di Manlio Cancogni
[dal “Corriere della Sera”, martedì 22 aprile 1969]
E’ una bella e cara ricorren za la Pasqua (Easter) qui nel Middle West. Contrariamente a ciò che accade sulla costa, sia atlantica che del Pacifico, fra gente imbastardita dall’Eu ropa, dagli intellettuali, dalle idee nuove, qui si conservano le sane tradizioni. La chiesa è ancora forte, e la famiglia (anche se ci si vede di rado) unita. Si fanno centinaia di miglia in automobile, pur di passare quel giorno insieme. E poi, l’indomani, al ritorno in sede, good Easter? ti chiedo no per prima cosa dovunque tu vada, al supermarket, in banca, al drugstore, dal bar biere. E dai gran sorrisi che accompagnano la domanda, dal le esclamazioni giulive, pare che non ci sia niente di più bello, qui nel Middle West, del- l‘Easter, il santo giorno. A par te Christmas e Thanksgiving- day, naturalmente. E la fac cenda è sigillata.
Così anche noi, questa Pa squa, siamo usciti dalla tana. Il parentado si riuniva a casa di pa’ Stan e di ma’ Ady, in una cittadina a cinquanta mi glia, sul lago. Chi leggendo « cittadina sul lago » immagi na qualcosa del genere Moltrasio, Stresa o Malcesine, paesi raccolti in amene baie, sulle pendici a specchio dell’acqua sbaglia. Una cittadina, qui nel la piana sterminata del Mid dle West, occupa un’area gran de come Milano; quanto al lago, il Michigan, è così vasto che l’occhio si perde, e dopo la prima volta non lo guardi più. Io non ho mai incontrato sulle sue rive qualcuno intento a contemplarlo. Non ci sono montagne o colline, è tutto piatto, uguale. In questa sta gione, poi, fa ancora piuttosto freddo.
La casa di pa’ comunque ne è lontana almeno cinque mi glia. Ci siamo arrivati verso l’una, in tempo pensavo per mettersi a tavola, ascoltare il Credo e cominciare con le uo va benedette. In casa (una del le tante del Middle West, bas se, a un piano, in legno, col doppio garage e non meno di due macchinone sul prato na turale, sempre pronte a parti re) in casa non c’era che ma’, con i cani, Cesar e Sultan, che preparava il pranzo, o meglio, il lunch. Gli altri avevano già cominciato la festa al bar. Pa’ c’era già dalla sera avanti, e non credo che si fosse inter rotto per andare a messa.
In queste ricorrenze i bar, al mattino, hanno un carat tere molto familiare. Niente di simile a quando ci s’entra gli altri giorni, con le luci basse, e gli uomini, soltanto uomini, seduti al banco, ciascuno per conto suo, nella penombra ros sastra, ciascuno con i suoi pec cati. Per Easter porte e fine stre dei bar sono aperte, ci vengono anche i bambini che scorrazzano in su e in giù men tre pa’, ma’, uncle, aunt, sis, cuz etc. etc. siedono fraterna mente al banco, bevendo e sgranocchiando noccioline.
Grandi feste al nostro arri vo. Pa’ era in gran forma. In maniche di camicia, sbracciato, il colletto aperto, la pipa fra i denti, si sentiva il re. Anche uncle Charlie, aunty Eyy, cuz George, Patsy, Fred, Dick etc. etc. sembravano molto su. E baci, abbracci, lunghi, sinceri abbracci, e larghi sorrisi, escla mazioni. Parevano tutti felici.
Pa’ era di turno, aveva mes so i dollari sul banco, e su bito dopo il suo giro è toccato a uncle Charlie e poi a Fred. Io, imprevidente, avevo fatto colazione con la solita tazza di tè e due biscotti, esitavo. A digiuno basta una birra per farmi girare la testa. Grandi risa e le immancabili manate in aria, dall’alto in basso, con le dita a cucchiaio, hanno ri sposto ai miei dubbi. « Bevo â— azzardo â— ma solo dopo aver mangiato… ». « Io â— m’inter rompe pa’ â— bevo sempre pri ma ». «E dopo », borbotta fra sé, zio Charlie. E giù una gran risata. « Brandy? scotch? bour bon? » incalza pa’. Mi lascio andare… e dopo il terzo giro m’accorgo che in fondo l’idea che non si debba bere a digiu no, forse è uno dei tanti nostri pregiudizi di gente debole di stomaco e di nervi. Comunque non c’è tempo di riflettere, i turni passano veloci, viene an che il mio, metto i dollari sul banco; e poi di nuovo pa’, zio Charlie, Fred, Dick, George, io, pa’, Charlie…
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Erano le tre quando abbia mo cominciato ad affluire in casa. Lo ham virginiano, tro neggiava roseo in mezzo alla tavola, fra le salsicce polacche e i piatti dei contorni, patate, cavoli, spinaci, sedani etc. Ar rivavano anche i ritardatari. S’erano fermati per strada a salutare gli amici, a festeggia re con loro. Sono lunghe le distanze qui nel Middle West, chilometri; ma fra un bar e l’altro non c’è tanta distanza. E la mattina di Easter sono tutti aperti.
Ora mangiavano tutti con grande appetito e grandi fabulous a ogni piatto, e m’in vitavano a non risparmiarmi, spiegandomi che qui nel Mid dle West il cibo è migliore che in qualsiasi altra parte d’Ame rica, cioè del mondo, e che la vita, per via del cibo ottimo, dura più a lungo che sulla co sta. Tutti poi bevevano gran bicchieri di latte. Anche il lat te fa bene, mi spiegavano, e qui nel Middle West è di gran lunga il migliore d’America. A parlare di whisky o soltanto di birra, ora che si mangiava, sa rebbe parso sacrilegio. E dopo, si è aspettato un bel po’, pri ma di riattaccare col bere; per non far confusione, non con taminare.
Erano arrivati anche uncle Buddy, aunt Charlotte (uguale alla cognata di Clyde, nel film Gangsters story) cuz Claudia, Jimmy, Cheryl; non c’era più una sedia in salotto, mentre i bambini giocavano sul prato con i cani, andavano e veni vano, come le bottiglie. Le donne non si tenevano indie tro; e bevi, e parla (più di tutti zia Charlotte, pareva una mitragliatrice un po’ scassata della guerra ’14-’18), e ridi, il tempo passava e cominciava a imbrunire.
Ogni tanto uscivo per rin frescarmi, riprendere fiato, te nendomi le tempie fra il pol lice e il medio. Distanti, sul prato, c’erano altre case simili alla nostra, alcune spente, al tre accese. Mi accostavo ai ve tri di una finestra; dentro ve devo le stesse facce arrossate, felici, altri pa’, Charlie, Char lotte; udivo, attraverso i vetri, le stesse voci, le stesse risate. Una zia cercava di attaccare con una canzone, accompa gnandosi all’immancabile pia no di acero rossastro, e l’im mancabile risata di un’altra zia la interrompeva. Qualcuno, da dentro, scorgeva la mia faccia, mi salutava con grida festose. M’allontanavo in pun ta di piedi sull’erba secca.
Era buio ormai, e non c’era nessuno che sembrasse dispo sto a riaccompagnarci a casa. Erano tutti inchiodati ai loro posti, in poltrona, sul divano, un po’ pesanti, intorpiditi… nessuno mi pareva in grado di guidare, nessuno comunque avrebbe capito perché tanta fretta di partire. La festa sarebbe andata oltre la mezza notte, fino alle due, alle quat tro. Finché sparsi un po’ do vunque, sui divani, sui letti, sul tappeto, vestiti com’erano, avrebbero cominciato a dormi re. Per tirarsi su, con l’aiuto di gran bricchi di caffè, verso le otto. Il lunedì di Pasqua, in America si lavora, anche nel Middle West.