Ad Annozero di scena i poveri cristi28 Maggio 2010 Finalmente i sinistri l’hanno cacciato fuori dalla gola il rospo. Che i giornalisti, come i magistrati, si sentano una casta, e fanno fuoco e fiamme per rimanere tale, lo dimostrano le risposte che Vittorio Zucconi, in collegamento dagli Usa, e Concita De Gregorio, presente in studio, hanno dato al ragionamento di Battista. In pratica hanno sostenuto che, se per scoprire un reato e il suo colpevole, nella gogna mediatica finisce anche un innocente, pazienza. L’innocente ha modo di difendersi, querelando il giornale. Proprio perché in giro ci sono giornalisti di questa specie, il ddl si rende necessario. Ci sono giornalisti (e politici) che hanno perso il senso della misura, e non danno alcun valore al rispetto della persona innocente. Sono pronti a sacrificarla in nome di una libertà che si nutre di un presupposto assai pericoloso e tipico delle società illiberali. Ossia, i cittadini sono ritenuti prima colpevoli e poi innocenti, a dispetto dell’altra norma costituzionale, l’art. 27, che considera innocente il cittadino sino alla condanna definitiva. Ma a Vittorio Zucconi e a Concita De Gregorio dei poveri cristi che incappano nella rete a strascico gettata da un’operazione congiunta della magistratura e della stampa, importa un fico secco. Dovrebbe invece essere alla rovescia. Un giornalista (come un magistrato) dovrebbe sentirsi colpevole per il solo fatto di aver trascinato nel fango un cittadino innocente, la cui unica colpa è quella di essere finito in una rete selvaggia gettata a caso. Non ci sarebbe bisogno di ulteriori norme, come ho già scritto, se i giornalisti avessero conservato il senso della deontologia professionale. Invece, l’interesse dell’editore a vendere, li ha trasformati in mostri. Si contano sulle dita di una mano i professionisti della penna che hanno imparato dai grandi maestri del giornalismo del passato. Molti oggi sono soltanto dei vampiri. Si difendono citando spesso altri Paesi, dove nessun limite è posto alla libertà di stampa. Ed in particolare si citano gli Usa. Dimenticando però che là il giornalismo si fa scrupolo di non infangare la dignità di persone innocenti. Sono situazioni molto diverse da quella italiana. Negli altri Paesi, indubbiamente più civilizzati del nostro, si sa quali sono i limiti deontologici della professione e quali sono i diritti altrui. E si rispettano. Da noi il giornalismo non sa più darsi regole. Da ciò la necessità che un governo raddrizzi la barra della navigazione e le scriva, affinché nessuno possa sentirsi padrone del mondo e libero di fare ciò che più gli piace. Non può mai essere così. Nessuno, in un Paese civile, può disporre di una libertà assoluta. I giornalisti devono rendersene conto per primi. Non si possono nascondere dietro il dito: lo sappiamo benissimo, e lo sanno anche loro, che nessuno potrà mai riscattarsi compiutamente dalle conseguenze di una ingiusta gogna mediatica patita per l’illiberalità di una stampa irresponsabile. È di questi giorni la notizia che il ministro Rino Formica è stato assolto dopo 17 anni. Emanuele Macaluso onestamente scrive: “Dopo 17 anni, la Corte d’Appello di Bari su conforme richiesta del Procuratore Generale ha assolto Rino Formica. Oggi ne parla il Corriere della Sera. Formica nel 1993 fu arrestato (gli concessero i domiciliari), su richiesta della Procura di Foggia, accusato di avere preso tangenti per la sua corrente, non direttamente, ma attraverso un’altra persona. E in quel clima, in primo grado, fu condannato. Una prima considerazione: l’accusa era inconsistente, ma a prendere pubblica posizione critica nei confronti di quell’azione fui io e il compianto Napoleone Colajanni. Tanti scomparvero. Che sia il Procuratore Generale a dire che il fatto non sussiste è una sconfessione non solo della sentenza di primo grado, ma dell’iniziativa dei Procuratori di allora, i quali hanno fatto carriere appuntandosi anche la medaglia del processo a Formica. Un’ultima considerazione: in quegli anni la deriva giustizialista dipietrista infettò la sinistra, la quale però, anziché curarsi ha portato Di Pietro e altri come lui nell’agone politico con esiti disastrosi. Il rigore giudiziario è cosa diversa dal giustizialismo. E a Formica chi lo risarcisce, politicamente? Ne discuteremo.†E abbiamo visto quanti altri, e numerosi, sono i casi come questo.  Vogliamo continuare così? Vogliamo rovinare gente innocente? È diventato questo il mestiere dei giornalisti (e dei magistrati)? Un governo che si rispetti non può far finta di niente e chiudere gli occhi. Gli Zucconi, le De Gregorio, i Travaglio, e altri come loro, rappresentano oggi quella “deriva giustizialista†ricordata da Macaluso. Dobbiamo prenderne le distanze il prima possibile. Ragionare, aprire gli occhi. Letto 2304 volte. | ![]() | ||||||||||
Commento by Mario Di Monaco — 28 Maggio 2010 @ 11:16
Ieri, un servizio di Porta a Porta ha mostrato come Germania, Inghilterra, Francia e Spagna hanno disciplinato la materia del conflitto fra giustizia, diritto di cronaca e privacy.
Il punto comune di equilibrio che è stato individuato per conciliare tale conflitto è rappresentato dal divieto di pubblicare il contenuto degli atti istruttori prima del termine fissato per l’udienza preliminare.
L’inosservanza di tale obbligo prevede severe sanzioni disciplinari e penali e nessun rappresentante degli organi di stampa di quei paesi ha intravisto in ciò una minaccia al diritto di cronaca.
Noi invece siamo l’Italia del gossip. I nostri quotidiani, pur d’incrementare la loro tiratura, diffondono assai più spazzatura di certi settimanali scandalistici. Sono abili a far trapelare notizie di origine oscura che, attraverso  manipolazioni, infangano persone innocenti e del tutto estranee ai fatti indagati dagli organi inquirenti.
Tutto ciò, ovviamente non ha niente a che fare con quel diritto di cronaca che si vuol tutelare. L’informazione è utile al cittadino quando è affidabile e serve a far luce sugli avvenimenti.
I continui richiami al rispetto delle regole deontologiche rivolti sia ai giornalisti che ad una certa parte della magistratura non sono serviti a porre un freno alle nefandezze che offendono la dignità delle persone e del paese.
Se la nostra barca non riesce a stare al passo degli altri paesi europei è perché ha tuttora a bordo una zavorra che rallenta il cammino.
E la cosa più strana è che non si getta perché qualcuno la considera invece un prezioso antico tesoro.