Venerandi, Fabrizio7 Novembre 2007 Pantagrognomicon – frammenti dalla fine del mondo “Pantagrognomicon – frammenti dalla fine del mondo”Michele Di Salvo Editore, pagg. 170. Euro 10,50 Non ho idea, Fabrizio, se quanto sto per fare abbia un precedente di questo tipo; qualcuno dirà di no e si metterà ad abbaiare alla luna. Ma credo che sia una cosa giusta parlare qui con te del tuo libro “Pantagrognomicon”, un nome di cui ti fai carico di spiegare il significato nella quarta di copertina. Mi sono messo a leggerlo, dopo che, alcuni mesi fa, mi ero smarrito nel tuo “Il trionfo dell’impiegato”, un poema così lontano dal mio mondo e dai miei gusti letterari. Mi ritirai in buon ordine, anche perché la poesia (ne ho scritte di assai modeste) non è il mio campo. Ora avevo occasione di leggere la tua prosa, e mi ci sono messo di “buzzo buono”, come si dice. E quando ho letto il primo “frammento”, quel dialogo graziosissimo intitolato “Intermedio di Zolfanari”, che non ha un inizio e una fine, ho pensato di avere tra le mani un autore originale, dotato di una sottile ironia e di una visione straordinaria delle cose. È una raccolta di “frammenti” (o “section”) che narrano – mi sono detto quando ho letto gli altri immediatamente successivi – accadimenti che spesso non hanno un principio ed una fine, e appaiono come colti di sorpresa, e solo per questo fatto percettivo, essi si materializzano quel tanto sufficiente a rivelarci che vi è un flusso continuo di esistenze intorno a noi, visibili e ordinarie, invisibili e straordinarie. Elettra, la moglie del protagonista, “Era una che non faceva sogni”, “Non sapeva sognare. Non ci riusciva.” Chagall è il nome del gatto che, quando muore, dalla sua pancia escono conchiglie. Sono frammenti immaginifici, proprio alla Chagall, il cui senso è uno solo: che non esiste l’impossibile né la fine delle cose. I gatti che parlano, il bambino che esce in una certa notte dalle viscere del protagonista e afferma che esistono pozzi costruiti verso l’alto, attraverso i quali si scruta il cielo, rappresentano esempi di una vivacità creativa che vuole condurci per mano in un’esplorazione profonda della nostra mente. Per l’autore – mi sono detto – scrivere è anche un gioco di scoperte improbabili, sottoposteci con ironia, se non addirittura con un qualche compiacimento destinato a stupire. Un misto di horror e di assurdo tradotto in divertimento, insomma, in cui il lettore si trova coinvolto avendo seduti accanto a sé personaggi che non si sarebbe mai sognato di incontrare. “Anna allegra spumeggiante si muoveva da una stanza all’altra. Contava, contava i soldi, li contava e dava il resto a tutti. Il cadavere l’avevamo messo sulla sedia in cucina, al suo posto, con le mani sopra il tavolo, la schiena poggiata; il viso rimesso. Anche a quello Anna diede il resto, infilandoglielo in tasca.” Questa è una delle immagini che mi sono piaciute di più del mondo che hai cercato di rappresentare. Ma ad un certo punto hai cambiato registro, e ho cominciato a leggere storie pesanti (forse quelle che sono più in relazione allo strano titolo, non ho altra spiegazione a portata di mano, altrimenti: so solo che da quell’istante mi sono di nuovo perso, come mi successe ne “Il trionfo dell’impiegato”), e sono proprio le storie in cui ti sei impegnato in racconti più lunghi. Perciò ne ho tratto la convinzione che non è quella la tua misura. Il racconto breve, scattante, sospeso, assurdo è il regno in cui puoi muoverti meglio. Questo ho pensato. Poi mi sono fatto forza per provare che mi sbagliavo, e ho incontrato quel “Section: frammento con antinisca (da finire)” che non mi è piaciuto affatto: troppo forzato e crudele, ingiustificato, ecco. Da allora non ho visto più il mondo che avevo scoperto nei primi racconti, ho continuato, ma mi smarrivo sempre di più. E così mi sono fermato. Ciao. Bart Letto 2097 volte.  Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||