanto il suo avvocato e pro-tutore Cesare Previti, al tempo stesso avvocato dell’acquirente SB, la convinse che l’importo non le venisse versato ma che fosse utilizzato per pagare le tasse di successione….
    La ragazza ci ha creduto ed ha quindi ceduto la villa.
    Verificare se in effetti l’acquirente SB abbia realmente versato quella tassa di successione è quasi surreale (oltretutto la tassa di successione non esiste più…)

    Conclusione : la villa in questione SB l’ha avuta praticamente gratis.
    _______________________

    Fonti bio-bibliografiche:

    Ventotto risposte. Obiezioni? di Gianni Barbacetto, su “Il Diarioâ€
    Giovanni Ruggeri: “Gli affari del Presidente – Kaos Edizioni, 1994
    (estratto da:http://seguedibattito.splinder.com/archive/2006-03)

  8. Commento by Giorgio Di Costanzo (Ischia) — 12 Giugno 2009 @ 15:36

    Prendiamo un uomo di nobile lignaggio e voyeur, diamogli in seconde nozze una moglie bella e decisamente disinibita, completiamo il triangolo con un ragazzetto più giovane di vent’anni ed aggiungiamoci anche un avvocato privo di scrupoli: ecco qui gli elementi del delitto Casati Stampa, il grande caso degli anni ’70 che ha unito la cronaca nera con la scandalistica.

    Camillo Casati Stampa di Soncino, detto Camillino, oltre al titolo nobiliare possedeva un ingente patrimonio. In prime nozze il marchese aveva sposato una soubrette, tale Lydia Holt, al secolo Letizia Izzo, da cui aveva avuto una figlia.
    Anna Fallarino, bella e parvenu dal seno rifatto, proveniva da una famiglia beneventana di modeste origini, e quando lei aveva tre anni sua madre abbandonò la famiglia per scappare con un uomo. A 16 anni si trasferisce a Roma per lanciarsi nel cinema, partecipa a “Totò Tarzanâ€, lascia il cinema e sposa il facoltoso Giuseppe Drommi che la introduce nel giro della Roma bene dove ha occasione di conoscere il marchese Camillo, che spenderà una notevole cifra per far annullare dalla Sacra Rota il matrimonio di Anna con Drommi e quindi sposarla nel 1959.

    Dalla prima notte di nozze comincia quello che la stampa dell’epoca definì “un patto scelleratoâ€: lui, voyeur, sceglie e porta alla moglie giovanotti democraticamente scelti a casaccio tra camerieri e bagnini, li guarda e fotografa mentre fanno sesso e poi liquida lo stallone di turno con una generosa mancia.
    Con lo stesso modus operandi entra in scena Massimo Minorenti, giovane e belloccio studente di Scienze politiche, ma il ménage prende una piega relativamente inaspettata: Massimo diventa l’amante di Anna, si sviluppa una relazione sentimentale che trascende il sesso occasionale ed il geloso marchese non gradisce. Il 30 agosto 1970 Camillo telefona alla moglie, gli risponde l’amante, lui torna a casa e spara ad entrambi con un fucile da caccia prima di suicidarsi con la stessa arma. Anna aveva 41 anni splendidamente portati, Camillino 43, Massimo 25.

    Il delitto ebbe grande risonanza, suscitando interesse più per i retroscena morbosi che per l’omicidio in sé: furono pubblicati i diari personali del marchese e le numerose foto osé scattate alla moglie e fiorirono leggende metropolitane di orge che coinvolgevano la noblesse romana. L’opinione pubblica diventa voyeur quasi al pari dell’assassino, psichiatri, psicologi ed opinionisti si scatenano nell’ elaborare teorie sulla probabile impotenza del marchese, che tuttavia aveva avuto una figlia dal precedente matrimonio, su una sua eventuale omosessualità latente, sul rapporto di coppia e sul ruolo di lei come vittima delle perversioni del marito e lui come carnefice psicologico della debole donna.

    Come post scriptum al delitto, poi, c’è la triste questione dell’eredità. Annamaria Casati, la figlia di primo letto, all’epoca del delitto era ancora minorenne. Quando la ragazza decide di vendere parte delle proprietà e trasferirsi in Brasile, il suo tutore legale, Cesare Previti, le trova quindi un acquirente per la settecentesca Villa San Martino in Brianza: truffando l’orfana minorenne e pagando la villa 1/3 del suo valore di mercato, Silvio Berlusconi ha così acquistato la celeberrima villa di Arcore, quella dove ha poi fatto costruire il tanto decantato mausoleo.

    di Guendalina Gallo

    anno 4 – numero 82 – edizione 2008 – del 21/10/2008

  9. Commento by Giorgio Di Costanzo (Ischia) — 12 Giugno 2009 @ 15:38

    La sfinge delle Br: Mario Moretti
    Kaos edizioni, milano 19 Maggio 2004

    E in corso di distribuzione il libro “La sfinge delle Brigate rosse. Delitti, seqreti e bugie del capo terrorista Mario Moretti”, scritto dall’ex senatore Sergio Flamigni (Kaos edizioni, pagg. 349, € 19,00). Si tratta della prima biografia del capo delle Br, basata su documenti e testimonianze, e contiene notizie inedite e nuovi elementi utili a delineare con piu precisione gli ambigui contorni del terrorismo brigatista e dello stesso sequestro Moro.

    Moretti studente di destra mantenuto dai marchesi Casati Stampa
    II libro raccoglie varie testimonianze di ex studenti dell’istituto Montani di Fermo, univoche nel descrivere il giovane Moretti come attiguo alla destra neofascista e clericale. Mantenuto agli studi dai marchesi Casati Stampa, il futuro capo delle Br appena diplomato si trasferisce a Milano (settembre 1966), con residenza nel Palazzo Soncino dei Casati Stampa; poi viene assunto dalla Sit-Siemens su raccomandazione dei marchesi, e si iscrive all’Universita Cattolica con un attestato di «sane idee religiose e politiche » firmato dai viceparroco di Porto San Giorgio. II più brillante esame sostenuto dal Moretti studente universitario è in “Esposizione della dottrina e della morale cattolica”, docente don Luigi Giussani (ideologo-fondatore del movimento integralista Comunione e liberazione).

    Milano, via Gallarate 131
    Nell’estate del 1968 Moretti si fidanza con una giovane che abita coi genitori in un palazzo di via Gallarate 131. In quello stesso edificio c’è la sede milanese delle torbide attività del provocatore anticomunista Luigi Cavallo, sede frequentata anche dal colonnello del Sifar Renzo Rocca (“suicidato” il 27 giugno 1968). Già collaboratore di Edgardo Sogno in “Pace e libertà” negli anni Cinquanta, Cavallo dal 1970 sarà di nuovo al fianco di Sogno nell’organizzazione anticomunista “Comitati di resistenza democratica”.

    Milano, via delle Ande 5, 15 e 16
    Nella primavera del 1970 Moretti, con moglie e figlio, va a abitare al n. 15 di via delle Ande (a circa un chilometro da via Gallarate 131). In via delle Ande n. 16 abita il capo dell’Ufficio politico della Questura Antonino Allegra. E al n. 5 di via delle Ande abita I’ex comunista Roberto Dotti, impegnato con Edgardo Sogno nell’organizzare gli anticomunisti “Comitati di resistenza democratica”.
    Nella stessa primavera del 1970 le nascenti Brigate rosse entrano in contatto con Ro ­berto Dotti: il tramite è Corrado Simioni, che presenta Dotti a Mara Cagol (moglie di Renato Curcio) indicandoglielo come importante referente organizzativo e depositario delle schede biografiche dei militanti della lotta armata (testimonianza di Alberto Franceschini).

    Le prime coincidenze fra Moretti e i “Comitati” di Sogno
    II libro segnala le innumerevoli coincidenze fra Moretti e i “Comitati” anticomunisti di Sogno-Dotti-Cavallo. II futuro capo delle Br frequenta il palazzo di via Gallarate 131 (sede dell’attivita di Cavallo); abita a pochi metri da Dotti (in via delle Ande) e conosce benissimo Corrado Simioni (in rapporti con Dotti). Non solo: dei “Comitati” fa parte il senatore liberale Giorgio Bergamasco, amico storico dei marchesi Casati Stampa, nonche tutore della marchesina minorenne Annamaria; figlia di primo letto del marchese Camillo, Annamaria Ca ­sati conosce bene Moretti (secondo la moglie del futuro capo brigatista, i due avrebbero avuto un flirt, e andavano a sciare insieme).

    L’avvento di Moretti nelle Brigate rosse
    II libro racconta la genesi delle Br, nate di fatto nell’agosto del 1970 e subito attive con azioni di “propaganda armata”. Mario Moretti si avvicina alle Br solo nella tarda primavera del 1971 (proprio mentre a Milano Edgardo Sogno presenta ufficialmente i “Comitati”), e il suo ambiguo ruolo nell’organizzazione clandestina emerge ai primi di maggio 1972, quando la polizia “scopre” i covi milanesi di via Boiardo e via Delfico.

    Moretti capo delle Br sanguinarie
    II libro ricostruisce le enigmatiche vicende che nel biennio 1974-75 portano all’arresto dei capi-fondatori delle Br: strane coincidenze, forti ambiguità e plateali omissioni permettono di fatto al latitante Moretti di assumere la guida dell’organizzazione (benchè sia sospettato dai brigatisti arrestati di essere un infiltrato), trasformandola in una banda terroristica sanguinaria. Ricostruisce inoltre lo strano sequestro Costa (gennaio 1977), col cui ingente riscatto – un miliardo e mezzo – le Br morettiane possono finanziare la loro attività terroristica.

    II delitto Moro
    II libro dimostra che quando Moretti, nel dicembre 1976, insedia la base romana delle Br in via Gradoli 96, ha già I’obiettivo di colpire Moro: infatti, via Gradoli è a poca distanza dall’abitazione del presidente Dc (via del Forte Trionfale) e dal luogo della strage (via Fani). Inoltre, il libro documenta la presenza in via Gradoli di società immobiliari gestite da fiduciari del Servizio segreto civile (Sisde), e ripercorre I’ambigua gestione morettiana del sequestro culminata nella “censura” degli scritti di Moro.

    Nove anni di latitanza, I’arresto e la semilibertà
    II libro ricostruisce le singolari circostanze dell’arresto di Moretti (a Milano, il 4 aprile 1981), dopo quasi dieci anni di latitanza “protetta” con decine di omicidi, nonchè l’accoltellamento-avvertimento di cui il capo brigatista è vittima nel carcere di Cuneo (2 luglio). Ricostruisce inoltre le manovre, i contatti e le trattative condotte da Moretti in carcere con settori della Dc, cui è seguita una versione di comodo del delitto Moro e I’ottenimento della semilibertà nonostante le 6 condanne all’ergastolo.

    SERGIO FLAMIGNI (Forlì, 1925), parlamentare del Pci dal 1968 al 1987, ha fatto parte delle Commissioni parlamentari d’inchiesta sul caso Moro, sulla Loggia P2 e Antimafia. Ha scritto: La tela del ragno (nuova edizione 2003); Trame atlantiche (1996); «ll mio sangue ricadrà su di loro ». Gli scritti di Aldo Moro prigioniero delle Br (1997); Convergenze parallele (1998); // covo di Stato (1999); / fantasmi del passato. La carriera politica di Francesco Cossiga (2001) – tutti pubblicati da Kaos edizioni.

  10. Commento by Giorgio Di Costanzo (Ischia) — 12 Giugno 2009 @ 15:41

    BERLUSCONI E I SUOI MISTERI

    La vita e la carriera dell’imprenditore Silvio Berlusconi, nonostante le biografie autorizzate che il protagonista ha fatto pubblicare o propiziato nel corso degli anni con fini auto-agiografici, rimane costellata di buchi neri e di domande senza risposta. Piccolo riepilogo degli omissis più inquietanti.

    1) La Edilnord Sas è la società fondata nel 1963 da Silvio Berlusconi per costruire Milano 2. Soci accomandatari (quelli che vi operano), oltre al futuro Cavaliere, sono il commercialista Edoardo Piccitto e i costruttori Pietro Canali, Enrico Botta e Giovanni Botta. Soci accomandanti (quelli che finanziano l’operazione) il banchiere Carlo Rasini, titolare dell’omonima banca con sede in via dei Mercanti a Milano, e l’avvocato d’affari Renzo Rezzonico, legale rappresentante di una finanziaria di Lugano: la “Finanzierungesellschaft für Residenzen Ag”, di cui nessuno conoscerà mai i reali proprietari. Si tratta comunque di gente molto ottimista, se ha affidato enormi capitali a Berlusconi, cioè a un giovanotto di 27 anni che, fino a quel momento, non ha dato alcuna prova imprenditoriale degna di nota.

    2) Sulla banca Rasini, dove il padre Luigi Berlusconi lavora per tutta la vita, da semplice impiegato a direttore generale, ecco la risposta di Michele Sindona (bancarottiere piduista legato a Cosa Nostra e riciclatore di denaro mafioso) al giornalista americano Nick Tosches, che nel 1985 gli domanda quali siano le banche usate dalla mafia: “In Sicilia il Banco di Sicilia, a volte. A Milano una piccola banca in piazza Mercanti”. Cioè la Rasini, dove – ripetiamo – Luigi Berlusconi, padre di Silvio, ha lavorato per tutta a vita, fino a diventarne il procuratore generale. Alla Rasini tengono i conti correnti noti mafiosi e narcotrafficanti siciliani come Antonio Virgilio, Salvatore Enea, Luigi Monti, legati a Vittorio Mangano, il mafioso che lavora come fattore nella villa di Berlusconi fra il 1973 e il 1975.

    3) Il 29 ottobre 1968 nasce la Edilnord Centri Residenziali Sas (una sorta di Edilnord 2): stavolta, al posto di Berlusconi, come socio accomandatario c’è sua cugina Lidia Borsani, 31 anni. E i capitali li fornisce un’altra misteriosa finanziaria luganese, la “Aktiengesellschaft für Immobilienanlagen in Residenzentren Ag” (Aktien), fondata da misteriosi soci appena 10 giorni prima della nascita di Edilnord 2. Berlusconi da questo momento sparisce nel nulla, coperto da una selva di sigle e prestanome. Riemergerà solo nel 1975 per presiedere la Italcantieri, e nel 1979, come presidente della Fininvest. Intanto nascono decine di società intestate a parenti e figuranti, controllate da società di cui si ignorano i veri titolari. Come ha ricostruito Giuseppe Fiori nel libro “Il venditore” (Garzanti, 1994, Milano), Italcantieri nasce nel 1973, costituita da due fiduciarie ticinesi: “Cofigen Sa” di Lugano (legata al finanziere Tito Tettamanzi, vicino alla massoneria e all’Opus Dei) e “Eti A.G.Holding” di Chiasso (amministrata da un finanziere di estrema destra, Ercole Doninelli, proprietario di un’altra società, la Fi.Mo, più volte 7 inquisita per riciclaggio, addirittura con i narcos colombiani).

    4) Nel 1974 nasce la “Immobiliare San Martino”, amministrata da Marcello Dell’Utri e capitalizzata da due fiduciarie del parabancario Bnl: la Servizio Italia (diretta dal piduista Gianfranco Graziadei) e la Saf (Società Azionaria Finanziaria, rappresentata da un prestanome cecoslovacco, Frederick Pollack, nato nientemeno che nel 1887). A vario titolo e con vari sistemi e prestanome, “figlieranno” una miriade di società legate a Berlusconi e ai suoi cari: a cominciare dalle 34 “Holding Italiana” che controllano il gruppo Fininvest. Secondo il dirigente della Banca d’Italia Francesco Giuffrida e il sottufficiale della Guardia di Finanza Giuseppe Ciuro, consulenti tecnici della Procura di Palermo al processo contro Marcello Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa, queste finanziarie hanno ricevuto fra il 1978 e il 1985 almeno 113 miliardi (pari a 502 miliardi di lire e 250 milioni di euro di oggi), in parte addirittura in contanti e in assegni “mascherati”, dei quali tuttoggi “si ignora la provenienza”. La Procura di Palermo sostiene che sono i capitali mafiosi “investiti” nel Biscione dalle cosche legate al boss Stefano Bontate. La difesa afferma che si tratta di autofinanziamenti, anche se non spiega da dove provenga tutta quella liquidità. Lo stesso consulente tecnico di Berlusconi, il professor Paolo Jovenitti, ammette l'”anomalia” e l’incomprensibilità di alcune operazioni dell’epoca.

    5) Nel 1973 Silvio Berlusconi acquista da Annamaria Casati Stampa di Soncino, ereditiera minorenne della nota famiglia nobiliare lombarda rimasta orfana nel 1970, la settecentesca Villa San Martino ad Arcore, con quadri d’autore, parco di un milione di metri quadrati, campi da tennis, maneggio, scuderie, due piscine, centinaia di ettari di terreni. La Casati è assistita da un pro-tutore, l’avvocato Cesare Previti, che è pure un amico di Berlusconi, figlio di un suo prestanome (il padre Umberto) e dirigente di una società del gruppo (la Immobiliare Idra). Grazie alla fortunata coincidenza, la favolosa villa con annessi e connessi viene pagata circa 500 milioni dell’epoca: un prezzo irrisorio. E, per giunta, non in denaro frusciante, ma in azioni di alcune società immobiliari non quotate in borse, così che, quando la ragazza si trasferisce in Brasile e tenta di monetizzare i titoli, si ritrova con una carrettate di carta. A quel punto, Previti e Berlusconi offrono di ricomprare le azioni, ma alla metà del prezzo inizialmente pattuito. Una sentenza del Tribunale di Roma, nel 2000, ha assolto gli autori del libro “Gli affari del presidente”, che raccontava l’imbarazzante transazione.

    6) Nel 1973 Berlusconi, tramite Marcello Dell’Utri, ingaggia come fattore (ma recentemente Dell’Utri l’ha promosso “amministratore della villa”) il noto criminale palermitano, pluriarrestato e pluricondannato Vittorio Mangano. Il quale lascerà la villa solo due anni più tardi, quando verrà sospettato di aver organizzato il sequestro di Luigi d’Angerio principe di Sant’Agata, che aveva appena lasciato la villa di Arcore dopo una cena con Berlusconi, Dell’Utri e lo stesso Mangano. Mangano verrà condannato persino per narcotraffico (al maxiprocesso istruito da Falcone e Borsellino) e, nel 1998, all’ergastolo per omicidio e mafia.

    7) Il 26 gennaio 1978 Silvio Berlusconi si affilia alla loggia Propaganda 2 (P2), presentato al gran maestro venerabile Licio Gelli dall’amico giornalista Roberto Gervaso. Paga regolare quota di iscrizione (100 mila lire) e viene registrato con la tessera 1816, codice E.19.78, gruppo 17, fascicolo 0625. La partecipazione al pio sodalizio gli procaccerà vantaggi di ogni genere: dai finanziamenti della “Servizio Italia” di Graziadei ai crediti facili e ingiustificati del Monte dei Paschi di Siena (di cui è provveditore il piduista Giovanni Cresti) alla collaborazione con il “Corriere della Sera” diretto dal piduista Franco Di Bella e controllato dalla Rizzoli dei piduisti Angelo Rizzoli, Bruno Tassan Din e Umberto Ortolani.

    8) Il 24 ottobre 1979 Silvio Berlusconi riceve la visita di tre ufficiali della Guardia di Finanza nella sede dell’Edilnord Cantieri Residenziali. Si spaccia per un “un semplice consulente esterno” addetto “alla progettazione di Milano 2”. In realtà è il proprietario unico della società, intestata a Umberto Previti. Ma i militari abboccano e chiudono in tutta fretta l’ispezione, sebbene abbiano riscontrato più di un’anomalia nei rapporti con i misteriosi soci svizzeri. Faranno carriera tutti e tre. Si chiamano Massimo Maria Berruti, Salvatore Gallo e Alberto Corrado. Berruti, il capopattuglia, lascerà le Fiamme Gialle pochi mesi dopo per andare a lavorare per la Fininvest come avvocato d’affari (società estere, contratti dei calciatori del Milan, e così via). Arrestato nel 1985 nello scandalo Icomec (e poi assolto), tornerà in carcere nel 1994 insieme a Corrado per i depistaggi nell’inchiesta sulle mazzette alla Guardia di Finanza, poi verrà eletto deputato per Forza Italia e condannato in primo e secondo grado a 8 mesi di reclusione per favoreggiamento. Gallo risulterà iscritto alla loggia P2.

    9) Il 30 maggio 1983 la Guardia di Finanza di Milano, che sta controllando i telefoni di Berlusconi nell’ambito di un’inchiesta su un traffico di droga, redige un rapporto investigativo in cui si legge: “E’ stato segnalato che il noto Silvio Berlusconi finanzierebbe un intenso traffico di stupefacenti dalla Sicilia, sia in Francia che in altre regioni italiane (Lombardia e Lazio). Il predetto sarebbe al centro di grosse speculazioni in Costa Smeralda avvalendosi di società di comodo aventi sede a Vaduz e comunque all’estero. Operativamente le società in questione avrebbero conferito ampio mandato ai professionisti della zona”. Per otto anni l’indagine, seguita inizialmente dal pm Giorgio Della Lucia (poi passato all’Ufficio istruzione, da anni imputato per corruzione in atti giudiziari insieme al finanziere Filippo Alberto Rapisarda, ex datore di lavoro ed ex socio di Marcello Dell’Utri) langue, praticamente dimenticata. Alla fine, nel 1991, il gip milanese Anna Cappelli archivierà tutto.

    10) Il terzo, seccante incontro ravvicinato fra il Cavaliere e la Legge risale al 16 ottobre 1984. Tre pretori, di Torino, Roma e Pescara, hanno la pretesa di applicare le norme che regolano l’emittenza televisiva e che il Cavaliere ha deciso di aggirare, trasmettendo in contemporanea gli stessi programmi su tutto il territorio nazionale. I tre magistrati fanno presente che è vietato, 9 non si può e bloccano le attrezzature che consentono l’operazione fuorilegge. Il Cavaliere oscura le sue tv, per attribuire il black out ai giudici, poi scatena il popolo dei teledipendenti con lo slogan “Vietato vietare”, opportunamente rilanciato dallo show del giornalista piduista Maurizio Costanzo. Lo slogan viene subito tradotto in legge dal presidente del Consiglio Bettino Craxi. Il quale abbandona una visita di Stato a Londra per precipitarsi in Italia e varare un decreto legge ad personam (“decreto Berlusconi”) che riaccende immediatamente le tv illegali del suo compare. Lo scandalo è talmente enorme che, persino nel pentapartito, qualcuno non ci sta. E il decreto viene bocciato dall’aula come incostituzionale. Due dei tre pretori reiterano il sequestro penale delle attrezzature utilizzabili oltre l’ambito locale. Così Craxi partorisce un secondo decreto Berlusconi, agitando davanti ai riottosi partiti alleati lo spauracchio della crisi di governo e delle elezioni anticipate, in caso di mancata conversione in legge. Provvederà poi lo stesso Caf a legalizzare il monopolio illegale Fininvest sulla televisione commerciale con la legge Mammì, detta anche “legge-Polaroid” per l’alta fedeltà con cui fotografa lo status quo.

  11. Commento by Bartolomeo Di Monaco — 12 Giugno 2009 @ 16:56

    Giorgio, gli stralci che hai qui pubblicato, ci dicono di un imprenditore rampante, che ha avuto in Craxi un suo alleato. Sono faccende che nel mondo dell’imprenditoria e soprattutto del grande capitale sono all’ordine del giorno. Il vampirismo dei ricchi, che si approfitano di ogni occasione favorevole (qui, il caso della Villa di Arcore, a meno che, come nota uno degli articolisti, non sia corso anche denaro in nero) è il dna di chi mette la ricchezza al primo posto nei valori da assumere nella vita. Sono certo che se si facessero analisi dettagliate sulla vita di tanti grandi imprenditori, ne sortirebbero delle belle. Illegalità e approfittamento sono spesso presenti nelle arrampicate sociali dei magnati.

    Sta di fatto che la gente non guarda al passato, ma al presente, e Berlusconi è considerato uomo ricco e potente, assistito dalla buona stella. Noi dobbiamo evitare che lo si trasformi in un mito, e l’opposizione, in realtà, sta facendo questo. Anche le bombe a orologeria che scoppiano puntualmente ad ogni tornata elettorale (questa volta: Veronica, Noemi, Villa Certosa, gli aerei di Stato) contribuiscono a rafforzare il mito di una persona che, fatta continuamente bersaglio, ne esce vittoriosa.

    Se un domani io mi trovassi a criticare l’operato politico di Berlusconi (è questo operato, ora, che di lui mi interessa dal momento che si è messo a capo di una coalizione ed è fra l’altro presidente del consiglio) mi dispiacerebbe che la mia voce andasse ad infrangersi contro la barriera di cristallo del mito.

  12. Commento by salvatore rossetti — 23 Luglio 2010 @ 17:59

    vorrei far notare a chi enfatizza sulla costruzione del mito, che nonostante tutto il nostro paese si trova coinvolto e bloccato dalle vicende personali di questo soggetto.il parlamento non e’ paralizzato dalle discussioni sui taglialla sanita’,alla scuola,o alle   tredicesime dei corpi di polizia,ma dalle intercettazioni dalla lotta alla magistratura o il lodo alfano.altre volte e’ stato impegnato molto tempo dalle varie cirielli .rogatorie e cosi’ via.per tale ragione nonostante la propria assoluta incapacita’ la opposizione non puo ‘ non rimarcare questi aspetti che fanno da contorno al gia torbido passato di tale individuo.che poi non abbia alternative da proporre se non la santificazione del rom,questo e’ un altro paio di maniche.
    inutile continuare a credere che nella propaganda politica le televisioni non servono.le televisioni servono eccome.
    inutile continuare a credere nelle sue enormi abilita’ di imprenditore e di costruttore di un movimento politico,la sua amicizia con craxi lo ha aiutato sia come imprenditore ma azzardo a dire anche come politico.non credo che le ceneri del sottobosco psi destra dc e zone di anticomunismo varie non abbiano fatto trovare il terreno gia arato e seminato.
    detto questo se vogliamo cominciare a parlare dellaincapacita della sinistra sono prontissimo.
    anzi vi pongo un divertente quesito :
     
    il successo di berlusconi e’ dovuto SECONDO VOI A ??   :

    1 LA INCAPACITA DELLA OPPOSIZIONE
    2 ALLA SUA REALE ABILITA’
    3 AL POTERE DELLE TELEVISIONI
    4 ALLA IGNORANZA DEL POPOLO ITALIANO

  13. Commento by Bartolomeo Di Monaco — 23 Luglio 2010 @ 18:37

    C’ è bisogno di modernizzare l’Italia, e l’unico che ci sta provando è Berlusconi. Difficile sapere se ci riuscirà, ma il tentativo vale la candela.
    Gli altri, vogliono che l’Italia resti com’è, e questo è un male per il Paese.

  14. Commento by salvatore rossetti — 26 Luglio 2010 @ 17:44

    mi scusi sig di monaco ma vorrei sapere cosa sta tentando di cambiare berlusconi quello che e’ stato ereditato da craxi forlani anreotti e c.lo sta perpetrando.il popolo del resto questo vuole ma non so se la paralisi del parlamento intorno alle sue beghe personali sia un tentativo di cambiare.sa come e’ tutti semettiamo la auto in divieto di sosta diciamo che il vigile   e’ cattivo

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A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart