Da Tabacci a Giachetti, dalla Zampa alla Boschi Ecco i 148 deputati abusivi7 Dicembre 2013 di Redazione Sono 148 i deputati di Pd, Sel e Centro democratico eletti in Parlamento grazie al premio di maggioranza. Dopo che la Corte Costituzionale ha giudicato «incostituzionale » il premio, la loro permanenza è a rischio. Per Forza Italia e M5s, infatti, sono «onorevoli illegittimi »: gli azzurri chiedono che Montecitorio sospenda la convalida della loro elezione. Senza di loro, la maggioranza di governo scenderebbe da quota 340 a 192. Il Pd passerebbe da 292 eletti a 165, Sel da 37 a 21. Questi seggi andrebbero a Fi (+66) e M5s (+57). Nell’elenco dei “premiati”, che è inedito, ci sono volti noti come Sandra Zampa, Maria Elena Boschi, Roberto Giachetti e Bruno Tabacci. Guarda le foto nella Gallery numero 1 Piemonte 1 Piemonte 2 Lombardia 1 Lombardia 2 Veneto 2 Liguria Emilia-Romagna Toscana Umbria Marche Lazio 1 Lazio 2 Abruzzo Molise Campania 1 Campania 2 Puglia Basilicata Calabria Sicilia 1 Sicilia 2 Sardegna Decadenza Berlusconi, Brunetta: “La Giunta delle elezioni è abusiva” Le polemiche sui 148 parlamentari abusivi del Pd non si spengono. Dopo la decisione della Consulta che ha di fatto dichiarato incostituzionale il Porcellum mettendo in discussione l’intera legittimità del Parlamento, adesso scoppia il caso della Giunta per le elezioni, la stessa che ha messo in moto la macchina per la decadenza di Berlusconi da senatore. A lanciare l’allarme è ancora Renato Brunetta: “Alla luce delle decisioni prese dalla Corte Costituzionale, il 30 per cento dei componenti della Giunta per le elezioni è abusivo”. Poi Brunetta precisa: “Quanto ai membri della Giunta delle elezioni della Camera, su 30 membri ben 10 sono diventati deputati grazie al premio di maggioranza e, dunque, sono a rischio decadenza”. “In parole povere: più del 33% dei componenti dell’organo è in palese conflitto d’interessi”, ha aggiunto. Disegno dei vegliardi di età e di testa Non ha tutti i torti Matteo Renzi quando sostiene che la decisione della Consulta di eliminare il “Porcellum” è stata fatta per mettergli i bastoni tra le ruote. Se il suo intento era di diventare segretario del Partito Democratico per mandare a casa il Governo di Enrico Letta, provocare le elezioni anticipate e puntare a Palazzo Chigi con un ampio consenso parlamentare assicurato dal premio di maggioranza della vecchia legge elettorale, quell’intento è stato completamente sventato. Per andare a votare a marzo bisognerebbe varare una nuova legge elettorale nel giro di qualche settimana. E l’impresa appare assolutamente impossibile. Il Presidente del Consiglio Enrico Letta ha rilevato che prima di mettere mano al sostituto del Porcellum bisogna leggere le motivazioni della Corte Costituzionale, che non saranno note prima di un mese. E solo da quel momento, cioè da quando non sarà più possibile sciogliere le camere per andare al voto prima delle elezioni europee di maggio, si potrà mettere mano alla riforma elettorale. Questo significa che se si riuscisse a varare la nuova legge nei prossimi sei mesi, poi, magari dopo la fine del semestre di presidenza italiana dell’Ue, si potrebbe tornare a votare per eliminare l’anomalia di un Parlamento che è stato votato da una normativa anticostituzionale? Nient’affatto. Perché in ballo non c’è solo la legge elettorale ma anche, come ha spiegato ed auspicato il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, la fine del bicameralismo perfetto. Cioè una riforma della Costituzione diretta o ad eliminare il Senato all’insegna della richiesta popolare di ridurre i costi della politica o a trovare una nuova funzione alla cosiddetta “Camera Alta”, per diversificarla da quella “Bassa” di Montecitorio, dove si dovrebbe concentrare l’attività politica dei rappresentanti del corpo elettorale. Ma una riforma della Costituzione si può fare in tempi brevi solo se la stragrande maggioranza del Parlamento è d’accordo nel realizzarla. Il ché è del tutto impossibile nella situazione di spezzettamento e di conflittualità che caratterizza l’attuale legislatura. Se si vuole legare la nuova legge elettorale alla riforma del bicameralismo indicata da Capo dello Stato, quindi, non si può tornare a votare dopo la fine del semestre di presidenza italiana dell’Ue. E neppure nel 2015, come vanno sostenendo i difensori del Governo Letta. Bene che vada se ne parla nel 2016 o, addirittura, alla scadenza naturale della legislatura. Questa tempistica indica con chiarezza il progetto che c’è dietro la sentenza della Consulta ed anche i suoi astuti ispiratori. Cioè il progetto di congelare l’attuale Governo per fare in modo che il tempo impiegato a discutere sulle legge elettorale e le riforme costituzionali serva a logorare i nemici del ritorno al centrismo della Prima Repubblica tanto caro ai nostalgici di quell’epoca. Cioè Renzi, che da segretario del Pd senza apparato e senza possibilità di candidatura alla premiership sarebbe destinato a fare la fine ingloriosa di tutti i suoi predecessori. Berlusconi, che relegato all’opposizione dovrebbe assistere al progressivo consolidamento degli alfaniani beneficiati dalla presenza governativa. Grillo, che nel giro di un anno potrebbe vedere spezzettato e disperso il suo scombiccherato Movimento Cinque Stelle formato da dilettanti allo sbaraglio. Piano perfetto, dunque, quello che come principale ispiratore sembra avere Giorgio Napolitano. Ma con una doppia incognita. Che Renzi, Berlusconi e Grillo, cioè quelli che hanno i voti ed il consenso, possano trovare un accordo sulla nuova legge elettorale per andare a votare al più presto. Che il Paese non regga più un congelamento che nel frattempo produce paralisi, recessione e nuova povertà e si ribelli ai vegliardi d’età e di testa che lo vogliono far ripiombare nel passato. I costituzionaalisti sul Porcellum Sono poche le certezze, dopo la sentenza della Corte costituzionale che ha parzialmente bocciato il Porcellum. I giuristi sono divisi sull’interpretazione da dare. C’è chi sostiene l’illegittimità del Parlamento e finanche del governo, del Quirinale e della Corte costituzionale stessa (un terzo dei giudici sono di nomina parlamentare). E c’è chi sostiene che dopo la sentenza non cambia nulla, se non la necessità di un intervento sulla legge elettorale. Gli scenari politici sono molti e contrastanti, da uno smottamento rapido del governo a un allungamento della vita dell’esecutivo, nell’attesa di una nuova legge elettorale. Ma tutti dipendono dall’interpretazione della sentenza. Che, a sua volta, ha un punto d’approdo nella pubblicazione delle motivazioni, i cui tempi sono incerti. Ieri il presidente della Corte, Gaetano Silvestri, è intervenuto per spiegare che la Consulta parla solo attraverso i propri atti collegiali e le dichiarazioni ufficiali del presidente. Ma anche per sostenere implicitamente la legittimità delle attuali Camere: «Resta fermo che il Parlamento può sempre approvare nuove leggi elettorali, secondo le proprie scelte politiche, nel rispetto dei principi costituzionali ». Questo il quadro dei pareri dei giuristi. La sentenza della Corte costituzionale è retroattiva? Questo Parlamento è illegittimo? Non solo, secondo Riccardo Chieppa, ex presidente della Consulta, «atti e nomine compiute finora dal Parlamento non decadono ». Per Piero Capotosti «i Parlamenti eletti dal 2006, le leggi e il capo dello Stato sono situazioni irretrattabili, che non si possono cancellare ». Dello stesso parere è Francesco Clementi: «Vale la regola tempus regit actum, ossia gli atti posti in essere fanno riferimento a quel dato momento ». Secondo Cesare Mirabelli, «il Parlamento è pienamente legittimato ad agire ». E Valerio Onida conferma: «La sentenza non inficia la legittimità del Parlamento né delle sue deliberazioni passate e future ». Secondo il politologo Roberto D’Alimonte, invece, la delegittimazione è totale, dalle Camere al Quirinale. E dopo le motivazioni che succede? Ha conseguenze la mancata convalida dei deputati (oltre la metà)? Secondo molti la mancata convalida non avrebbe alcun effetto. Capotosti, invece, spiega che «dopo le motivazioni, l’ombra dell’illegittimità costituzionale potrebbe estendersi a tutto il Parlamento. I parlamentari non convalidati rischiano di essere illegittimi, come le norme approvate dopo di allora ». Anche per Francesco Clementi, «se il Parlamento non fa in tempo a convalidarli, gli eletti decadono ». Non è la tesi di Massimo Luciani, «perché vale il principio di continuità degli organi costituzionali ». Che succede ai deputati eletti con il premio di maggioranza senza soglia, bocciato dalla Corte? Sono possibili ricorsi degli aspiranti parlamentari esclusi? Questo Parlamento può fare una legge elettorale? Si può votare subito, senza un intervento legislativo? Quale legge elettorale ha più probabilità di venire approvata? C’è un altro ricorso pendente alla Consulta, quello fatto dalla Regione Friuli-Venezia Giulia. Il Cav contro Napolitano: mi odia, ha fatto un golpe I toni sono coloriti e gli aggettivi di molto edulcorati. E soprattutto niente nomi e niente cognomi. Ma quel che il Cavaliere va privatamente dicendo da giorni, alla fine lo mette quasi nero su bianco in una lettera indirizzata ai parlamentari di Forza Italia: il Quirinale è uno dei maggiori responsabili di quello che Silvio Berlusconi considera una sorta di «golpe bianco » ma ormai «permanente » iniziato il 9 novembre del 2011 con la nomina a senatore a vita di Mario Monti. Da quel momento – questa è la convinzione dell’ex premier – il Colle avrebbe gestito in prima persona sia la nascita del governo del Professore che i successivi passaggi che hanno portato all’esecutivo di Enrico Letta e poi alla rottura tra Angelino Alfano e Berlusconi. Ecco perché, questo assicura chi nelle ultime ore ha parlato con il Cavaliere, non è affatto escluso che Forza Italia si unisca al M5S se davvero i grillini arriveranno a presentare la richiesta di impeachment del capo dello Stato. Ecco perché l’ex premier sarebbe deciso mettere nel mirino anche il Quirinale pur di far cadere il governo. D’altra parte, ragionava con un parlamentare qualche giorno fa, «con il voto sulla decadenza la tregua con il Colle è finita » e «se Napolitano non solo mi odia ma per giunta si muove come un attore politico deve finirla di considerarsi intoccabile e accettare che anche gli altri si comportino nei suoi confronti di conseguenza ». L’impeachment, insomma, è sul tavolo. Tutti concetti su cui l’ex premier batte da tempo e che mai come ieri era arrivato a mettere nero su bianco. «L’intreccio fra logiche politiche della sinistra e strumenti giudiziari – scrive Berlusconi – sta mettendo seriamente in pericolo i concetti stesso di libertà, democrazia e Stato di diritto ». E «a questo disegno, dispiace dirlo, non son estranei i più alti organi di garanzia delle nostre istituzioni ». Un Cavaliere più che convinto che sia «possibile » arrivare alle elezioni politiche «nei prossimi mesi » perché «il governo ci ha gravemente deluso » ed «è venuto meno agli impegni presi in materia fiscale e di tagli alla spesa ». Ed è per questo che chiede a tutti i parlamentari di «organizzare Forza Italia in una struttura agile, aperta e capace di dialogare in modo capillare sul territorio ». L’ex premier, insomma, nonostante la finestra elettorale sia strettissima, non esclude a priori la possibilità di un ritorno alle urne. Ed è in nome di questo che nelle ultime settimane si sta saldando un asse con il M5S. In principio fu una telefonata del Cavaliere, poi – alcune settimane fa – un faccia a faccia vero e proprio in quel di Arcore. Dove Berlusconi e Paolo Becchi – docente all’Università di Genova nonché uno degli ideologi del M5S – hanno avuto un lungo incontro. Nessuno pensa ad una alleanza stabile ovviamente, ma è chiaro che mai come adesso Grillo e il Cavaliere sono uniti da una sorta di «eterogenesi dei fini ». Nel senso che se è escluso che possano dare vita ad un governo insieme, è invece sicuro che l’esecutivo Letta lo metterebbero volentieri in ginocchio insieme (ieri sono arrivate le dimissioni da sottosegretario al Lavoro anche di Jole Santelli). L’asse, insomma, rischia di essere nei fatti. Non è un caso che la pattuglia di parlamentari di Forza Italia che si dicono pronti a sostenere un eventuale voto di impeachment presentato dai grillini si vada allargando di ora in ora, da Sandro Bondi a Daniela Santanché passando per Augusto Minzolini. Intanto – mentre i sondaggi nelle mani di Berlusconi registrano una forte insofferenza dell’elettorato di centrodestra verso Napolitano – in piazza San Lorenzo in Lucina si sta lavorando per raccogliere pareri di autorevoli costituzionalisti che confermino quanto sostengono Forza Italia e M5S. E cioè che i 148 deputati eletti nelle file del centrosinistra con il premio di maggioranza giudicato incostituzionale dalla Consulta siano «illegittimi » e «abusivi ». Se Grillo ha le palle io ci sto Ma un presidente della Repubblica può legare il suo mandato alla sopravvivenza di un governo, quello di Enrico Letta, o di una maggioranza, quella delle larghe intese? Il peccato originale della seconda volta di Giorgio Napolitano è tutto in quel ventilare, quel far intendere in via subliminale, quell’annuire indiretto, che la fine di questo governo e di questa maggioranza si sarebbe portata dietro anche la fine della sua permanenza al Quirinale. Uno strappo quasi definitivo. Il passaggio, surrettizio, da una Repubblica parlamentare a una Repubblica semipresidenziale. In questo modo il capo dello Stato da garante dell’intero Parlamento ne è diventato solo di una parte e, soprattutto, è diventato il vero capo del governo. Ora che il quadro politico delle larghe intese è venuto meno, infatti, anche Napolitano rischia di pagare dazio. È fatale. E lui si arrabatta come può per salvare il salvabile. Per tenere in vita un’esperienza di governo che ha divorziato con la maggioranza del Paese, che ha fallito su tutto: non ha rilanciato l’economia; le riforme costituzionali sono ferme al capolinea; l’impegno alla pacificazione è rimasto lettera morta. Anzi, un colpo di Stato ha cacciato dal Parlamento l’unico leader politico che vi era rimasto, cioè Berlusconi (Renzi e Grillo non vi sono mai entrati). La verità è che il Quirinale è diventato una torre d’avorio, dove non si recepiscono più i fremiti della società. È sordo. La consulta ha abrogato il Porcellum, delegittimando in un colpo solo il Parlamento, e dietro a esso il governo, il capo dello Stato e se stessa, cioè tutti gli organismi istituzionali che traggono la loro legittimazione dalle Camere e lui va avanti come se niente fosse: secondo Napolitano l’attuale Parlamento invece di approvare una nuova legge elettorale e andare subito al voto, può occuparsi anche delle riforme e rilanciare l’economia. E da chi sarebbe legittimato? Ovviamente da lui: un capo dello Stato che, nella sua pervicacia, si è incoronato re. Ma in fondo la metamorfosi di cui parliamo è avvenuta da tempo: se per nessuno, neppure per il capo del governo, vale il legittimo impedimento, al nuovo sovrano, invece, basta far sapere che non ha nulla da dire sulla trattativa Stato-mafia per evitare una deposizione davanti al Tribunale di Palermo. O, ancora, mentre sono pubblicabili le intercettazioni di qualsiasi cittadino italiano – sia premier, capitano d’industria, generale dei carabinieri poco importa -, lui, il sovrano, scomodando la solita Consulta come sempre pronta all’uopo, ha preteso che le registrazioni delle telefonate tra lui e Mancino fossero bruciate. Naturalmente il capo dello Stato lo ha fatto appellandosi a quella Costituzione che secondo Grillo e i suoi seguaci ha violato. Per cui se il comico che si è fatto politico chiederà l’impeachment del sovrano, c’è da valutare attentamente le motivazioni. E se sarà convincente – come io credo – sarò pronto a dire sì: meglio questa vecchia Repubblica mezza ammaccata, che una strana monarchia. Sulla legge elettorale la maggioranza snobba il monito di Re Giorgio Roma – Con buona pace del presidente della Repubblica, il monito pro riforma elettorale e anti proporzionale di giovedì non ha schiarito le idee a nessuno. A paralizzare la riforma sono soprattutto le divisioni e il clima di sospetti dentro il Pd. Il ministro Graziano Delrio, ha lanciato un monito: se dentro il partito della sinistra esistono «nostalgie della Prima Repubblica » siano «a viso aperto ». Gianni Cuperlo, sulla stessa linea, si augura che «il Parlamento sia in grado di colmare » il vuoto sulla legge elettorale ». «Chi vuole le elezioni subito? Con chiarezza lo dicono Berlusconi e Grillo », ha proseguito Cuperlo, per poi chiedere retoricamente se «c’è qualcuno nel Pd che può ragionevolmente dire che bisogna andare a votare adesso senza cambiare la legge elettorale ». Riferimento a Matteo Renzi. In realtà il candidato favorito alle primarie propone il «sindaco d’Italia ». Ricetta, di fatto, presidenzialista che non dispiace nemmeno ai prodiani, che sono contro il proporzionale. La linea ufficiale del Pd resta quella di un doppio turno, magari proporzionale. Ma è impossibile ottenerlo, visto che nella maggioranza, come ha sottolineato ieri Anna Finocchiaro, c’è anche il Nuovo centrodestra che, almeno in teoria, è contrario al doppio turno. Sistema che notoriamente favorisce l’elettorato militante, più numeroso a sinistra. Insomma, la legge elettorale, come era prevedibile ha mandato in tilt la maggioranza. Situazione che rafforza chi chiede a Giorgio Napolitano di prenderne atto. «Dopo la sentenza della Corte Costituzionale siamo tutti illegittimi e tutti decaduti, e il presidente della Repubblica dovrebbe prenderne atto », ha ribadito ieri Daniela Santanchè. Riforme, Berlusconi vuole chiamare Renzi Non c’è sistema elettorale che metta i partiti al riparo dal corpo elettorale. Quando la Prima Repubblica stava per crollare, le forze politiche del tempo pensarono di essersi poste al riparo dalle macerie varando il Mattarellum. E vinse Berlusconi. Oggi il copione sembra lo stesso, e senza curarsi dell’aria che tira nel Paese ognuno cerca di speculare sul modello di voto da scegliere, in modo da posizionarsi nella sfida di Palazzo, in un gioco degli specchi destinato a durare a lungo. Perché è chiaro a tutti che non c’è più la possibilità di andare alle urne in marzo, che per varare una riforma servono almeno un paio di mesi, a patto di avere già un accordo sottoscritto e blindato in Parlamento. Ma l’accordo non c’è e non c’è nemmeno una maggioranza in grado di difenderlo nelle Camere. E siccome sono giorni di vigilia elettorale, tra le primarie del Pd, il battesimo del Nuovo centrodestra e la nascita dei club «Forza Silvio », i leader hanno dei palchi su cui salire e dei militanti da arringare. Così Renzi annuncia di esser pronto a parlare con tutti, «anche con Berlusconi » pur di arrivare a un nuovo meccanismo di voto, perché non vuole farsi ingabbiare nell’asse Quirinale-Palazzo Chigi che a suo avviso mira a stritolarlo. Chissà se il sindaco di Firenze pensa davvero che quel sentiero sia percorribile, senza il rischio di provocare la scissione del suo partito prima ancora della crisi di governo. Di sicuro non dovrà stupirsi – e sicuramente non si stupirà – se lunedì mattina il primo a fargli le congratulazioni per l’elezione a segretario del Pd sarà proprio il Cavaliere, che pubblicamente fa mostra di credere ancora alle elezioni anticipate, ma che in realtà cerca solo un ruolo da protagonista nella partita delle riforme. Non a caso l’altro ieri – durante una riunione con i dirigenti azzurri – ha glissato sulla reale prospettiva delle urne e soprattutto non ha sciolto le riserve sull’atteggiamento da tenere in Parlamento in vista dell’ultima lettura sulla modifica del 138, che garantirebbe un percorso accelerato alle modifiche istituzionali. È vero che a oggi l’orientamento di Forza Italia è di votare contro, ma a parte il fatto che sulla posizione da assumere c’è un caleidoscopio di posizioni nel partito, è Berlusconi che non ha deciso se sbattere la porta e intanto la tiene socchiusa, all’occorrenza. Vari motivi inducono l’ex premier a temporeggiare. Intanto non ha ancora realizzato se gli convenga davvero l’ormai ipotetica sfida nelle urne in marzo, o se piuttosto sia preferibile dare battaglia al governo dall’opposizione, lucrare voti per le Europee e prepararsi per le Politiche facendo pulizia nel partito, garantendosi una posizione di forza nel centrodestra. E poi, senza elezioni anticipate, vuole capire se lo si noterebbe di più rimanendo ai margini della partita sul riassetto istituzionale o se gli converrebbe invece entrare nel gioco, e verificare per esempio quale fondamento abbia la tesi espressa ieri dalla Bindi: «Credo che amnistia e indulto si possano prendere in considerazione, e si potranno fare quando avremo aperto il cantiere delle riforme »… La verità è che i partiti dovrebbero pensare in grande per uscire dall’impasse e non venir travolti fuori dal Palazzo. Invece tutti stanno giocando a mosca cieca dentro un labirinto. E infatti mentre oggi dal podio del Nuovo centrodestra il vicepremier Alfano spiegherà che sulle riforme «il governo non potrà dare la sensazione di indugiare » e che dovrà essere «protagonista attivo nel processo », Letta sarà a preparare il discorso di mercoledì prossimo alle Camere, dove – per ottenere la fiducia – si limiterà a dire il minimo indispensabile sulla legge elettorale. Perché prima di trovare un accordo nella maggioranza, bisognerà che il Pd trovi un accordo con se stesso, visto che le preferenze sul futuro meccanismo di voto spaziano dal doppio turno di collegio al sistema tedesco, che fa proseliti nell’area bersaniana e dalemiana. In attesa di un’intesa, proprio l’assenza di una legge elettorale è la miglior polizza sulla vita per il governo: finché non sarà varata una riforma nessuno potrà infatti permettersi di aprire la crisi e di andare al voto con il proporzionale puro e le preferenze, perché – se così fosse – nessuno tornerebbe nel Palazzo da vincitore. In molti nemmeno tornerebbero. Come venti anni fa. E ora come si vota? C’è chi è stato sette anni in Tibet e chi da sette anni è vissuto e vive nell’incostituzionalità. C’è chi dalla lontananza (da casa) è tornato e chi nella lontananza (dal diritto) s’è ritrovato. Quando mercoledì 4 dicembre alle 18 arriva la notizia che la Corte costituzionale ha bocciato il Porcellum la reazione tra i Palazzi è un mix caldo/freddo che nasconde il generale smarrimento intabarrato nel cappotto del generale inverno. Angelino Alfano commenta da Bruxelles: “Mi pare un’ottima decisione”, ma sembra non aver colto in pieno cosa sta per succedere. Silvio Berlusconi poco prima aveva dato la cifra del pasticcio in corso d’opera: “Se resta il Porcellum siamo alleati, se no con il Mattarellum si può correre da soli” (durante la presentazione del libro di Bruno Vespa, Tempio di Adriano, Roma). Ma la calderolata non c’è più e quel “da soli” ora è un’opzione concreta come un iceberg sulla calotta polare artica. Beppe Grillo alle 19 e 39 la mette giù facile facile: “Si torni al Mattarellum, si sciolgano le Camere e si vada al voto”. E due. Il tre arriva alle 19 e 03 con il Mattinale in versione serale che tuitta così: “In Parlamento gli abusivi sarebbero 148, e gli onorevoli democratici calerebbero da 340 a 192”. E il Pd? Parla Matteo Renzi da Bologna alle ore 22 e 03: “Politicamente è evidente che si deve rifare la legge elettorale, non c’era bisogno della Corte”. Politicamente si va a nanna. Ma praticamente ci si sveglia la mattina con un giudizio della Corte e senza una legge elettorale. Sintetizza a tutta pagina la situazione surreale il Foglio: “Da sette anni siamo incostituzionali”. E ora? Non resta che attendere un accordo tra Berlusconi e Renzi sul come si vota. E’ l’epilogo di una stagione e l’inizio di un nuovo duello, certificato dal decaduto-in-piedi quando apostrofa così il sindaco di Firenze: “Il mio competitor”. Dalla “Ruota della fortuna” al battesimo del Cav. Qualche fotogramma indietro. La settimana inizia con ritmo scapigliato, con un preludio domenicale di “vaffa” grillini (Genova, 1 ° dicembre) e un D’Alema del lunedì che candida Renzi a Palazzo Chigi nel 2015 “se non c’è Superman” (intervista alle “Iene”) e poi “parliamoci chiaro: io non sapevo manco chi era Matteo Renzi. Lui si è affermato sulla scena politica avendo come principale parola d’ordine rottamare Massimo D’Alema”. Modestamente. Il martedì s’apre nel segno delle candidature ovunque di Berlusconi per le elezioni europee, gettonatissime Ungheria e Bulgaria. Ma la notizia migliore viene dalla montagna: “Uno dei seggi allestiti in Lombardia per le primarie del Pd sarà un igloo e avrà accanto una statua di ghiaccio di Matteo Renzi. Verrà costruito sul ghiacciaio del Presena, in provincia di Brescia, a 2.600 metri di altitudine” (Agi, ore 12 e 06). Segue scambio di lettere tra democratici sulla par condicio al cubetto di ghiaccio tra candidati alle primarie. Manca il parere dei pinguini, ma il resto è tutto vero. Ah, no, c’è anche il dibattito sulla legge elettorale che nel pomeriggio decolla: i civatiani presentano tre proposte per cancellare il Porcellum, i renziani accusano i cuperliani di fare melina in Senato. Grande discussione. La Consulta accende il lanciafiamme mercoledì e così giovedì (5 dicembre) si torna dove prima c’era il Cav., al Tempio di Adriano. Là troviamo Angelino Alfano che “scopre” il simbolo del Nuovo centrodestra. Blu, quadrato, geometria teutonica, caratteri bianchi. Daniele Capezzone fa la chiosa estetica: “Sembra l’F24 del Modello Unico”. Muore Nelson Mandela. Lutto planetario. Luigi Zanda informa: “Tutto il Pd è unito sul doppio turno”. Venerdì (6 dicembre) si capisce che nonostante la situazione sia grave ma non seria, nessuno davvero sa cosa fare, così si improvvisa: Giorgio Napolitano chiama Enrico Letta al Quirinale, Grillo manda online le foto segnaletiche di 148 parlamentari eletti con il premio di maggioranza, Fabrizio Cicchitto evoca il patto Ribbentrop-Molotov per denunciare la “sbandata estremistica” di Forza Italia e – sorpresona per il weekend politicamente corretto – Romano Prodi ci ripensa e annuncia al popolo festante: “Andrò a votare per le primarie, il bipolarismo rischia”. Cribbio. Torna pure lui. Anzi, come quell’altro, non se n’è mai andato. Era solo arrabbiato per la carica dei 101 dell’elezione mancata alla presidenza della Repubblica. Gli è passata, dài. C’è il pericolo. Miracoli del bipolarismo. L’inversione a “u” del Professore fa flash sullo schermo del computer e per un po’ blocca il traffico delle agenzie di stampa, seguono soddisfatte dichiarazioni democratiche, cronache epifaniche, poi alle 14 e 19 l’ingorgo retorico si diluisce e giunge una notizia triste e comica nello stesso tempo, metafora di un destino collettivo: un elefante è stato fermato all’uscita numero 11 del Grande Raccordo Anulare. Almeno lui ci ha provato: era in fuga dal circo. Il Tg1 dà la notizia che Letta è morto Durante la settimana che si sta per chiudere per due volte il Tg5 di Clemente Mimun ha battuto in ascolti il Tg1 di Mario Orfeo. Grillo ai suoi: “Non fate entrare i parlamentari abusivi” Beppe Grillo apre la caccia. Non bastavano le liste di proscrizione nei confronti dei giornalisti scomodi. E così dal suo blog scrive: “In parlamento siedono 150 abusivi eletti grazie al premio di maggioranza del Porcellum. Gi abusivi sono di Pd, Sel, Centro democratico e Svp”. E via con la lista dei nomi: dal renziano Roberto Giachetti (che contro il Porcellum aveva fatto lo sciopero della fame), a Bruno Tabacci passando per Ivan Scalfarotto ed Ermete Realacci. “La loro elezione non è mai stata convalidata e, in seguito alla pronuncia della Consulta che dichiara incostituzionale il premio di maggioranza, non può più esserlo. Questi signori non devono più entrare in parlamento: non hanno alcuna legittimità popolare né istituzionale. Devono essere fermati all’ingresso di Montecitorio. Senza di loro il governo di capitan Findus Letta e di Napolitano non esiste più. Bisogna andare al voto al più presto”, scrive l’ex comico genovese. Primarie Pd, e se alla fine vincesse Pippo Civati? Immaginate per un attimo se domani da quei gazebo dovesse venire fuori una bella sorpresa, la fine della nomenclatura Ds e Margherita, l’inizio di una nuova sinistra. Un cambiamento epocale, vero, non quello facilmente annunciato, ma sempre tradito. Matteo Renzi ha bucato lo schermo, scalato il Pd, animato la sinistra italiana con l’illusione della rottamazione nei confronti di un gruppo dirigente stanco e perennemente sconfitto. Salvo poi mettersi d’accordo con un gran pezzo dei mandarini, trasformando la rottamazione in un’appassionante fiera di macchine d’epoca. Renzi è riuscito in miracoli non semplici, come mettere assieme Bassolino e De Luca in Campania, e promuovere il rinnovamento in Sicilia con Genovese e Papania. Gli ex ds in cerca di exit strategy hanno rispolverato la vecchia tradizione, cercando nella loro storia e nella identità un fortino che li mettesse in salvo dal ciclone Renzi. Proprio loro che hanno fatto di tutto in questi vent’anni per sbugiardare identità e storia, trasformando antropologicamente la sinistra italiana in un surrogato ad uso e consumo dei loro interessi particolari. Scongelando dal congelatore il compagno Gianni Cuperlo, che pare un alieno, persona degnissima ma che serve per nascondere la peggior classe dirigente e difendere il fortino. Lo schema è disegnato: Renzi guida il partito in attesa delle prossime elezioni, magari grazie al suo consenso personale si supera l’ostacolo dell’elezioni europee, e poi tocca nuovamente agli ex ds della scuderia dalemiana gestire il partito. Un modo per non esporsi, per non rischiare di perdere le rendite di posizione, cosa volete che sia? Questi sono sempre quelli dei 101 che hanno assassinato Prodi per dare vita alle larghe intese con l’unico scopo di restare lì dove sono da vent’anni. È proprio la sera dei 101 che l’indignazione diventa una promessa di riscatto, che un giovane deputato lombardo interpreta e con coraggio costruisce un progetto politico in grado di scardinare lo schema Renzi-D’Alema. Accade che Pippo Civati con accanto il suo esercito di ragazzini comincia a girare l’Italia, a raccogliere la delusione riaccendendo entusiasmo, a seminare l’idea che un’altra storia è possibile. Lui che chiedeva di votare Rodotà prima, e poi, Prodi come Presidente della Repubblica. Lui che non vota la fiducia alle larghe intese, (ma come si fa a governare con Alfano, Formigoni e Brunetta?), che si oppone agli F35, che chiede la sfiducia alla Cancellieri. Civati con coerenza e coraggio apre uno spazio nuovo per la sinistra italiana, mettendoci la faccia, minacciando la fine di quel partito dei notabili. Parla di diritti civili, altro che unioni alla tedesca o civil partnership, matrimoni gay e adozioni. Civati sale in val di Susa, dove incontra i No Tav, arriva a Taranto per parlare con le famiglie degli operai dell’Ilva, passando da Prato all’indomani del tragico incidente, cose che appaiono impensabili per i vertici pd. Propone la consultazione degli iscritti e degli elettori sui temi, quelli importanti come il governo delle larghe intese. Viene preso per estremista, ma poi la Spd in Germania chiama i propri elettori alla consultazione sul governo con la Merkel, portando in dote il reddito minimo, alla faccia degli strateghi del Pd che invece si fanno imporre l’agenda politica da Berlusconi. Quando il vento comincia a soffiare non ci sono fortini che tengono, non basta ricorrere ai capibastone delle periferie, se domani il popolo democratico deciderà di cambiare avrà una grande opportunità. La più grande opportunità degli ultimi vent’anni: in una sola giornata mandare a casa la peggiore classe dirigente – la più arrogante e la più incapace – che al fine di conservarsi ha condannato l’Italia al ventennio berlusconiano. Immaginate se lunedì Pippo Civati diventerà il Segretario, vorrà dire fine del governo con Alfano, vorrà dire tornare a fare la sinistra, vorrà dire liberarci dei Bassolino e dei Genovese, vorrà dire anche eleggere un nuovo Presidente della Repubblica. Mica male per una piccola fila al gazebo domenicale e due euro. Letto 1742 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||