L’ultima tappa di Huck

di Manlio Cancogni
[dal “Corriere della Sera”, giovedì 5 giugno 1969]

Volevo imbarcarmi ad Hannibal, scendere il fiume come Huck e Jim. Mi contento di seguirlo via terra, e anche questo non è agevole, perché le grandi strade si limitano ad attraversarlo; le altre, fuori mano, lo accompagnano per brevi tratti.

A vederlo scorrere pacifico a valle di Saint Louis, che vi sca ­rica trecento milioni di gal ­loni di rifiuti al giorno, mai più largo di un miglio, fra ar ­gini robusti, con ponti di fer ­ro che lo attraversano in vi ­cinanza dei centri abitati più grossi, si fatica a immaginare l’Ole Miss, il terribile perso ­naggio ottocentesco famoso, ol ­tre che per la sua ricchezza, per la sua ribalderia. Ma av ­viciniamoci alla corrente, scen ­diamo al suo livello, l’occhio sul pelo dell’acqua: vedendo la velocità con cui avanza, su un fronte così ampio, quella mas ­sa torbida venata di pieghe, risucchi, mulinelli, sentendo il suo alito freddo, un brivido mi corre nella schiena. Se poi lo immagino in piena, sotto il cielo gonfio, nel buio, o av ­volto in uno di quei nebbioni che spesso vi calano sopra in qualsiasi stagione, cancellando tutto, fuorché i rumori a cui rispondono strani echi, allora sono ben lieto di sentirmi la terra sotto i piedi.

I temporali scoppiano all’im ­provviso e sono di una violen ­za terrificante. Quello che mi ha investito a Hickman, nel Kentucky, m’ha fatto temer della vita. Prima è arrivato il vento, acquistando subito una velocità prodigiosa e i boschi son diventati bianchi. I colori erano più intensi, ma privi di luce; il fiume, già abbastanza scuro, s’è fatto nero. Non ba ­stavano a rianimarlo le creste che lo attraversavano spumeg ­giando. Erano d’un bianco spento, spettrale. Senza preav ­viso di lontani brontolìi è scop ­piato il primo tuono, e subito un altro, e poi un altro, a distanza ravvicinata, finché non li ho più contati: tutto il cie ­lo echeggiava di schianti, sec ­chi, fitti, forti, sempre più sec ­chi, e più forti, e io non po ­tevo fare a meno di coprirmi la testa con le mani. Era co ­me un bombardamento a tap ­peto; solo che qui non c’erano pause fra le ondate; mi stava sempre a picco sulla testa e non sapevo quando sarebbe fi ­nito. La pioggia veniva giù in quantità enorme; era una cor ­tina d’acqua compatta, che si strappava e si richiudeva al ­le raffiche più forti, accecava, annullava colori e distanze, im ­mergendo tutto in un acqua ­rio acceso soltanto dalle sca ­riche elettriche. Volavan per aria rami, foglie, uccelli, tut ­to pareva che si dovesse spac ­care, andare in pezzi. E non potevo sottrarmi all’impressio ­ne odiosa che ce l’avesse pro ­prio con me, che tutta quella messa in scena mi fosse de ­dicata per le mie colpe; così quand’è finito, ero felice, mi sentivo assolto, libero, leggero e guardavo con occhi nuovi, pieni di fiducia e di speranza la natura devastata che si an ­dava ricomponendo.

*

Da Hannibal a Cairo, meta agognata e perduta dei due fuggitivi, il Mississippi ha un corso abbastanza diritto. Dopo Cairo assume un aspetto più vario e bizzarro. E’ un « cava ­tappi », per usare un’espressio ­ne di Twain. Più avanti somi ­glia anche a una « buccia di mela tagliata in giro », lunga e elastica che si accorcia e si allunga a volontà. In certi pun ­ti la corrente taglia la terra bassa, alluvionale, con curve profonde a ferro di cavallo, compiendo un percorso di trenta miglia dove ne baste ­rebbe uno.

Ai tempi di Twain, il Mis ­sissippi in piena tagliava que ­ste anse con una scorciatoia. Allora accadeva il finimondo. «L’acqua tagliava le rive co ­me un coltello â— scrive Twain in Vita sul Mississippi â—. Quando la larghezza arrivava a centro metri le rive comin ­ciavano a staccarsi a fette di circa un ettaro l’una. Alla luce dei lampi si potevano vedere le baracche della piantagione ed ettari di buon terreno ca ­pitombolare nel fiume, e il tonfo che facevano reggeva bene il confronto col tuono. Scansammo solo per sei o set ­te metri una casa che aveva un lume acceso alla finestra, e in quello stesso istante la casa piombò nel fiume ».

Dopo Cairo, Huck e Jim en ­trano in pieno nel Sud. Scor ­rono sulla sinistra le rive del Tennessee, sulla destra quelle dell’Arkansas. Cambia la na ­tura, cominciano le piantagio ­ni, cambia la gente. I meri ­dionali sono più cordiali, af ­fabili, gentili. Dico la verità, li trovo migliori degli yankees. Ma Twain, benché meridiona ­le, non aveva indulgenza per il vecchio Sud abbattuto dal ­la guerra. Dietro il gentiluo ­mo, i suoi titoli (son tutti co ­lonnelli), il portico greco della casa, i vestiti bianchi, vedeva ignoranza, presunzione, bruta ­lità, e un inguaribile provin ­cialismo.

C’è un capitolo di Huckleberry Finn, in cui la sua presa in giro della società sudista diventa feroce, ricorda certi racconti di umorismo nero. Co ­mincia quando Huck, sbarca ­to di nottetempo sulla riva del Tennessee, finisce in casa di una strana famiglia. Sono gli Shepherdsons che vivono pe ­rennemente sul piede di guer ­ra per via dei vicini Grangerfords. Né gli Shepherdsons, né i Grangerfords sanno i moti ­vi dell’odio che divide le due famiglie, e nessuno si preoccu ­pa di saperlo. Quell’inimicizia dà sostanza alla loro vita. Gli Shepherdsons vivono per di ­struggere i Grangerfords, e i Grangerfords per distruggere gli Shepherdsons. Così, sotto gli occhi meravigliati, ma an ­che un po’ divertiti di Huck, si arriva, dopo un alternarsi di episodi tragicomici, allo sterminio totale.

Più avanti, con l’episodio del colonnello Shepburn e di Boggs, si entra nella pura tra ­gedia. Ora siamo nell’Arkan ­sas. Boggs è l’ubriaco del vil ­laggio. Huck e Jim lo vedono arrivare a cavallo, vantandosi, insultando il colonnello, Shep ­burn appare un anziano si ­gnore, elegante, freddo; avver ­te Boggs che se entro l’una non avrà smesso, l’ucciderà. Boggs continua a insultarlo, si allontana, ritorna a piedi, sem ­pre schiamazzando fra la folla che aspetta. E’ l’ora; il colon ­nello appare con una pistola in pugno, lo chiama. Vista l’ar ­ma Boggs si raccomanda, chie ­de pietà; arriva la sua figlio ­letta, anche lei supplica Shep ­burn. Il colonnello mira, spa ­ra due colpi, getta la pistola e se ne va. Boggs è caduto river ­so per terra; lo trascinano nel ­la farmacia, gli mettono una Bibbia sul petto. Da ragazzo, Twain l’aveva visto fare ad Hannibal, con un ferito: l’episodio gli s’era impresso nella mente. « Boggs â— racconta per bocca di Huck â— respirò profon ­damente una dozzina di volte; quando aspirava l’aria il pet ­to sollevava la Bibbia che si abbassava quando la tirava fuori; poi restò ferma; Boggs era morto ».

La folla si muove, vuol punire l’altero colonnello. E’ il primo linciaggio della lettera ­tura americana. Twain non lo conduce a termine; ci penseranno i suoi successori nel novecento. L’impassibile, sprez ­zante Shepburn è il fratello maggiore del colonnello Sartoris. Ma qui la storia di Huck termina; Twain ha esaurito il suo mondo. Ci s’avvicina a Memphis (la città di Sanctuary); comincia Faulkner.

Visto 1 volte, 1 visite odierne.