racconto di Nicola  Dal Falco    

Errando per le strade di tutti i giorni, abitandone con fervore apocalittico il loro dolce susseguirsi dentro la cerchia di mura. Il fato personale è questo andirivieni per le spire della conchiglia.

Così un uomo alto e pallido, il viso scosso, la schiena incurvata – che appartiene anche ai grandi camminatori, sospinti e come “abbassati” dal verso di andare – prega e passa senza mai smettere l’interminabile orazione a suffragio del mondo e dei suoi peccati.
Una ruota lo spinge e una ruota sospinge. A quali fonti attinge le frasi maestose, il terribile rosario di colpe, le gemme di impudicizia, i nodi di tracotanza, le fughe d’accidia, gli sbadigli di lussuria? Lo guida la memoria o la catarsi di un passo affrettato?
Smetterà un giorno l’inseguimento a voce alta, il profluvio di parole taglienti, ventose, azzime? Forse si, ma quando le albe smetteranno di irridere la notte e il canale di portare ombre. S’affretta, intanto, al segno della croce, al cantare di dio tra due strade che implacabili s’incontrano e divergono, da terra al cielo.

***

Ride, invece, quest’altro nel vezzo della musica, suonata alla radio in ritornelli quasi uguali. Finestra senza infissi, tutti saluta e si saluta. Strano quanto il suo sorriso stempiato, largo, pago d’ogni minima attenzione assomigli a un ghigno. Con innocua e non innocente estraneità lui canta e ripete. Passa come un mulinello di polvere, come un Pan dietro alla traccia. E terribile diventa quando si ferma d’incanto, in quella fissità che spinge in bilico, canicola d’istinti e pensieri.

Visto 1 volte, 1 visite odierne.