Quello strano Canudo

di Mario Verdone
[dal “Corriere della Sera”, domenica 22 marzo 1970]

Perché Ardengo Soffici ritenne Ricciotto Canudo, « le barisien » â— secondo il soprannome attribuitogli da Apollinare â—, un « arrivista letterario » e un « rin ­negato », dopo averne ammirato il talento e averlo considerato una « accumulazione di forze vi ­ve e attive »? Il problema, a dire il vero non primario, rimane an ­cora con qualche zona d’ombra nel denso e peraltro eccellente studio di Mario Richter La for ­mazione francese di Ardengo Sof ­fici (Vita e pensiero, Milano, 1969), a meno che non lo si vo ­glia ricollegare subito ed esclu ­sivamente al prepotente senti ­mento di « italianità » posseduto dal Soffici, e al distacco violen ­to da quel decadentismo-simbo ­lismo cui Canudo indubbiamente appartenne, e che attrasse an ­che Soffici, finché recisamente non se ne tirò indietro, rientran ­do nella sua Firenze lacerbiana, dove continuava a inveire contro l’ex-compagno di bohème parigi ­na: « Canudo è quella cosa – un po’ strana, un po’ sinistra… ».

Ricciotto Canudo, nato a Gioia del Colle (Bari) nel 1877, e morto nel 1923, si era trasferito a Pa ­rigi ai primi del Novecento, di ­ventando redattore-capo della rivista « La Piume » e poi diretto ­re di « Europe Artiste » che la aveva assorbita. Qui si era crea ­to una certa posizione e notorie ­tà nel campo letterario, promuo ­vendo le « Lecturae Dantis », sco ­prendo Chaqall â— come glielo riconosce nel 1911 Apollinaire: « è l’unico in Francia che parla di Chagll » â— e divulgando in riviste italiane opere di pittori come Gauguin, Cézanne, Van Gogh; frequentando d’Annunzio, traducendolo, e scrivendo per conto del « Maestro » soggetti ci ­nematografici (cioè riduzioni di suoi romanzi); teorizzando il « cerebrismo » e la «settima arte ».

Fu poeta e soldato di stile dan ­nunziano nella Grande Guerra, e combatté nella Legione Garibal ­dina sulle Argonne; saggista, cri ­tico d’arte, romanziere, filosofo della musica, poeta singolare, da rileggere accanto al Manifesto della Lussuria di Valentine de Saint Point, come si può notare dai sonetti della fine antologia Poeti simbolisti e liberty di Viazzi e Scheiwiller.

Con le numerose opere stam ­pate a Parigi, la collaborazione a « Mercure de France », la di ­rezione di riviste d’avanguardia come « Montjoie » e « Gazette des Sept Arts », Canudo era di quei « trapiantati » (ai pari di Apollinare, Cendrars, e tanti al ­tri) che bene aveva messo le ra ­dici nel mondo artistico di Pa ­rigi. Lo stesso non era avvenuto per Soffici, forse anche per ri ­trosia, e per « incapacità di fra ­ternizzare », come dice il Richter.

C’erano poi i dissensi di na ­tura artistica. Canudo elogiava il bozzetto della « Torre del la ­voro » di Rodin, e Soffici difen ­deva la priorità artistica dell’ope ­ra di Medardo Rosso. Canudo, e non Soffici, aveva scritto per primo in Italia dei fauves e del ­l’arte negra. Canudo solidarizza ­va con gli intellettuali francesi, stimato da Tarde, Adam, Barrès, Picasso (che ne disegnava il ri ­tratto), Jacob, Rolland, Chagall (che dipingeva nel 1911-12 l’ « Omaggio a Apollinare, Walden, Cendrars e Canudo »), e Soffici non « legava », attaccandosi epi ­stolarmente a Papini e Prezzoli- ni, come ben sottolinea il Rich ­ter, e struggendosi di « ritor ­nare », per riconquistare una « verginità italiana ».

Soffici disprezzava anche l’at ­teggiamento ispirato di Canudo verso la nuova arte del cinema, a proposito della quale, invece, si legge un suo parere piuttosto duro in Principi di un’estetica fu ­turista (1920): « Un’estetica nuo ­va deve rigettare le forme spu ­rie e ibride nella categoria degli sport e degli spassi, come la caccia alla volpe, le corride, il cinematografo e la danza del ven ­tre ».

Forse furono anche qui â— a parte « gesti » e « sgambetti » re ­ciproci di cui non si avranno mai le versioni giuste â— alcune ragioni che vietarono la conti ­nuazione dell’amicizia fra Ca ­nudo ed alcuni tra i nostri mi ­gliori artisti, tra cui Soffici.

Ma Soffici, come ricorda il Richter, cercò nel 1913 di met ­tere zizzania fra Apollinare e Canudo, al tempo in cui stava per succedergli nella rubrica ita ­liana di « Mercure de France », e Apollinaire dovette rispondere risentito ad una sua lettera: «Per quel che riguarda il soprannome di Canudo il Barigino sareste in torto a vedervi una cattiveria. Mi obbligate a scrivergli che questa battuta non mirava per nulla a ridicolizzarlo ».

Ed è tanto vero che allorché Apollinaire scrisse, lo stesso an ­no, il Manifesto della Antitradi ­zione Futurista, ed ottenne, tra ­mite Soffici, di pubblicarlo su « Lacerba » (15 settembre 1913), divise in parti uguali vituperi e « rose »: agli accademici, ai mu ­seologi, ai filologi, ai difensori del paesaggio e delle rovine, ai d’Annunzio e Rostand, toccò la ingiuria; ed agli « amici » Marinetti, Picasso, Boccioni, Carrà, Balla, Palazzeschi e così via â— non escluso Soffici â—, ed a Ca ­nudo, una rosa.

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