Il destino incerto della coppia Letta-Renzi15 Dicembre 2013 di Federico Geremicca Cos’è in corso tra Letta e Renzi? Un abile gioco di squadra o una lotta sorda che non potrà che concludersi con un vincitore e un vinto? Il rischio di errore, in analisi così, è naturalmente alto: ma è davvero difficile cogliere i segni (e le ragioni politiche) di una intesa – anzi: di un patto, come va di moda dire oggi – tra i due giovani leader democratici. E c’è un elemento, in particolare, che va necessariamente assunto come punto di partenza per l’avvio di qualunque previsione che riguardi l’evolvere del rapporto tra premier e segretario: e cioè, che Enrico Letta (perfino suo malgrado) si è ritrovato seduto sulla poltrona che Matteo Renzi insegue – senza farne mistero – fin dall’autunno dell’anno scorso. Fallito l’assalto alla candidatura a premier perché battuto da Pier Luigi Bersani, il giovane sindaco di Firenze ha deciso di provare a raggiungere lo stesso traguardo attraverso un’altra strada: la conquista della leadership del maggior partito italiano (e di governo). Da quella postazione ha immediatamente avviato un’opera, diciamo così, di «provocazione positiva » nei confronti dell’esecutivo, per dimostrare l’inadeguatezza di un governo composto da forze troppo disomogenee per poter utilmente marciare assieme. Renzi immaginava, forse, una rapida resa del premier-competitor, ma due novità (solo in parte imprevedibili) sono sopraggiunte a complicargli i piani: la sentenza con la quale la Corte Costituzionale ha privato il Paese di una credibile legge elettorale per tornare alle urne, e la reazione di Enrico Letta, deciso – come ha ripetuto ancora mercoledì di fronte alla Camera riunita – a «combattere come un leone ». E a che tipo di combattimento pensasse, e quale nemico avesse in mente, lo si è capito a sufficienza con la spregiudicata mossa fatta in materia di finanziamento pubblico ai partiti. Sia su questo terreno, sia sulla delicata frontiera della legge elettorale da varare, l’effetto della competizione tra Letta e Renzi ha – paradossalmente – prodotto una accelerazione alla quale tutti guardano, adesso, con non nascosta soddisfazione. Sull’ormai obbligatoria riforma del Porcellum – è vero – si è ancora alle mosse preparatorie (ma il passaggio di mano della materia, tra Senato e Camera, è certo un punto a favore del leader Pd). Sul finanziamento ai partiti, invece, il governo ha effettuato una mossa concreta: il cui effetto, in tre anni, sarà quello di trasformare i partiti politici italiani negli unici – tra i maggiori Paesi europei – a non poter godere di una sola lira di finanziamento pubblico. Sull’onda di mutande verdi comprate con soldi pubblici, feste in maschera e cosmetici acquistati con i quattrini degli italiani, l’iniziativa del governo è stata salutata dallo scrosciare degli applausi. Secondo un vecchio adagio, però, la fretta è a volte cattiva consigliera, e sarebbe paradossale se l’abolizione totale del sostegno alla politica dovesse in qualche modo esser ripensata di fronte ad una domanda che potrebbe riservare riposte amare: dove e come i partiti troveranno risorse per continuare la loro attività? L’interrogativo non è da poco. E anche Renzi non farebbe male a rifletterci: soprattutto se davvero avesse intenzione di annunciare, oggi da Milano, la disponibilità del Pd a restituire perfino i finanziamenti ricevuti dall’inizio degli Anni 90 ad oggi… Legge elettorale. Una proposta ragionevole Botte da orbi sulla legge elettorale, ma non è affatto una notizia. Discussioni bizantine sul «dove » (meglio cominciare dalla Camera oppure dal Senato?). Sul «come » (legge o decreto?). Sul «chi » (accordo di maggioranza o trattativa con le minoranze?). Sul «quando » (entro la Befana, dice Quagliariello; rischiando tuttavia una calza piena di carbone). E il «cosa »? E la sostanza delle nuove regole del gioco? Vattelappesca. Eppure la lezione è semplice, o forse siamo noi un po’ sempliciotti: la zuffa sulle procedure impedisce di procedere. Ma loro no, continuano imperterriti. S’almanaccano sul metodo perché non hanno idee sul merito. E quando trovano un accordo di metodo, va a ramengo prima d’abbordare il merito. Anche qui, c’è un’esperienza fresca: la riforma della Costituzione. Per accorciare i tempi, la maggioranza delle larghe intese aveva messo in pista un veicolo speciale, un procedimento in deroga all’articolo 138. Risultato? Tempi più lunghi, abbiamo sprecato sette mesi. Perché nel frattempo si è sfilato Berlusconi, dunque in Parlamento mancano i due terzi necessari per evitare il referendum, che ci spedirebbe alle calende greche. E allora punto e a capo, con un gran mal di capo. La medicina? Non un proporzionale puro, da cui sboccerebbe un altro esecutivo impuro. Del resto questo sistema ce l’abbiamo già, dopo la sentenza costituzionale sul Porcellum . Quindi un maggioritario, dove però ci tocca scegliere tra un farmaco in commercio e un farmaco sperimentale. Il primo è il Mattarellum, somministrato agli italiani durante tre elezioni (1994, 1996, 2001), nonché invocato a furor di popolo (un milione e 200 mila firme) in un referendum del 2011 su cui la Consulta disse niet . Magari con qualche aggiustamento, per impedire il trucco delle liste civetta e per eleggere più donne in Parlamento (nel 2001 furono 88, il 9,2% del totale). Vantaggi: i partiti non dovrebbero spremersi le meningi per inventare nuove soluzioni, rischiando (loro e noi) la meningite. Svantaggi: con tre forze politiche pressoché alla pari, una simulazione di D’Alimonte attesta che non avremmo vincitori. Però non è detto. L’ultima volta non conoscevamo neppure la fotografia dei candidati, sicché abbiamo votato Grillo, Bersani, Berlusconi. Con il Mattarellum li guarderemmo in faccia, lasciando a casa gli sfacciati. Ma la governabilità verrebbe garantita in ogni caso attraverso la ricetta cucinata dai 35 cuochi assunti quest’estate dall’esecutivo Letta. Come? Con un doppio turno eventuale, chiamiamolo così. Premio di maggioranza (55% dei seggi) a chi guadagna almeno il 40% dei consensi. Tuttavia, per evitare coalizioni di nani e ballerine (Prodi docet ), non concorrono a raggiungere la soglia i partiti sotto il 5%. E se nessuno vi riesce? Secondo turno tra le due forze maggiori, col divieto d’imbarcare nuovi commensali. Chi vince, vince il premio, e lo vince grazie a una scelta esplicita del corpo elettorale. Dopotutto il compito in classe non è così difficile, per i nostri scolaretti ripetenti. Ma c’è voluta la bacchettata d’un supplente (la Consulta), per avvisarli che la ricreazione è finita. Un paese che perde il senso delle parole IL VANGELO di Giovanni comincia in un modo che neppure un non credente può dimenticarlo. Dice: “All’inizio c’è la Parola e la Parola è presso Dio, la Parola è Dio e tutte le cose che esistono è la Parola ad averle create”. In molte cose ricalcano il programma di Grillo ma neanche con lui vogliono avere rapporti. Vorrebbero insediare un governo provvisorio ma non sanno come fare e chi metterci. Hanno una vaga ispirazione fascista e infatti sono visti con simpatia da Casapound e da Forza Nuova; alcuni hanno anche sentimenti razzisti e antiebraici ma sono pochi. Nel frattempo ingombrano strade e città con centinaia di Tir. Gli spostamenti dei Tir sono costosi ma non si sa chi siano i finanziatori. I Tir sono comunque il centro di queste manifestazioni. Ricordiamoci che fu la loro rivolta in Cile a mettere in ginocchio Allende aprendo la strada alla dittatura militare di Pinochet. Da quanto par di capire oggi sembra però che i Tir siano disposti a trattare con il governo, anche se i capi della rivolta negano ogni possibilità di negoziato. Quanto ai disoccupati, i pensionati, i precari, si può fare ben poco finché la situazione economica non presenti miglioramenti sostanziali il che dovrebbe avvenire entro il prossimo semestre del 2014. *** Le elezioni europee di primavera sono un appuntamento inquietante non solo per l’Italia ma per l’Europa intera, Germania compresa. I movimenti populisti, come quelli guidati dalla Le Pen, da Grillo e dalla Lega, sono presenti anche in Germania, in Grecia, in Irlanda, in Olanda, in Austria. Alcuni puntano su un nazionalismo vecchio stampo, naturalmente da loro guidato; altri su un Parlamento europeo ridotto all’impotenza dalla loro presenza minoritaria ma paralizzante; quasi tutti all’uscita dall’euro e al ritorno alla moneta nazionale. Su quest’ultimo punto i 5Stelle sono in testa a tutti gli altri. In un paese normale basterebbe essere consapevoli di che cosa avverrebbe di una lira fuori dall’euro per far sì che il Movimento 5Stelle scomparisse dalla scena politica; invece viaggia tra il 21 e il 22 per cento con tendenza al rialzo. Come si spiega? Si spiega così: molti italiani pensano che le elezioni europee non contino niente e quindi possono servire a sfogare la rabbia che hanno in corpo e, siccome di rabbia ce n’è molta, sono molti quelli che voteranno Grillo. La controprova sembra paradossale ma non lo è: molti elettori del Pd con sentimenti di sinistra non se la sono sentita di votare per Grillo e sapete che cosa hanno fatto? Hanno votato Renzi. Il maggior numero di votanti alle primarie che hanno scelto il sindaco di Firenze sono di sinistra. Questo governo non gli piace, Alfano non gli piace, il Nuovo centrodestra non gli piace. Vogliono un monocolore Pd e se necessario si tratti con Grillo; quanto ad Alfano, cammini a pecorone. Ora parliamoci chiaro: Alfano non è certo Orlando a Roncisvalle e Renzi ha ragione quando contrappone i trecento deputati Pd ai trenta del Ncd, ma forse ignora che cosa sia l’utilità marginale. I trenta di Alfano rappresentano appunto l’utilità marginale. Se escono dall’alleanza la maggioranza non c’è più. E allora, caro neosegretario, che facciamo? Mi piacerebbe conoscere la risposta. So bene che molti non amano la parola “stabilità” applicata al governo. Vogliono che il governo faccia, non che sia stabile. Rabelais aveva proprio ragione quando diceva che le parole si squagliano nelle mani di chi le prende e diventano gocce d’acqua. La parola stabilità è preliminare, solo se si è stabili si fa, se non si è stabili si cade per terra. Possibile che questo mi tocchi spiegarlo? È umiliante per chi lo spiega e soprattutto per chi da solo non ci arriva. *** Il rapporto Letta-Renzi è già evidente da quanto fin qui ho scritto e soprattutto da quanto vediamo da tempo e in particolare dalle primarie in poi. Oggi Renzi si presenta all’Assemblea del Pd per l’investitura ufficiale. Parlerà. Ascolteremo. Lui sa bene che il padre guardiano di Letta è Napolitano, a parte il fatto che Letta può fare anche a meno di padri guardiani. Renzi nel frattempo dovrebbe occuparsi del partito. Se posso dargli un consiglio disinteressato si consulti con Fabrizio Barca. Una nuova generazione alla guida del partito è necessaria ma bisogna educarla. Non riesco a vedere nessuno adatto a questo compito. Renzi di partiti ne sa poco, ha talento ma poca esperienza. Comunque la fortuna aiuta gli audaci. Intanto il fuoco dei cannoni da strapazzo si concentra su Napolitano. Spara Grillo, spara Travaglio, spara perfino Barbara Spinelli. Quest’ultimo nome mi addolora profondamente. Sento da tempo un profondo affetto per Barbara e stima per la sua conoscenza dei classici, della filosofia, delle scritture d’ogni tempo e luogo. Ma conosce poco o nulla la storia d’Italia quando pensa e scrive che la decadenza cominciò negli anni Settanta del secolo scorso e perdura tuttora. Questo, cara Barbara, è un Paese dove parte del popolo è incline e succube di demagoghi di ogni risma. Cominciò – pensa un po’ – da Cola di Rienzo; ha sempre odiato lo Stato e le istituzioni; Mussolini non fu un incidente della nostra storia come pensava Croce, ma un fenomeno con caratteristiche antropologiche prima ancora che politiche, come disse Ferruccio Parri. Ti assicuro che da questo momento in poi cancello dalla mia memoria quanto ho ora ricordato. Voglio solo pensare il meglio di te a cominciare dal fatto che sei la figlia di Altiero Spinelli. Ricordalo sempre anche tu e sarà il tuo maggior bene. < Le telefonate che imbarazzano Esposito «Gli sbirri sono tutti uguali », mastica amaro l’avvocato. E lui, il giudice, gli risponde dall’altro capo della cornetta: «È il classico comportamento dei carabinieri ». La scelta dei difensori di Nocito di chiamare Esposito a testimoniare nel processo in corso davanti al Tribunale di Paola ha fatto emergere le relazioni tra i due, oggetto di parte delle 30mila pagine di intercettazioni messe sul banco dalla Dda. E l’alto magistrato, che non è tra gli imputati né è mai stato sfiorato dalle indagini, è finito all’angolo per le sue frequentazioni. «Il dottor Esposito non ha mai avuto rapporti di amicizia con le persone coinvolte nell’inchiesta che ha portato all’arresto di Nocito e del sindaco di Scalea, con i quali ha avuto solo saltuari incontri – sporadici con il sindaco – nel breve periodo di vacanza trascorsa nell’estate del 2011, e in alcuni fine settimana, nella propria residenza estiva di Scalea », si sono affrettati a precisare al primo stormir di cronaca i suoi legali, aggiungendo: «Le cene alle quali si fa riferimento, di numero ridotto, sono state tutte promosse da un amico del dottor Esposito, un imprenditore della zona, che alle stesse aveva invitato anche altre persone ». Ieri, però, il Corriere ha pubblicato nuovi e più ampi stralci dei brogliacci, minando la tesi degli incontri occasionali. Tra le conversazioni finite in pagina quelle nell’ambito delle quali si concordano pranzi, si invocano consigli sulle strade da seguire dopo la bocciatura al concorso per magistrati di Nocito jr., si ragiona dei presìdi giudiziari da chiudere per via della spending review come pure «dei casini che il sindaco di Scalea sta combinando con quei locali dati in comodato al presidente ». Immediate le reazioni politiche, con Forza Italia in prima linea. «Questo è lo stato della giustizia in Italia e questi i protagonisti moralmente opachi che decidono il corso della politica e irridono il giudizio degli elettori », dice Mariastella Gelmini. «Mi viene un dubbio: vuoi vedere che alla fine si scoprirà che è stata la mafia a volere la condanna di Berlusconi? », rincara la dose Daniela Santanchè. Ironico Luca D’Alessandro: «Siamo in attesa di conoscere le motivazioni per le quali il Csm non punirà il giudice Esposito per l’ennesima discutibile vicenda che lo riguarda ». Il 28 gennaio, intanto, il Tribunale paolano deciderà se autorizzarne la citazione. «L’audizione del dottor Esposito – sottolineano al riguardo i legali del presidente – è stata richiesta unitamente a quella di altri sei giudici per valutare se l’avvocato Nocito godesse di considerazione e stima nell’ambiente forense, circostanza, a quanto si apprende, già ritenuta irrilevante dal pm di udienza ». Così, se il Collegio giudicante accoglierà le richieste della difesa, nel processo alle ‘ndrine deporranno come testimoni diversi magistrati. Tra loro Franco Greco, per anni sostituto procuratore a Paola, oggi in servizio a Lagonegro: censurato nel 2010 dal Csm per aver realizzato abusivamente una piscina sotto casa, compare nella lista depositata dalla difesa di Nocito. Quasi uno scambio di cortesie, visto che l’avvocato calabrese figurava tra i testi citati da Greco nel procedimento penale (poi archiviato) nato da un esposto da quest’ultimo presentato contro due colleghi magistrati. Nulla di strano: storie di giustizia all’italiana. Berlusconi: «Quella sentenza era politicamente corrotta » Nella sua testa lo schema è chiaro da tempo. E prevede che partiti e movimenti nati dallo «spacchettamento » del Pdl puntino a recuperare voti su due fronti: da una parte gli astenuti, dall’altra l’elettorato grillino di centrodestra. Così, non stupisce più di tanto che Berlusconi lo dica chiaro e tondo durante una telefonata alla sede di Forza Italia di Dozza Imolese. L’obiettivo – spiega l’ex premier – è «convincere gli indecisi » che «sono tantissimi » e quelli che hanno scelto Grillo e «la sua anti-politica distruttiva e giustizialista ». E ottenere «un grande risultato » già dalle prossime elezioni europee in programma a fine maggio. Un Cavaliere, dunque, convinto a giocare la campagna elettorale in prima fila e spingendo sull’acceleratore, al punto da ipotizzare di presentarsi a Bruxelles per la riunione del Ppe che si terrà giovedì prossimo. Se davvero lo facesse, infatti, è chiaro che i riflettori sarebbero tutti puntati su di lui, alla prima apparizione su un palcoscenico internazionale dopo la decadenza. Un’eventualità al momento remota (ci sono problemi legati al ritiro del passaporto dopo che la sentenza Mediaset è passata in giudicato) ma che con il passare delle ore sta tentando un Berlusconi che pare non aver per nulla gradito l’invito recapitato dal Partito popolare europeo ad Alfano. Una cosa, spiega il responsabile comunicazione di Forza Italia Deborah Bergamini, di cui «non si capisce la ragione » visto che il vicepremier «non risulta essere presidente di un partito membro del Ppe a meno che Ncd sia stato ammesso nei Popolari all’insaputa dei suoi membri », il che «sarebbe un fatto assai grave e senza precedenti ». Una presenza, quella di Alfano al vertice Ppe di giovedì, che per molti versi a Berlusconi pare abbia evocato «l’inutile blitz » che fece a Bruxells l’allora premier Monti nel dicembre 2012. Un Berlusconi che ha dunque la testa già sulla campagna elettorale. E che guarda soprattutto agli elettori del M5S, convinto che possano essere terreno fertile soprattutto ora che hanno potuto vedere «i risultati della presenza in Parlamento dei grillini ». Così, forse non è un caso che il Cavaliere guardi con attenzione alla rivolta dei Forconi. Nonostante qualche giorno fa sia alla fine saltato il faccia a faccia previsto a piazza San Lorenzo in Lucina con i leader della protesta (incontrati poi da Daniela Santanché), Berlusconi dice infatti di comprendere le ragioni dei malumori. «Questa rivolta – spiega – è il sintomo di una grave crisi vera e che ha delle motivazioni profonde ». Il leader di Forza Italia, dunque, pare deciso a non arretrare di un passo. E in attesa che si concretizzino i servizi sociali o i più temuti arresti domiciliari non perde occasione per essere «mediaticamente attivo » (ieri il pretesto è stata la telefonata a Dozza). D’altra parte la paura è che con l’avvicinarsi della campagna elettorale per le Europee il magistrato di sorveglianza gli imponga un regime così stringente da impedirgli di fatto di essere presente nel dibattito politico. Ecco perché Berlusconi accelera adesso, nonostante sia comunque deciso a non farsi «silenziare ». D’altra parte, dice, «la sinistra e i giudici a lei vicini hanno già fatto abbastanza » mettendo «sotto i tacchi lo Stato di diritto e applicando retroattivamente la legge Severino ». Insomma, «non so come altro chiamarli se non fuorilegge ». Visto che la loro «sentenza politicamente corrotta » ha «provocato dopo un quarto d’ora la dichiarazione del segretario del Pd Epifani che ha chiesto la mia decadenza ». La convivenza tra Letta e Renzi La convivenza tra il Chierichetto di Pisa e Fonzie da Firenze è ogni giorno più difficile, nonostante i proclami ‘furbi et orbi’ di non belligeranza. Un ‘volemose bene’ solo per i riflettori. Questo Enrichetto lo sa bene tanto che da giorni starebbe studiando un’opzione B per la sua uscita. Eh sì perché da giugno Palazzo Chigi potrebbe avere un nuovo inquilino. Chi? Matteuccio, of course. Per Enrichetto fino alla prossima primavera sarà un calvario e lui da buon cattolico-divorziato sa bene cosa voglia dire. I guai cominceranno già in gennaio quando molti nodi arriveranno al pettine soprattutto quelli economici che per questo governicchio con l’attuale formazione sarà molto difficile se non impossibile dipanare. Per questo Lettanipote starebbe accarezzando l’idea di candidarsi alle prossime elezioni europee. Il sogno sarebbe essere eletto presidente dell’assemblea di Strasburgo, ma sarà difficile battere la concorrenza del socialista tedesco Martin Schultz, il tedesco a cui il Banana aveva dato del simpatico “kapò”. Sempre in tema di presidenze Enrichetto punterebbe al colpo grosso: la guida della Commissione europea, finora saldamente in mano al portoghese Josè Manuel Barroso, che dovrà essere rinnovata dopo le europee. Sogni di gloria quelli perché all’Italietta nostra non daranno mai una presidenza così importante. Primo perché siamo declassati alla serie B e poi perché una poltrona di superprestigio già c’è stata concessa con la nomina di Mario Draghi governatore della Bce. Allora su cosa potrebbe puntare Enrichetto? All’Italia dovrebbe spettare una casella di vicepresidente. Attualmente la occupa il panzer-pazzerotto berlusconiano della prim’ora Tonino Tajani che dovrebbe vigilare su industria e imprenditoria. Certo Enrichetto non pensa affatto di sedere sulla poltrona di Tajani perché lo trova estremamente riduttivo e punterà ad una vicepresidenza più importante. Nel mirino sarebbe la posizione del finlandese Olli Rehn (quello che sputtana Saccodanni un giorno sì e l’altro pure), in pratica il ministro europeo dell’Economia. Un problema. Rehn è commissario, cioè un gradino in meno di vicepresidente. Alla fine questo non costituirebbe un ostacolo insormontabile. La casella si potrebbe aggiustare assegnando agli affari economici e monetari il rango di vicepresidenza. Una casella forte che potrebbe addirittura essere arricchita con una delega speciale per le riforme necessarie per dare un nuovo assetto all’ormai vetusta e inattuale Ue. La soluzione europea farebbe contenti Enrichetto che lascia l’Italia non da trombato anche se ha trombato milioni di italiani e Matteuccio che può finalmente cambiare Palazzo da Vecchio a Chigi. Gli unici incazzati potrebbero essere i partner europei e forse non solo loro. In Europa senza big? D’Alema, reagisci a Renzi. Spacca il partito e guida la sinistra Alle elezioni europee, salvo colpi di scena (o di reni) l’Italia si presenterà senza i principali protagonisti politici degli ultimi vent’anni. Il capo della destra, Silvio Berlusconi, e il più brillante e internazionalmente apprezzato esponente della sinistra, Massimo D’Alema, non parteciperanno alla competizione. Il primo è stato silurato dai giudici, il secondo da Matteo Renzi. Al loro posto andranno alcuni giovanotti sconosciuti, dal peso politico inesistente. La forza dell’Italia al tavolo europeo sarà ridimensionata, così come il suo prestigio nel Parlamento di Strasburgo. La caduta di Berlusconi e D’Alema è il frutto di due azioni distinte – una puramente giudiziaria e l’altra politica – ma simili per il loro carattere arrogante e totalitario. La magistratura in questi anni ha voluto dimostrare la propria superiorità nei confronti della politica, esercitandosi su un obiettivo simbolo: Silvio Berlusconi. E ha vinto, spazzandolo via dalle istituzioni. Nel caso di D’Alema il procedimento è stato diverso, ma l’effetto uguale. D’Alema è fuori dalle istituzioni perché il suo avversario, Matteo Renzi, con un plebiscito – il mezzo più tradizionale di legittimazione dei regimi – ha conquistato il potere nel Pd e lo ha immediatamente usato per annientare i suoi nemici. La decisione di Renzi di impedire la candidatura di D’Alema alle elezioni europee è una azione politica – si diceva una volta – “di chiaro stampo fascista”. Sia per la carica violentemente antipolitica e antidemocratica, ma anche per il suo sottinteso valore anticomunista e antisocialista. L’eliminazione – fisica o politica – dell’avversario, è stata il pilastro del regime di Mussolini: Gramsci in prigione, Turati e Sturzo in esilio. Oggi, se dio vuole, nella lotta politica si usano metodi meno feroci. Ma il valore illiberale è identico. Ora però si pone il seguente problema: Massimo D’Alema resterà immobile e rassegnato di fronte a questo attacco contro la sua persona, contro il metodo democratico e contro la sinistra? La domanda non riguarda solo lui. L’attacco di Renzi ha lo scopo di radere al suolo le ultime macerie della sinistra italiana, di metterla, per così dire, fuorilegge. Escluderla in modo definitivo. E naturalmente, se Renzi porterà a buon fine il suo disegno politico (l’unico, credo, disegno politico che ha ben chiaro in mente) cambierà in modo assai profondo l’assetto politico del nostro paese. In Italia, seppure con fortissimi rovesciamenti nei rapporti di forza, l’equilibrio tra destra e sinistra è sempre stato la chiave della lotta politica. Anche quando la sinistra era in grado di esprimere una egemonia schiacciante sulla destra e sul centro (anni Settanta) e anche quando, viceversa, è stata la destra a dominare e a imporre le sue idee agli avversari (periodo berlusconiano). Il successo di Renzi, e la colonizzazione del partito democratico, porrebbe fine a questo equilibrio. A vantaggio della destra. Ecco perché io credo che D’Alema abbia sulle spalle, suo malgrado, una responsabilità gigantesca. Se lascerà mano libera al renzismo, non sarà solo lui ad essere sconfitto. Credo che D’Alema – insieme a Cuperlo – abbia il dovere politico e morale di dare vita alla scissione nel Partito democratico. Prendendo la guida di un gruppo di dirigenti in grado di fondare una nuova formazione politica, di sinistra, socialista, libertaria, che possa contrapporsi al pensiero unico e al regime renziano. Ci vuole coraggio, tenacia, e forza morale per fare questo. D’Alema è stato sempre un geniale dirigente politico, ma spesso, in questi venti anni, ha mancato proprio lì: nel coraggio. Si è fermato un minuto prima dello scontro finale. Ha lasciato che prevalesse la mediazione, la pacificazione. Stavolta non deve farlo. Alle elezioni europee deve guidare una lista di sinistra. Se supererà il quorum e magari otterrà un risultato vicino alle due cifre, avrà sconfitto il disegno di Renzi e avrà dato alla sinistra l’occasione per rinascere. Ne guadagneranno tutti, non solo noi “orfani”. Io spero che stavolta non ci tradirà. È morto Peter O’Toole, leggenda del cinema. Il suo volto legato a «Lawrence d’Arabia » A 81 anni è morto a Londra, Peter O’Toole, uno dei più famosi attori britannici. Era da tempo ricoverato al Wellington Hospital di Londra. O’Toole ha interpretato numerosi film di successo ma il suo volto è rimasto, e rimarrà per sempre, legato a Lawrence d’Arabia a un kolossal che gli ha regalato fama e credito artistico. Oltre che per Lawrence d’Arabia, è stato nominato all’Oscar per altri sette film. Un record. Ma anche nelle sconfitte perché non è mai stato premiato con l’Oscar come miglior attore protagonista. GLI ALTRI FILM – La nomination gli era stata assegnata anche per Becket e il suo re (1964), Il leone d’inverno (1968), Goodbye, Mr. Chips (1969), La classe dirigente (1972) Professione pericolo (1980), L’ospite d’onore (1982) e Venus (2006). Nel 2003 l’Academy gli ha assegnato un riconoscimento alla carriera che O’ Toole in un primo momento voleva rifiutare. Poi fu convinto dai figli ad accettare il riconoscimento. LA CARRIERA- Nato nel 1932 in Irlanda, a Galway nel Connemara ma cresciuto in Inghilterra a Leeds, inizia a fare il giornalista, poi capisce che la sua strada è fra teatro e cinema. Debutta in scena a 17 anni. La gloria arriverà più tardi: nel 1962 quando il giovane e veemente irlandese fu scelto da David Lean per recitare la parte del protagonista appunto in Lawrence d’Arabia. Il successo di quel film gli porterà grande fama e nuovi film per il grande schermo e la televisione da vivere come protagonista, senza però mai abbandonare il teatro. PROBLEMI DI SALUTE – Grande bevitore ha rischiato di chiudere la carriera anzitempo a causa della sua dipendenza dall’alcol. Che lo ha tenuto fuori dai set a lungo anche per motivi di salute: nel 1976 aveva subìto un intervento chirurgico per la rimozione del pancreas e di parte dello stomaco che lo aveva fatto diventare insulino-dipendente. Nel 2012 aveva annunciato il ritiro dalle scene ma in realtà l’ultimo suo lavoro cinematografico è della scorsa estate, The Whole World at Our Feet con Armand Assante, rimasto ancora inedito .LA CARRIERA- Nato nel 1932 in Irlanda, a Galway nel Connemara ma cresciuto in Inghilterra a Leeds, inizia a fare il giornalista, poi capisce che la sua strada è fra teatro e cinema. Debutta in scena a 17 anni. La gloria arriverà più tardi: nel 1962 quando il giovane e veemente irlandese fu scelto da David Lean per recitare la parte del protagonista appunto in Lawrence d’Arabia. Il successo di quel film gli porterà grande fama e nuovi film per il grande schermo e la televisione da vivere come protagonista, senza però mai abbandonare il teatro. PROBLEMI DI SALUTE – Grande bevitore ha rischiato di chiudere la carriera anzitempo a causa della sua dipendenza dall’alcol. Che lo ha tenuto fuori dai set a lungo anche per motivi di salute: nel 1976 aveva subìto un intervento chirurgico per la rimozione del pancreas e di parte dello stomaco che lo aveva fatto diventare insulino-dipendente. Nel 2012 aveva annunciato il ritiro dalle scene ma in realtà l’ultimo suo lavoro cinematografico è della scorsa estate, The Whole World at Our Feet con Armand Assante, rimasto ancora inedito . Letto 4721 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||