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ARTE: Cubismo: I MAESTRI: La storia del cubismo #2/8

4 Marzo 2009

[da Edward F. Fry: “Cubismo”, Mazzotta, 1967]

(Si fa presente che l’articolo ha rimandi a tavole e figure non riprodotte qui.)

II cubismo si sviluppò con straordinaria rapidità tra gli anni 1907 e 1914. Dal 1914 fino al 1925 vi furono moltissimi artisti che dipinsero alla maniera cubista, ma questa fase successiva diede pochissime in ­novazioni stilistiche che non fossero già state in qualche misura an ­ticipate durante gli anni prebellici. A partire dalla metà del decennio 1920-30 si manifestò nel cubismo, come nell’arte europea in generale, una crisi che concluse un periodo di quasi vent’anni in cui il cubismo era stato la guida ispiratrice per un’intera generazione di artisti. Ai suoi inizi tuttavia, e fino a circa il 1912, il cubismo fu un fenomeno esclusivamente parigino, e probabilmente non sarebbe potuto sorgere altrove per motivi storici, geografici e culturali. Agli inizi del Novecen ­to nessun’altra città al mondo poteva vantarsi di essere stata la pro ­tagonista indiscussa della vita artistica per un secolo; il fatto che Pa ­rigi fosse praticamente al centro dell’Europa occidentale servì inoltre a facilitare il convergere verso questa mecca della cultura dei più ge ­niali giovani artisti e scrittori di Spagna, Italia, Germania, Russia e Paesi Bassi. Parigi offriva loro non solo la sfida degli artisti contem ­poranei di maggior fama, ma anche i suoi grandi musei; offriva una tradizione di libertà morale e intellettuale e un clima di bohème arti ­stica in cui poter vivere liberamente ai margini della società senza do ­ver subire l’ostracismo della borghesia, come accadeva nelle altre cit ­tà europee, più piccole, più conservatrici e meno cosmopolite. Oggi a posteriori non può certo sorprendere che Parigi, dall’inizio del XX secolo, abbia ospitato un numero incredibile di giovani artisti di valo ­re: la loro presenza costituì una « massa critica » intellettuale che pro ­dusse ben presto delle rivoluzionarie « esplosioni » culturali. In pittura la prima di queste esplosioni fu il « fauvisme », definizione sprezzante con cui venne indicata l’opera di Henri Matisse (1869-1956) e dei suoi seguaci che, a partire circa dal 1904, usarono il colore con una libertà, una intensità e una arbitrarietà senza precedenti. Non me ­no importante fu la scoperta, e per la prima volta l’apprezzamento sul piano estetico, dell’arte africana e dell’Oceania, scoperta dovuta a di ­versi pittori fauve, in particolare a Vlaminck, Derain e Matisse stesso (vedi note al testo 2). La scultura « primitiva » doveva di lì a poco gio ­care un ruolo di breve durata, ma importante, nell’evoluzione del cu ­bismo.
Ma il fauvisme, nel complesso, non segnò un deciso progresso rispet ­to alle innovazioni della pittura di fine secolo. Si trattò piuttosto di una sintesi e di una intensificazione di alcuni sviluppi anteriori, quali il pointillisme attenuato di Signac, gli intensi risultati espressivi otte ­nuti da Van Gogh con il colore e la pennellata, gli schemi decorativi di colore di Gauguin. Il capolavoro del fauvisme, La joie de la vie di Matisse (ill. 1) del 1906, riassume la natura essenzialmente tradizionale del fauvisme che unisce un’abile sintesi delle tendenze pittoriche di fine secolo, ad un persistente gusto per gli arabeschi Jugendstil. Que ­sto dipinto, soprattutto, non propone nessuna nuova concezione del ­lo spazio, sebbene la dimensione della profondità sia compressa qua ­si come nel Dejeuner sur l’herbe di Manet e la composizione stessa, fatto abbastanza curioso, sia alquanto simile a quella de L’í¢ge d’or di Ingres.
Solo in rapporto a questo contemporaneo contesto fauvista emergono con la massima chiarezza le radicali novità delle Demoiselles d’Avignon (tav. I) di Picasso (1881-) (vedi testo 18). Terminato a metà del 19071 e probabilmente il primo vero quadro del XX secolo. Infatti mentre il fauvisme segnava una ricapitolazione dell’arte di fine secolo, le De ­moiselles conteneva un nuovo modo di trattare lo spazio, di esprimere le emozioni e i sentimenti umani. Non è difficile immaginare che l’arte contemporanea, come noi la conosciamo oggi, avrebbe potuto avere uno sviluppo del tutto differente senza questa prima rivelazione sei genio di Picasso. Ne Les Demoiselles Picasso pose e affrontò con ­temporaneamente molti problemi, alcuni dei quali doveva risolvere solo nel corso dei successivi sette anni. Il soggetto, una scena in un po ­stribolo, si ricollega all’interesse, manifestato da Picasso nei preceden ­ti periodi blu e rosa della sua produzione, per episodi ispirati alla vita di personaggi che vivono ai margini della società, episodi di cui l’ar ­tista stesso aveva fatto viva esperienza durante gli anni trascorsi a Montmartre a partire dal 1904. Ma, mentre il postribolo come soggetto era già comparso frequentemente in alcune opere di fine secolo e dell’inizio del Novecento, ad esempio in dipinti di Toulouse-Lautrec e di Rouault, la versione che Picasso da di questo soggetto si discosta sia dall’ironia e dal pathos dei suoi predecessori, sia dal trasporto con ­templativo e dal lirismo rarefatto della sua stessa pittura precedente. Ma ciò che rende Les Demoiselles un’opera d’arte veramente rivolu ­zionaria è il fatto che, con essa, Picasso rifiuta le due caratteristiche principali della pittura europea a partire dal Rinascimento: la norma classica per la figura umana e la raffigurazione illusoria dello spazio ottenuta secondo la prospettiva da un unico punto di vista. Durante gli anni che precedettero la realizzazione de Les Demoiselles, Picas ­so. nella sua ricerca di un nuovo approccio con la figura umana, si era rivolto a varie fonti ispiratrici: quelle che più lo influenzarono furono la scultura iberica, El Greco e l’opera di Gauguin, soprattutto le sue sculture intagliate. Ma un’influenza decisiva sul suo pensiero fu esercitata dalla scultura africana che Picasso, malgrado le sue smen ­tite ufficiali2, doveva certamente avere già scoperto dall’inverno del 1906-7 se non prima (vedi testo 2). Gli esempi di sculture provenienti dalla Costa d’Avorio e da altre colonie francesi dell’Africa Occidentale, che egli vide al Museo del Trocadéro (oggi Musée de l’Homme), nelle collezioni private di amici o nelle botteghe dei rigattieri, senza dub ­bio spinsero Picasso a trattare il corpo umano in un modo più con ­cettuale di quanto non fosse possibile secondo la tradizione rinasci ­mentale (ill. 3). Questo nuovo atteggiamento è rivelato chiaramente ne Les Demoiselles da alcuni particolari, quali la riduzione dell’anatomia umana a losanghe e triangoli geometrici e l’abbandono delle normali proporzioni anatomiche. L’influenza della scultura africana è ancor più evidente nei volti simili a maschere delle due figure di destra, che ri ­spetto al testo del dipinto furono probabilmente terminate più tardi3 (confrontare la maschera africana dell’ill. 3).
Questa tendenza a scostarsi dal classico stile figurativo rappresenta più di una semplice variazione su una tradizione esistente: segna piut ­tosto l’inizio di un nuovo atteggiamento verso le potenzialità espressi ­ve della figura umana. Basato non sul gesto e sulla somiglianza fisio ­nomica, bensì sulla completa libertà di ricomporre la figura umana, questo nuovo atteggiamento doveva condurre ad evocare stati d’ani ­mo sino allora inespressi, soprattutto nelle opere dei surrealisti e in particolare da parte di Picasso stesso nelle sue grandi opere del de ­cennio 1930-40 e della fine del decennio precedente. Il trattamento dello spazio è tuttavia l’aspetto di gran lunga più signi ­ficativo de Les Demoiselles, specie in considerazione del ruolo predo ­minante che i problemi dello spazio assunsero nel successivo sviluppo del cubismo. Picasso si sentiva sfidato a creare un nuovo sistema per indicare rapporti tridimensionali, non più basato sulla convenzione del ­l’illusionistica prospettiva da un unico punto di vista. Di aiuto non eb ­be che l’esperimento tentato da Paul Cézanne (1839-1906), la cui ope ­ra era stata da poco esposta in diverse mostre retrospettive, a comin ­ciare dal 19044. Sebbene rimanesse sempre nell’arte di Cézanne un forte residuo di empirismo ottico, come conseguenza dei suoi rappor ­ti con la generazione impressionista, dalla metà del decennio 1880-90 egli aveva sviluppato un modo di eliminare l’illusionismo integrando nei suoi dipinti superficie e profondità, specialmente con il «passag ­gio » – la compenetrazione di piani diversi separati nello spazio – e con altri metodi atti a creare un’ambiguità spaziale; al tempo stes ­so, dobbiamo tuttavia ricordare che le intenzioni di Cézanne erano molto diverse da quelle a cui i cubisti avrebbero in seguito applicato i suoi metodi.Inoltre Cézanne aveva infranto la tradizione rinascimentale della com ­posizione mediante la quale le forme erano armonicamente disposte entro l’illusionistica scena-spazio costruita secondo la prospettiva da un unico punto di vista. Cézanne, anzi, era andato oltre quella rottura con la tradizione che era stato il realismo ottico degli impressionisti, verso un realismo del processo psicologico della percezione stessa. Perciò, a partire dal decennio 1880-90, Cézanne nel dipingere un te ­ma organizzò il suo soggetto in conformità ai distinti atti percettivi da lui provati; case e altri oggetti reali furono dipinti come l’artista li aveva concettualizzati dopo una lunga serie di percezioni (ilI. 26). E, nella composizione complessiva di un dipinto, Cézanne doveva orga ­nizzare le parti del tutto in aree di percezione, entro le quali si verificavano delle « deformazioni » a vantaggio di contrasti formali e del ­la realizzazione di una gestalt visiva della massima unità possibile, co ­me si può notare in particolare nelle sue nature morte (ilI. 2). L’arte di Cézanne contiene ulteriori complessità, con particolare ri ­guardo all’uso del colore; ma quando Picasso la stava studiando negli anni tra il 1906 e il 1910, ciò che maggiormente lo interessò dovet ­te essere il tentativo di delineare una alternativa allo spazio prospet ­tico rinascimentale. Ne Les Demoiselles si trova il cézanniano « pas ­saggio » che lega insieme i piani di sfondo ai primi piani, proprio co ­me c’è un precedente al trattamento schematico dell’anatomia umana di Picasso sia nelle case e nei nudi di Cézanne, sia nelle figure della cultura africana. Ma nell’usare i suoi mezzi stilistici, Picasso andò ben oltre Cézanne. Il modo di raggruppare le figure ne Les DemoiselIes supera, nella sua arbitraria audacia, anche le composizioni più li ­beramente strutturate delle Bagnanti di Cézanne, e Picasso combina In un’unica forma molteplici punti di vista, cosa che Cézanne non avreb ­be mai osato per la fedeltà al mondo visivo ereditata dall’impressio ­nismo. Nell’estate del 1906, a Gosol in Spagna, Picasso aveva iniziato a combinare la visione di profilo di un naso con la visione frontale di un volto, come fece nelle due figure centrali de Les Demoiselles; ma la figura posta nell’angolo più basso a destra del dipinto mostra un’applicazione molto più radicale della stessa idea. In quella che fu probabilmente l’ultima parte del dipinto ad essere eseguita, Picasso creò un nudo femminile in cui sono contemporaneamente visibili il vi ­so simile a una maschera (confrontare con la maschera africana, i//. 3), la schiena e il seno; con questa figura Picasso abbandonò in una sola volta sia la prospettiva da un unico punto di vista, sia la tradizione classica dello stile figurativo.
La funzione del colore ne Les Demoiselles è non meno significativa del modo di trattare lo spazio, al quale è in realtà connessa. La com ­binazione di colori predominante nel dipinto è il rosa carico e l’ocra che Picasso aveva usato durante il suo periodo rosa di due anni pri ­ma. Ma nella figura posta nell’angolo superiore a destra, il viso e il seno sono modellati mediante striature blu, e dove il modellato del naso sarebbe stato normalmente indicato con una ombreggiatura scu ­ra, Picasso ha usato vivaci strisce verdi e rosse alternate, di gusto fauve, la cui giustapposizione crea un forte contrasto simultaneo. In modo simile, nel nudo in basso a destra, le fattezze del volto, mesco ­late in modo schematico, sono modellate in blu. Queste parti de Les Demoiselles rappresentano il primo tentativo di Picasso di inventare una possibile alternativa al tradizionale sistema di rendere il modellato con il chiaroscuro o con suoi equivalenti. La resa del modellato mediante il colore non è naturalmente nuova in sé: questa tecnica compare nell’arte bizantina, in molta arte medioevale, nella pittura senese, in molti artisti italiani del Quattrocento, in Grùnewald e nei suoi contemporanei, in manieristi quali il Rosso, in Rubens e in Delacroix, e più recentemente in Cézanne e nei fauves. Ma ne Les Demoiselles Picasso si serve del colore per modellare in conco ­mitanza al suo abbandono della prospettiva, liberandosi così sia del punto di vista unico, sia della fonte di luce egualmente predetermina ­ta e quindi casuale (vedi testo 17). Qui ancora il suo unico precursore, a partire dal Rinascimento, fu Cézanne, e qui come altre volte, Picasso, mentre seguiva l’indirizzo di Cézanne, lo superava di gran lunga nell’esplorare radicalmente le possibilità di una simile idea5. Il problema di come indicare i rapporti reciproci dei volumi senza l’uso del chiaroscuro, e al tempo stesso senza sopprimere completamente l’ambientazione, non doveva essere risolto sino all’invenzione del papler colle nel 1912. L’importanza de Les Demoiselles, tuttavia, consiste nel fatto che Picasso affrontò decisamente non solo questi problemi, ma tutti gli altri problemi che dovevano appassionare Picasso stesso « Braque nei sei anni successivi. Altrettanto affascinante è la molte ­plicità di riferimenti culturali presenti ne Les Demoiselles: da Cézanne o dal fauvisme alla scultura iberica, a El Greco, a Gauguin, alla scul ­tura africana. Les Demoiselles d’Avignon, più di ogni altro dipinto del suo tempo, segnò l’incontro di diverse tendenze estetiche, fuse, an ­che se in modo imperfetto, dal prodigioso talento del suo creatore in una grande opera d’arte che segnò una svolta nella storia della pit ­tura occidentale.
Picasso non doveva più tentare un’opera ambiziosa come Les Demoi ­selles prima che fossero trascorsi due anni. Durante il resto del 1907 e l’inizio del 1908 egli esplorò ulteriormente le possibilità formali ed espressive suggeritegli dalla scultura africana; poi, durante la secon ­da metà del 1908, tornò, con una serie di paesaggi e di nature morte che rivelano un rinnovato e attento studio di Cézanne, ad un altro de ­gli elementi presenti ne Les Demoiselles (ill. 5, 6). Questi due interes ­si non furono affatto separati l’uno dall’altro, ed in effetti Picasso li esplorò entrambi più o meno contemporaneamente durante il 1908; la capacità di sviluppare contemporaneamente due o più idee è rima ­sta costante in Picasso durante tutta la sua carriera. Un avvenimento di decisiva importanza per la storia futura del cubismo si verificò verso la fine del 1907, quando il poeta Apollinaire presentò all’amico Picasso il giovane pittore Georges Braque (1881-1963)6. Braque, che aveva all’incirca la stessa età di Picasso, era stato nei due anni precedenti uno dei principali pittori fauves, ma nel 1907 ave ­va cominciato a dare ai suoi quadri una struttura più formale, quasi Cézanniana; ora questo incontro con Picasso doveva completamente mutare la sua arte. Dalla fine del 1909 Braque e Picasso si incontraro ­no quasi ogni giorno, e da questa intima collaborazione artistica, che durò sino alla prima guerra mondiale, dove avere origine il cubismo. Ma quando Braque incontrò Picasso per la prima volta e vide Les De ­moiselles, non era affatto preparato allo shock che questo confronto deve avergli procurato. La sua prima reazione come pittore fu il Grand Nu (ill. 9), iniziato nel dicembre 19077 ed esposto al Salon des Indé-pendants del 19088. Un disegno, che deve aver preceduto immediata ­mente il Gran Nu, ci permette di comprendere a fondo la prima rispo ­sta di Braque a Les Demoiselles: Braque capì le straordinarie implica ­zioni della figura a destra in basso nella composizione di Picasso, e riaffermando le idee di Picasso arrivò alla creazione del suo monumen ­tale nudo (vedi testo 6). Nel Gran Nu possiamo renderci conto di co ­me Braque si sforzasse per trovare un accordo col pensiero di Picas ­so, che egli all’inizio non deve aver completamente compreso. Ma Bra ­que in questo dipinto fece uso del «passaggio » cézanniano per crea ­re sullo sfondo un sistema spaziale ermeticamente unito, e nella figura stessa seguì l’indirizzo di Picasso combinando più punti di vista in una singola immagine.
Durante l’estate del 1908 Picasso dipingeva paesaggi e nature morte cézanniani, prima a Parigi e più tardi, nell’agosto, a La Rue-des-Bois, una cittadina nell’Ile de France9. Nello stesso periodo Braque si tro ­vava nella Francia meridionale vicino a Marsiglia, a L’Estaque, dove lo stesso Cézanne aveva spesso lavorato. I paesaggi di Braque di quel ­l’estate rivelano uno studio di Cézanne molto più letterale che non le opere di Picasso dello stesso periodo. Le sue Case a L’Estaque (IlI. 10, 11) rivelano nondimeno da parte di Braque una sensibile assimilazio ­ne delle medesime caratteristiche stilistiche di Cézanne che interes ­savano Picasso; un confronto con il suo Grand Nu di pochi mesi pri ­ma mostra i progressi di Braque in questa direzione. Molto tempo do ­po, Braque, parlando di questo momento cruciale del suo sviluppo, disse di essere stato abbagliato all’inizio dalla vivacità del colore e della luce della Provenza, ma che gradatamente « fu necessario trovare qualcosa di più profondo e duraturo »10.
Come Picasso, Braque stava imparando a valersi dell’esperienza di Cé ­zanne, traendone le caratteristiche strutturali e non illusionistiche, scar ­tando invece l’indugiare interessato di Cézanne sul particolare visivo osservato. Una serie di questi dipinti eseguiti a L’Estaque, dopo esse ­re stata respinta dalla giuria del Salon d’Automne del 1908, formò il nucleo di una mostra di Braque nel novembre 1908 in una piccola gal ­leria parigina da poco aperta da un giovane tedesco, Daniel-Henry Kahnweiler, che doveva in seguito diventare il mercante di fiducia dei principali cubisti. Nella sua recensione di questa mostra Louis Vauxcelles usò per la prima volta la parola « cubi » in relazione al nuovo stile che stava sorgendo (vedi testo 4).
La rapidità con cui Braque procedeva sul cammino di un’arte post-cézanniana si può notare in una Natura morta con frutta (ill. 13) della fine del 1908, in cui un complesso sistema di piani intersecantisi de ­finisce i volumi nello spazio in una maniera non-illusionistica, ma già proto-cubista; il debito verso Cézanne è ancora considerevole, come nella deformazione prospettiva della banana nell’angolo inferiore a si ­nistra che ricorda il modo analogo con cui Cézanne tratta i sentieri curvi. Ma Braque aveva ora cominciato ad usare il chiaroscuro in quel modo decisamente arbitrario che divenne caratteristico dei dipinti suoi e di Picasso fino al 1912. La sua scelta di un unico solido tridimen ­sionale come soggetto del dipinto divenne ugualmente una regola nel ­l’opera di Braque e di Picasso nei tre anni successivi. Infatti, come disse molto tempo dopo il pittore cubista Juan Gris, questo periodo Iniziale del cubismo si risolse essenzialmente nel rapporto tra il pit ­tore e gli oggetti dipinti, piuttosto che nei rapporti tra gli oggetti stes ­si (vedi testo 46).
Durante l’inverno 1908-9 Picasso terminò il suo monumentale Tre Don ­ne (ill. 8), al quale aveva lavorato ad intervalli sin dalla primavera del 1908. Questo dipinto segna la fine di una fase cruciale nel primo cu ­bismo di Picasso, iniziato con le Demoiselles, durante il quale l’artista aveva cercato nuovi valori formali ed espressivi. Tre Donne è realmen ­te una sintesi dei due anni precedenti, e storicamente si trova in rap ­porto simmetrico alle Demoiselles, nei cui confronti appare più riusci ­to e unitario, sebbene meno ambizioso. Nei cinque anni successivi Pi ­casso si dedicò quasi completamente a problemi formali, senza impe ­gnarsi nella ricerca di rappresentare ossessionanti stati d’animo così come aveva fatto ne Les Demoiselles, in Tre Donne e in molti altri dipinti del periodo 1907-8.
Nell’estate del 1909 Picasso trascorse diversi mesi nel villaggio di Morta de San Juan nella nativa Spagna. A Parigi nella primavera del ­lo stesso anno aveva già iniziato a usare grandi sfaccettature ombreg ­giate che riducevano la figura a un montaggio scultoreo di solidi geo ­metrici. A Morta continuò in questa direzione con una serie di paesag ­gi e un gruppo di ritratti di sua moglie, Fernande Olivier. In Case sulla collina (ill. 15) Picasso ritornò con rinnovata intensità allo stile cézanniano, compreso il punto di vista dall’alto. Una fotografia eseguita da Picasso11 del paesaggio a Horta (ill. 15) mostra, tuttavia, che egli sta ­va applicando la sua conoscenza di Cézanne a una rappresentazione completamente realistica del soggetto: tali dipinti furono in realtà un passo indietro rispetto alle tese ambiguità della struttura spaziale nel ­le Tre Donne del 1908-9. Queste semplificazioni geometriche ricordano la famosa osservazione di Cézanne sul cilindro, la sfera e il cono, ed è questo uno dei pochi esempi nella storia del cubismo in cui si pos ­sa parlare di « cubi » in un quadro cubista. Non è difficile a questo punto capire perché Picasso e i suoi amici apprezzassero le opere del Doganiere Rousseau, la cui non educata ma straordinaria sensibilità percepiva forme in una maniera schematica e concettuale, come si può vedere in un paesaggio del 1909 (ill. 12).
Tuttavia nel dipingere le case dei suoi paesaggi di Horta, come nei suoi ritratti di Fernande Olivier, Picasso continuò a combinare punti di vista separati in una singola immagine. Ma dal punto di vista del futuro sviluppo del cubismo, è evidente dal Chàteau a La Roche-Guyon (tav. Il) di Braque, dipinto nella medesima estate del 1909, che egli aveva raggiunto una posizione più avanzata di Picasso nell’applicare gli insegnamenti appresi da Cézanne.
Prima del suo incontro con Braque alla fine del 1907, Picasso era sta ­to solo nella sua ricerca di una nuova arte, e sino al 1909 entrambi furono senza seguaci. Ma a partire dal 1909 almeno un altro pittore a Parigi aveva cominciato a trarre importanti conclusioni dallo studio di Cézanne. Fernand Léger (1881-1955), in opere quali il poco conosciu ­to // ponte (ili. 16) del 1909, era pervenuto a un punto paragonabile a quello raggiunto da Braque nei quadri eseguiti a L’Estaque l’anno precedente. Ma mentre Braque aveva mostrato un’istintiva delicatezza pittorica, sin dall’inizio Léger rivelò la propria vigorosa personalità. // ponte, nondimeno, mostra una conoscenza del «passaggio » cézan-niano e delle sue possibilità di creare un nuovo sistema di rappresen ­tazione dello spazio. Durante il 1911, divenuto il cubismo un movi ­mento diffuso, questo momento dell’arte di Léger avrebbe avuto delle ripercussioni sui dipinti di seguaci quali Le Fauconnier e Gleizes. Ma nel 1909 Léger, e in misura minore il suo amico Robert Delaunay, era ­no gli unici pittori, oltre a Picasso e a Braque, che esploravano l’ere ­dità artistica di Cézanne in un modo significativo e creativo. Léger, che conobbe Picasso verso la fine del 191012, doveva ben presto de ­dicarsi allo sviluppo della propria versione personale del cubismo, che ha tuttavia caratteristiche comuni con l’opera contemporanea di Picas ­so e di Braque. Il suo Nudi nella foresta (ill. 18) del 1909-1013 non rap ­presenta un progresso rispetto a // ponte se non per il fatto che qui, quasi per la prima volta, Léger usò le forme cilindriche che, a partire dal 1913, dovevano diventare un aspetto essenziale del suo linguaggio pittorico; già nell’autunno del 1911 Léger era stato chiamato non un cubista ma un « tubista »14. Si dovrebbe osservare che in Nudi nella foresta, nonostante l’apparenza superficiale sia d’versa, Léger creò uno spazio tradizionalmente scorciato, usando come ne // ponte una dimi ­nuzione prospettica di scala e il punto di /ista dall’alto alla Cézanne. Lo stesso si può dire delle Case sulla collina di Picasso, sebbene in misura molto minore. Non è un fatto del tutto casuale che, per evitare questo tradizionale effetto illusionistico, Picasso e Braque dipingesse ­ro pochissimi paesaggi dopo il 1910, limitandosi quasi esclusivamen ­te a figure umane e nature morte poste contro uno sfondo assai vicino e piatto, come se fossero viste da breve distanza. Dalla fine del 1909 Braque e Picasso erano diventati amici intimi, e nel loro lavoro erano giunti, più o meno separatamente, a stili molto si ­mili, sebbene non identici. Braque in effetti produsse spesso sorpren ­denti nuove idee del tutto personali, come in Brocca e violino (ili. 19), dipinto nell’inverno 1909-10. Qui la sfaccettatura delle forme ha rag ­giunto un punto in cui i piani intersecantisi cominciano a seguire una propria logica artistica, sia in conformità alla struttura ritmica del di ­pinto, sia alla necessità di rappresentare il soggetto. Anche la luce, o piuttosto il contrasto tra luce e ombra, è stata ora completamente su ­bordinata alle esigenze della struttura pittorica. Per indicare questo nuo ­vo equilibrio tra arte e realtà, Braque dipinse, in maniera illusionistica, un chiodo in cima al dipinto come per indicare, con l’ombra proietta ­ta dal chiodo, che la sua tela è semplicemente una superficie piatta dipinta, appesa a una parete. Questa trovata è un esempio dell’idea, divenuta comunemente diffusa dal 1911, del tableau-objet, cioè del qua ­dro come oggetto (vedi testi 11, 15 e 23). Al confronto, una natura mor ­ta di Picasso dipinta all’inizio del 1910 (ill. 17) rimane ancora un estre ­mo sviluppo delle idee cézanniane (vedi testo 8): per esempio Picasso rispetta ancora i contorni esterni degli oggetti, mentre in Brocca e vio ­lino Braque non esita ad infrangere il contorno del violino. Picasso, tuttavia, doveva presto intraprendere la stessa strada, come nel suo magnifico Ritratto di Ambroise Vollard (ill. 20), il mercante pa ­rigino che gli aveva organizzato una mostra già nel 1901. Iniziato pro ­babilmente alla fine del 1909, questo ritratto non fu terminato che alla fine della primavera del 191015; non solo è di una straordinaria somi ­glianza (ilI. 22), ma paragonata al ritratto di Vollard eseguito da Cézanne, la versione di Picasso rivela inoltre il progresso compiuto dall’ar ­tista rispetto ai suoi stessi dipinti di ispirazione cézanniana del 1908. Vollard è seduto frontalmente dinanzi a noi: dietro di lui un tavolo sul quale stanno una bottiglia a destra, e un libro messo in piedi a sini ­stra. Picasso ha persino inserito il fazzoletto nel taschino di Vollard. L’intera superficie del dipinto è formata da una serie di piccoli piani intersecantisi, ognuno dei quali, a causa del « passaggio », si può per ­cepire come posto sia davanti che dietro gli altri piani contigui. Pi ­casso non esita ora a violare i contorni delle forme a vantaggio della struttura pittorica globale; ma entro questa densa, ancora piatta strut ­tura, egli ha posto delle indicazioni chiave che consentono allo spet ­tatore di riconoscere il soggetto.

Il soggetto reale, tuttavia, non è Vollard ma il linguaggio formale usa ­to dall’artista per creare un oggetto estetico estremamente costruito. Ovviamente non sarebbe corretto definire questo dipinto un’astrazione, dal momento che contiene un rapporto specifico con la realtà esterna, visiva; anzi, il persistente fascino di questo e degli altri dipinti cubi ­sti analitici dei due anni seguenti è proprio il risultato della quasi in ­tollerabile tensione sperimentata dallo spettatore. Egli è incantato dal richiamo intellettuale e sensoriale di una struttura pittorica dotata di un’intima coerenza, ed è anche stuzzicato dalla inevitabile tentazione di interpretare questa struttura nei termini del mondo visivo conosciu ­to. Questa tensione acuta tra il mondo dell’arte e il mondo dell’esperienza percettiva persiste sino alla fine del 1912. Poi, con l’invenzione del collage e del papier colle, il cubismo entra in una fase in cui l’ope ­ra d’arte, sebbene essenzialmente realistica, perlomeno quanto prima, è di gran lunga più indipendente dal mondo visivo di quanto non lo fosse il cubismo « analitico » del 1910. Un altro ritratto eseguito da Picasso, quello del critico tedesco Wilhelm Uhde, conoscitore e collezionista delle opere cubiste, è contempora ­neo al ritratto di Vollard, ma di livello inferiore per acutezza e vivacità di realizzazione (ilI. 23, 24). Tuttavia il ritratto di Uhde, come quello di Vollard, fa presagire un importante progresso compiuto da Picasso durante l’estate del 1910, che egli trascorse nel villaggio costiero di Cadaquès nell’angolo nord-orientale della Spagna. Qui, come ha giu ­stamente sottolineato Kahnweiler (vedi testo 41), Picasso abbandonò l’uso delle forme chiuse sfaccettate per dei piani con lunghi margini retti che disgregavano i contorni degli oggetti; ora più che mai, il sog ­getto era legato all’appiattito continuum strutturale dell’intera superfi ­cie del dipinto (ilI. 25). Come risultato il soggetto divenne ancor più ambiguo e difficile da comprendere di prima; infatti le opere di Picas ­so e di Braque del 1910-11 sono state spesso definite « ermetiche ». Con Picasso a Cadaquès c’era l’amico André Derain (1880-1954) che, come Braque, era stato in precedenza un fauve. Derain è stato talvol ­ta erroneamente associato al cubismo, ma, come rivela il suo pano ­rama di Cadaquès (ilI. 27), nel 1910 egli era già quel pittore tradizio ­nale che sarebbe rimasto per il resto della sua vita, fortemente influen ­zato da Cézanne e incapace di creare un proprio stile significativo. Malgrado i dipinti di Picasso eseguiti a Cadaquès segnino un impor ­tante passo avanti, essi non costituiscono tuttavia il momento cruciale nella storia del cubismo. A Cadaquès Picasso spostò l’equilibrio tra struttura pittorica e descrizione del mondo visivo verso la struttura, come era già evidente nel suo Ritratto di Vollard. La nuova accentua ­zione degli elementi formali è evidente nel Ritratto di Kahnweiler (tav. III, ilI. 28), dipinto nell’autunno del 1910. Paragonato al ritratto di Vol ­lard, il soggetto è qui meno riconoscibile, sebbene il dipinto fosse cer ­tamente basato sull’aspetto esteriore di Kahnweiler (ilI. 29). Egli ci ap ­pare seduto, con una catena d’orologio e le mani raccolte in grembo; alla sua destra ci sono una bottiglia e un bicchiere. Dietro al sogget ­to un tavolo e sulla parete, nell’angolo a sinistra in alto del dipinto, una scultura in legno della Nuova Caledonia, colonia francese nel Pa ­cifico. Picasso possedeva due sculture della Nuova Caledonia sin dal 1908; esse sono visibili in una fotografia del suo studio al Bateau-Lavoir (ilI. 54). In verità, Picasso in questo ritratto sembra aver opera ­to deliberatamente una spiritosa giustapposizione tra il suo modello e la scultura dell’Oceania, dal momento che lasciò spazio per questa nella sua composizione ponendo la testa di Kahnweiler lateralmente. Come a Cadaquès, i piani non risultano più limitati dalla forma chiu ­sa dell’oggetto, ma al contrario si integrano liberamente da una par ­te all’altra della composizione, dando l’impressione di essere alterna ­tivamente solidi e trasparenti. I contrasti chiaroscurali sono divenuti altrettanto flessibili, ora totalmente disgiunti da ogni funzione illusio ­nistica e usati solo per indicare le relazioni tra i piani. A causa di que ­sta nuova importanza data alla struttura sin dal tempo di Cadaquès, Picasso ridusse ora la sua tavolozza ai marroni, ai grigi e al nero; ma già nel 1909 si era in gran parte limitato agli ocra. E Braque dalla fine del 1910 aveva nello stesso modo ridotto la propria tavolozza. Bra ­que doveva infine seguire la stessa direzione di Picasso nell’abbandonare la forma chiusa e nel concentrarsi sulla struttura dei piani. La sua veduta del Sacré-Coeur (ill. 30), eseguita all’inizio dell’estate 1910, conserva ancora un chiaro riferimento visivo al soggetto (ilI. 31). Ma dalla fine del 1910, tuttavia, Braque stava dipingendo opere in cui i soggetti originali sono difficilmente riconoscibili, come nella Natura morta con caraffa e bicchiere (ilI. 40), tanto ermetica da avvicinare Braque alla pittura astratta. Questa natura morta è inoltre degna di no ­ta per la sua forma ovale, propria di molti dipinti di Braque e di Pi ­casso dopo il 1910. La forma ovale, e talvolta circolare, eliminava il pro ­blema di come risolvere gli angoli in una composizione cubista, e di ­mostra ulteriormente che l’artista considerava il suo quadro come un oggetto reale in se stesso, più che una semplice raffigurazione illusoria del mondo visivo.
Durante il 1910 anche Léger aveva cominciato a mettere in evidenza i rapporti bidimensionali degli elementi formali nei suoi dipinti, ma egli seguì un metodo differente da quello di Picasso e di Braque. Il suo tentativo consisteva nel mettere in risalto il contrasto tra la qualità amorfa e translucida di nubi e di fumo, e la definita struttura geome ­trica di case o delle sue figure a forma di tubi, come ne Lo sposalizio del 1910-11 (tav. IV; vedi anche testo 32), dipinto come regalo di noz ­ze per il poeta Andre Salmon. In opere come questa Léger raggiunse un equilibrio tra soggetto e struttura pittorica paragonabile e quello del ­le opere di Picasso e di Braque della metà del 1910; ma diversamente da loro, Léger creò i suoi mezzi formali tramite un adattamento letterale degli effetti visivi in natura, ed inoltre rispettò i contorni chiusi de ­gli oggetti.
Il pittore Jean Metzinger (1883-1956) seguì più da vicino Picasso e Bra ­que. Il suo Nudo del 1910 (HI. 35: vedi anche testo 10) rivela la cono ­scenza degli sforzi di Picasso per abbandonare la forme chiusa (vedi testo 9); tuttavia Metzinger non applicò questo motivo stilistico coeren-temente o con una sufficiente assimilazione. Il risultato è un miscuglio caotico di cubismo e di pittura tradizionale illusionistica. Metzinger fu tuttavia l’unico pittore, oltre a Léger, la cui opera nel 1910 si richia ­masse ai propositi artistici di Braque e di Picasso. Sino all’inizio del 1912 le opere cubiste di Picasso e di Braque non si discostarono molto da quelle realizzate alla fine del 1910, momento in cui le possibilità del nuovo stile si erano rivelate d’improvviso tanto ricche, da richiedere quasi due anni per una loro completa esplora ­zione prima che si verificasse un nuovo cambiamento. Così la Natura morta con clarinetto (ilI. 32), dipinta da Picasso durante l’estate del 1911 mentre si trovava con Braque a Céret, località dei Pirenei fran ­cesi, rappresenta una continuazione delle innovazioni stilistiche già presenti nel suo Ritratto di Kahnweiler, ma con un significativo cam ­biamento. In questa natura morta vi sono un clarinetto’6, una pipa, una bottiglia, uno spartito musicale e un ventaglio aperto; tutti questi og ­getti si trovano sul piano di un tavolo e sono indicati almeno da un particolare caratteristico chiaramente riconoscibile. Una simile natura morta è molto più ambiziosa della maggior parte delle opere eseguite da Picasso a partire da Tre Donne del 1908-9, poiché egli ha qui usato il suo stile cubista « analitico » ormai pienamente sviluppato per di ­pingere non un solo oggetto bensì molti oggetti distinti, cercando inol ­tre di metterli tra loro in rapporto, non in un modo cézanniano bensì secondo uno schema compositivo globale modellato come un diaman ­te (vedi testo 13). La notevole difficoltà di lettura di questo dipinto, e di altri dello stesso periodo, rivela un problema importante che carat ­terizza questa fase del cubismo. Infatti un sistema complesso di pia ­ni monocromatici intersecantisi è adatto per dipingere una singola figura od oggetto, come sino a questo momento era stato fatto, ma diviene pericolosamente oscuro quando l’artista cerca, secondo le pa ­role di Gris, di rivelare non i semplici rapporti tra se stesso e l’og ­getto, bensì i rapporti reciproci degli oggetti stessi (vedi testo 46). Che gli artisti si rendessero ben conto di questo problema è attestato dal ­la sua rapida soluzione con l’invenzione, nel 1912, del collage cubi ­sta. Ma anche prima di questa invenzione, i cubisti compresero il pe ­ricolo di approdare a risultati del tutto astratti che sarebbero stati in contrasto antitetico con gli orientamenti sempre realistici del cubismo (vedi testo 12): da ciò l’introduzione nelle loro composizioni non solo di elementi chiave realistici, ma anche di parole, lettere e numeri. Braque aveva cominciato ad adottare questa soluzione nella primave ­ra del 1911, seguito ben presto da Picasso. Questo espediente permi ­se di evitare che i loro dipinti apparissero delle piatte astrazioni, per quanto contemporaneamente rimanessero degli oggetti. Infatti la pre ­senza di segni tipografici quali lettere e numeri, per loro natura bidi-mensionali, costringeva per contrasto a interpretare come tridimensio ­nale la composizione su cui erano sovrimpressi. Queste parole e let ­tere non erano mai scelte arbitrariamente, ma quasi sempre si riferiva ­no a un aspetto specifico degli oggetti raffigurati, quale ad esempio il nome di un giornale. Questo espediente doveva in seguito diventare un elemento essenziale nei collages cubisti, ma un buon esempio del ­l’impiego che ne fece Braque si può vedere nella Natura morta con arpa e violino (ill. 34) dell’inizio del 1911. Aggiunta all’arpa sullo sfon ­do, c’è una natura morta con bottiglia, bicchiere, violino, spartito mu ­sicale e un giornale (EMPS) dell’epoca, il cui nome completo era Le Temps. Forse Braque intendeva fare anche un gioco di parole: infatti (T)EMPS può essere riferito sia a un giornale sia al battere del tempo musicale.
Il cubismo « analitico » raggiunse il proprio zenit con una dozzina o poco più di quadri di Braque e di Picasso che hanno per soggetto una singola figura, eseguiti durante il 1911 e nei primi mesi del 1912. Un esempio tipico di questi grandi quadri è L’uomo con violino di Picas ­so (ilI. 33), della fine del 1911. Il soggetto è riconoscibile grazie a una serie di indicazioni chiave realistiche fornite dall’artista – un orec ­chio, la barbetta a punta, i bottoni della giacca, le corde e le esse del violino.
Davanti a simili opere si è stati tentati di parlare di dissezione o di analisi delle masse, di combinazione di molteplici punti di vista, con implicazioni di una « quarta dimensione » o della geometria non-euclidea; molti critici hanno fornito di queste opere spiegazioni del genere.
E’ tuttavia importante ricordare che, dalla fine del 1911, sia Picasso, sia Braque non dipingevano più ispirandosi direttamente alla natura. Si può legittimamente parlare di combinazione di punti di vista sepa ­rati per Les Demoiselles d’Avignon, per i dipinti di figure umane ese ­guiti da Picasso a Morta e per gli altri esempi del cubismo cézanniano anteriore al 1910. Ma dal 1911 il cubismo fu uno stile autonomo, con una propria logica interna e un proprio linguaggio formale, così come un mezzo per descrivere il mondo visibile nella sua immediatez ­za. La tensione irrisolta fra queste due funzioni del cubismo « anali ­tico » è l’origine sia del suo valore artistico, sia della sua erronea in-terpretazione da parte dei critici.
Tuttavia, nell’esaminare dipinti quali l’Uomo con violino, non si deve cercare di individuare nel mondo visibile un equivalente per ogni ele ­mento del dipinto, il quale presenta un uomo e un violino, ma non li rappresenta (vedi testo 37). La testa del violinista non è semplicemen ­te una sintesi di differenti punti di vista, ma il risultato di un processo Intellettuale mediante il quale, per ottenere la testa, vengono sovrap ­posti degli schemi piani separati, cui segue un processo di unificazio ­ne delle forme ottenute al fine di conseguire una struttura pittorica ­mente coerente. In effetti l’Uomo con violino offre allo spettatore una esperienza pittorica fondamentalmente ancora legata al mondo visibi ­le ma che, come un dipinto rinascimentale, si basa più propriamente su alcune convenzioni stilistiche ereditate o, nel caso di Picasso, in ­ventate dall’artista. Invece di sperimentare l’illusione di masse situate entro uno spazio mediante le convenzioni prospettiche, lo spettatore si trova dinnanzi un differente complesso di convenzioni, che in que ­sto caso producono un effetto di appiattimento ma non di annullamen ­to dello spazio; infatti nel dipinto di Picasso la figura umana ha molta più corposità e spessore dello sfondo e, paradossalmente e miracolo ­samente, questa figura non pencola nello spazio né in avanti né all’in-dietro. In ogni punto di questa composizione i piani hanno la possi ­bilità di descrivere un aspetto del soggetto. Ma al tempo stesso, come nella Natura morta con clarinetto, la loro funzione è di partecipare al ­la struttura spaziale non-illusionistica del dipinto e di contribuire alla organizzazione globale della composizione, in questo caso piramidale. Il problema del pittore cubista era così semplicemente una nuova ver ­sione del medesimo problema che si poneva a un artista rinascimentale o barocco, quando con ogni colpo di pennello doveva rendere contemporaneamente le caratteristiche anatomiche del modello (o quel ­le topografiche del paesaggio), oltre a quelle della prospettiva, della luce e della composizione. E come i grandi artisti del passato, Picas ­so e Braque lavorarono affidandosi alla propria intuizione, piuttosto che a delle regole fisse come sfortunatamente fecero i loro seguaci minori.
Il 1911 vide diffondersi il cubismo oltre la cerchia di Picasso e di Bra ­que. Le cause di questa diffusione non sono facili da spiegare con precisione, ma senza dubbio vi contribuirono alcuni personaggi quali ad esempio l’onnisciente e versatile Apollinaire, che era stato amico intimo di Picasso sin dal 1905 e che conosceva e frequentava ogni ambiente artistico d’avanguardia a Parigi. Anche Metzinger, che cono ­sceva Picasso dal 1910 se non prima (vedi testo 9), deve aver contri ­buito alla diffusione delle idee cubiste, soprattutto attraverso la sua amicizia con Gleizes e con altri artisti che incontrava a casa dello scrittore Alexandre Mercereau (vedi le note al testo 31). Il risultato di questa diffusione del cubismo divenne di pubblico dominio con il Salon des Indépendants della primavera del 1911 e con il Salon d’Automne dello stesso anno; in entrambe queste mostre i nuovi adepti del cubismo formarono un gruppo distinto e durante il 1911 anche il termine cubismo divenne di uso generale (vedi testo 48). Tuttavia nes ­suno di questi pittori – Gleizes, Metzinger, Le Fauconnier, Lhote e molti altri – apportò novità essenziali al cubismo di Picasso e di Braque: pochi, per non dire nessuno tra loro, lo compresero veramente. È diffici ­le inoltre pensare che questi nuovi adepti approdassero a opere cubiste indipendentemente da Picasso e da Braque, i quali in definitiva devono essere considerati l’unica vera fonte creativa del nuovo stile (vedi te ­sto 11). L’arte di Delaunay è un’eccezione: sebbene conoscesse Picasso dal 1910, i suoi propositi artistici non furono mai fondamentalmente cu ­bisti, se non nel senso più ampio.
La pittura di Léger, tuttavia, rappresentò in questo momento una alter ­nativa autentica al cubismo di Picasso e di Braque, come prima abbiamo accennato (vedi anche testo 12). Il suo Studio per la donna in blu (ill. 37) del 1912 costituisce un ulteriore sviluppo dei contrasti tra linee curve e solidi geometrici presenti in Lo sposalizio dell’anno precedente. Ora Léger ha eliminato la rappresentazione illusionistica dello spazio e, come Picasso e Braque, la forma chiusa, per creare una potente com ­posizione di piani di colore, che si riferiscono al soggetto del dipinto senza esservi subordinati. Ma egli non seguì Picasso e Braque nel loro uso di arbitrar! piani in chiaroscuro, uniti dal «passaggio ». Egli passò invece direttamente dagli amorfi sbuffi di fumo e di nubi, presenti in Lo sposalizio, agli appiattiti schemi geometrici della Donna in blu, che derivano formalmente dal dipinto precedente, scavalcando cosi alcuni problemi di ermetismo caratteristici del cubismo « analitico ». Si può cogliere l’influenza del linguaggio formale di Léger nell’opera di Albert Gleizes (1881-1953) Uomo al balcone del 1912 (ill. 36). Ma men ­tre Léger, come Picasso e Braque, era giunto a eliminare qualsiasi rap ­presentazione dello spazio, Gleizes cerca di combinare una figura in primo piano con un paesaggio in lontananza. Ne risulta un dipinto che è cubista solo superficialmente, mentre contiene in realtà una rappre ­sentazione tradizionale dello spazio e una riduzione in scala degli og ­getti secondo le leggi prospettiche. Nella figura in primo piano Gleizes usò il chiaroscuro tradizionale per modellare il volto e in altri punti, tecnica questa che doveva abbandonare quando nel 1914 giunse a un vero stile cubista. Il caso di Gleizes esemplifica il fenomeno di un numero sempre maggiore di pittori che nel periodo 1911-14 adottarono qualche esteriore soluzione formale del cubismo, accogliendo poco o nulla della sua più intima sostanza.

Nella primavera e nell’estate del 1912 l’arte di Picasso e di Braque subì una serie di cambiamenti decisivi, i quali conclusero una fase del cubi ­smo inaugurandone una seconda che doveva risultare ancora più ricca di possibilità della precedente. Dalla fine del 1911 i due artisti si erano resi conto che il linguaggio formale del cubismo « analitico », per quanto brillanti fossero stati i suoi risultati estetici, stava diventando sempre più inadeguato a descrivere il mondo visivo. Inoltre doveva essere an ­cora risolto il problema del colore, quasi completamente trascurato nelle loro opere del 1910-11 (vedi testo 12); infatti il colore degli oggetti era parte integrante del loro aspetto visivo quanto la forma. Sebbene fosse stato trovato un modo di dipingere la realtà senza l’uso del chia ­roscuro e della prospettiva tradizionale, gli artisti, affascinati da intri ­cate strutture spaziali negli anni 1910-11, avevano completamente di ­menticato il problema del colore. Forse queste affermazioni trionfali della forma non potevano essere raggiunte se non a spese del colore, che avrebbe costituito ancora un’altra variabile in un’equazione artistica già pericolosamente complessa; ora, tuttavia, in alcuni dipinti della fine del 1911 e dell’inizio del 1912, sia Picasso, sia Braque tentarono di rein-trodurlo.
All’inizio del 1912 anche gli oggetti rappresentati nelle opere di questi due artisti diventarono in certo modo più facili da riconoscere, e al fine di renderli ancor più identificabili Picasso e Braque cominciarono a indi ­carne la consistenza materiale. Nella primavera del 1912 Braque iniziò a imitare la zigrinatura del legno, dapprima servendosi di una pennellata tradizionale, poi usando un pettine da imbianchino. Picasso imitò ben presto questa tecnica ma l’applicò anche per ottenere altri effetti, spe ­cialmente per dare l’idea dei capelli, come ne Il   poeta (ill. 39; vedi anche il testo 33).
Il problema di descrivere la realtà visiva senza ricorrere all’illusionismo pittorico tradizionale era stato così affrontato in varie maniere nuove; ma la soluzione di gran lunga più importante in questo senso fu l’incor ­porazione di un fac-simile « ready-made » di un oggetto in una natura morta, eseguita da Picasso nel maggio 191217. La sua Natura morta con sedia impagliata (ill. 41; vedi anche il testo 25, la parte dedicata a Picasso) è il primo collage cubista; in una natura morta ambientata in un caffè con un limone, un’ostrica, un bicchiere, una pipa e un giornale, Picasso incollò un pezzo di tela cerata su cui è stampato il disegno della paglia intrecciata, che indica così la presenza di una sedia senza usare i mezzi tradizionali. Infatti come le lettere dipinte JOU significano JOURNAL, così il facsimile della paglia intrecciata sta a indicare l’intera sedia. In seguito Picasso avrebbe fatto un ulteriore passo avanti incor ­porando nei suoi collages oggetti veri o frammenti di oggetti, usati nel loro significato letterale. Questa singolare idea doveva trasformare il cubismo e diventare una delle principali fonti di ispirazione per l’arte del XX secolo18. Ma la sua utilità immediata per il cubismo non doveva emergere che pochi mesi più tardi, quando nel settembre 1912″ Braque incollò delle strisce di carta da parato, che riproduceva il legno, nella Natura morta con fruttiera e bicchiere (ill. 39). Queste strisce, che indi ­cano il cassetto e il piano di un tavolo di legno, furono il primo esempio cubista dell’uso di carta incollata, o papier colle20; con questa innova ­zione dovevano essere risolti molti dei problemi che ancora si pre ­sentavano al cubismo (vedi testi 24, 25).
Nel primo papier collé di Braque le strisce di carta stanno a significare sia il colore, sia la consistenza materiale di un oggetto, mentre le forme e le interrelazioni degli oggetti sono indicate dal linguaggio di linee e piani già perfezionato nei due anni precedenti. Sin dal 1910 Braque e Picasso avevano eliminato la forma chiusa; così le strisce di carta incollata, nel papier collé, non furono costrette nei contorni reali degli oggetti che indicavano. L’artista era ora libero di comporre le strisce di carta nel papier colle secondo uno schema di modello e di colore este ­ticamente libero da ogni intento realistico, anche se quelle stesse carte colorate e modellate rendevano riconoscibili gli oggetti dipinti (vedi testo 29).
Questi pezzi di carta incollata eliminavano anche ogni residuo di spazio Illusionistico; il papier collé è concretamente e assolutamente piatto. Ma queste strisce di carta potevano anche, qualora l’artista lo deside ­rasse, esprimere direttamente, delle relazioni spaziali, mediante una so ­vrapposizione reciproca o grazie ai loro rapporti con linee disegnate sopra e sotto di essi. E cosi – come nel cubismo 1910-11 – una ambi ­guità spaziale, che di per sé negava l’illusionismo, poteva essere creata per mezzo di strisce unite reciprocamente, sovrapposte le une alle altre In una certa successione verso un dato punto di congiunzione, ma in una successione diversa verso un secondo punto. Linee e piani indicanti le qualità formali degli oggetti potevano essere dipinti attraverso le strisce di carta, o separati da esse, cosicché potevano essere descritti sia la forma, sia il colore di un oggetto. Fu perciò eliminato il dilemma prima esistente tra il colore e il chiaroscuro, e con la scoperta di una tecnica che eliminava la pennellata e i colori a olio, la rottura cubista con i metodi artistici del passato era praticamente completa. Sia Picasso che Braque durante il 1912 avevano sperimentato delle com ­posizioni in rilievo con cartoncino, poche delle quali rimangono; senza dubbio questi tentativi, proseguiti nel 1913 e 1914, contribuirono sensi ­bilmente all’invenzione del papier colle, e nello stesso tempo con ogni probabilità portarono a un rinnovato studio di certe sculture africane. Appena Braque ebbe realizzato il primo papier collé, procedette rapi ­damente con Picasso a svilupparne le enormi possibilità con tutta la vivacità e l’acutezza di ingegno profusi nei capolavori cubisti del 1910-1911. Ma in contrasto col modo generalmente più semplice e spesso liricamente tranquillo con cui Braque usò il nuovo mezzo, Picasso scoprì nel papier collé un mezzo per esprimere il paradosso, l’ambiguità e l’arguzia, come in uno dei più grandi papiers collés, la sua Natura morta morta con violino e frutta (tav. V) dell’inizio del 191321. Qui Picasso usa carta di giornale – (JOU)RNAL – come in un collage per indicare in senso letterale un giornale su un tavolo. In altri punti del quadro egli da un significato puramente arbitrario ai ritagli di giornale; nell’angolo a sinistra in alto, per indicare della frutta in un piatto, ha incollato illustrazioni di mele e pere stampate su un pezzo di giornale che in questo caso rappresenta il fondo della fruttiera, mentre sotto ad esso una striscia di carta completamente bianca indica il sostegno della frut ­tiera. Paradossalmente, i ritagli di frutta sembrano sovrapporsi l’un l’al ­tro, malgrado fisicamente non lo siano. Le carte, dalla rigatura simile al legno, rappresentano alternativamente il violino e il tavolo su cui lo strumento si trova; vi è anche una seconda striscia bianca, compositi ­vamente legata alla prima, che rappresenta il lato non ombreggiato del manico e del collo del violino. In fondo, un grande pezzo di giornale funge contemporaneamente da astratto elemento compositivo e per significare la tovaglia; a sinistra in basso una griglia di linee orizzontali e verticali da stabilità alle linee diagonali superiori, diversamente troppo libere, ed indica inoltre la presenza di una sedia. Sovrapposto al gior ­nale sulla destra ad angolo retto, c’è un secondo pezzo di giornale più piccolo, sul quale a sua volta è tracciato un disegno. Il disegno e il piccolo ritaglio rappresentano insieme un bicchiere da vino in una ma ­niera altamente sintetica e convenzionale; molte caratteristiche formali del bicchiere sono state qui fuse, sebbene solo come tentativo, in una unica immagine. Questo tipo di immagine condensata, una volta perfe ­zionata completamente, doveva giocare un ruolo molto importante nel successivo cubismo. Persine la trasparenza del bicchiere è stata indi ­cata dal fatto che il suo ritaglio di carta è collocato in un angolo rispetto al più grande frammento di giornale che gli sta sotto, qui usato per quello che è: effettivamente in tal modo viene messa in risalto la qualità di trasparenza e di rifrangenza del bicchiere vuoto. Infine, consapevole della straordinaria libertà e inventiva della sua opera, Picasso non ha trascurato le spiritose implicazioni dei titoli di giornale: LA VIE SPOR ­TIVE (la vita sportiva) e (APP)ARITION! Tali giochi di parole divennero presto una componente premeditata dei collages cubisti, specialmente di quelli di Gris.
L’uso del papier collé generalmente più diretto, ma non meno audace da parte di Braque, è ben illustrato dalla sua Natura morta con mando ­lino, violino e giornale (Le Petit Eclaireur), della metà del 1913 (ill. 42). Sulla sinistra, un frammento di carta tagliato in una curva sporgente sta a indicare la caratteristica silhouette di un mandolino; al centro un quadrato, tagliato da una striscia di carta, indica la sua apertura sonora rotonda, mentre l’apertura è ripetuta ugualmente sulla terza striscia ver ­ticale. Sulla destra il violino è indicato dal suo caratteristico contorno e da un accenno leggermente spostato delle aperture sonore a forma di esse.
Il papier collé ovviamente influenzò in misura notevole i dipinti di Picasso e di Braque, come si può vedere nell’opera di Braque // violoncello (tav. VI) del 1912, in cui, malgrado l’uso della pittura a olio, l’effetto è quello di strisce di carta sovrapposte. Picasso non esitò a combinare i due mezzi: la sua Natura morta con violino e chitarra (ill. 43) dell’inizio del 1913 è eseguita con colori a olio, stoffa, stucco, e con carta incollata che riproduce il legno.
A questo punto è bene riesaminare brevemente la direzione presa da Picasso e da Braque a partire dal 1910. Dall’inizio del 1910 era stato trovato un temporaneo equilibrio tra le esigenze della realtà e quelle dell’arte; questo equilibrio doveva volgere nettamente in favore dell’arte dopo i dipinti eseguiti da Picasso a Cadaquès e durante il 1911. Nel 1912 Picasso e Braque compirono numerosi sforzi per ristabilire questo equilibrio, senza sacrificare le innovazioni del linguaggio formale defi ­nite nei due anni precedenti. Questo sforzo culminò alla fine del 1912 nel collage e nel papier collé. Paragonata all’ermetica Natura morta con clarinetto (ill. 32) eseguita da Picasso nel 1911, la sua Natura morta con violino e chitarra del 1913 (ilI. 43) è di gran lunga più facilmente leggi ­bile, una volta comprese dallo spettatore le nuove convenzioni stabilite dal collage e dal papier colle; eppure l’artista non era costretto a fare alcuna concessione ai mezzi tradizionali dell’illusionismo. Nello stesso tempo, i metodi del papier colle davano all’artista una libertà quasi illi ­mitata nell’organizzazione formale. Si trovò così un nuovo equilibrio in cui, quasi miracolosamente, gli interessi della realtà e dell’arte potevano essere serviti al massimo, con mezzi del tutto indipendenti dalle tradi ­zioni artistiche del passato. Juan Gris (1887-1927), che aveva vissuto a Montmartre vicino al suo compatriota spagnolo Picasso sin dal 1906, comprese rapidamente il significato del collage; in realtà vi furono pochi altri pittori oltre a Picas ­so, Braque e Gris che lavorarono con la nuova tecnica, specialmente prima del 1914. (Si deve tuttavia fare eccezione per Carlo Carrà, che fu apparentemente un futurista ma i cui migliori collages possono essere benissimo paragonati a quelli dei cubisti). Gris iniziò a dipingere se ­riamente nel 1911; passò rapidamente attraverso un periodo «analitico », cézanniano, e dal 1912 si andò creando un proprio stile cubista, auste ­ro, sebbene di solito fortemente coloristico, distinto da quello di Picasso e di Braque come lo era quello di Léger. Il suo Le Lavabo del 1912 (ill. 46) è un collage, poiché comprende un frammento di specchio nella parte centrale superiore della composizione. Dal momento che il suo soggetto richiedeva uno specchio in quel punto, Gris pensò, nella sua maniera tipicamente rigorosa, che nessuna tecnica pittorica poteva pro ­durre un equivalente delle qualità riflettenti dello specchio stesso (vedi testo 21). Questo dipinto fu esposto alla mostra Section d’Or dell’ottobre 1912, e in questa opera, come in molte altre successive, Gris usò la sezione aurea, in combinazione con un sistema modulare, nel tracciare lo schema della sua composizione22.
Sempre nella mostra della Section d’Or fu esposto il Ritratto di Albert Gleizes (ill. 44) eseguito da Metzinger nel 1912. Sebbene Metzinger com ­binasse alquanto ingenuamente diversi punti di vista in questo dipinto, egli adottò anche una combinazione di colori più vivace di quanto avesse fatto in precedenza, probabilmente influenzato da Gris e dal ri ­torno del colore nei papiers collés di Picasso e di Braque. Metzinger inoltre imitò esteriormente, senza adattarne la matematica precisione, il sistema di composizione di Gris basato sulla sezione aurea, segno que ­sto della iniziale influenza del nuovo adepto sugli altri cubisti23. Dal 1914 Gris aveva raggiunto nella sua versione del cubismo un punto che non trovava un’esatta corrispondenza nell’opera di Picasso e di Braque: la sua Tazza da té di quell’anno (tav. VII) è particolarmente in ­teressante come esempio del contributo di Gris alla tecnica del papier collé. Quasi l’intera superficie della tela è coperta da carta incollata, stesa secondo un rigido sistema geometrico. La carta incollata è a sua volta ricoperta da una complessa composizione cubista disegnatavi sopra. I riferimenti alla realtà seguono un metodo simile a quello di Picasso e di Braque, tranne che Gris mantenne l’integrità degli oggetti molto più di quanto gli altri due non fecero, e si preoccupò maggior ­mente di far apparire gli oggetti trasparenti (vedi testo 29). Il frammento di giornale inserito in quest’opera è un esempio assai divertente di spi ­rito ironico nei collages di Gris, perché le due fotografie affiancate in prima pagina rappresentano il piedestallo di una statua prima e dopo l’approvazione di una legge che proibiva di incollare manifesti sui mo ­numenti pubblici: il riferimento ironico al collage è evidente. L’arte di Léger dal 1913 non fu così complessa né così geniale come quella di Picasso e di Braque, ma senza pari fu il suo vigore plastico. Nel 1913-14 eseguì un gran numero di dipinti che chiamò Contrasti di forme (ill. 47; vedi anche i testi 27 e 32). In questi dipinti le forme simili a tubi e le superfici piatte costituiscono il punto d’arrivo della sua opera iniziata nel 1910. Dal 1914 Léger andò sviluppando una teoria (vedi te ­sto 32) basata fondamentalmente sul suo studio di Cézanne, secondo la quale pensava di poter ottenere il massimo contrasto pittorico in mol ­tissimi modi: contrasti di colore basati non sulle ricerche scientifiche della luce fatte dai neo-impressionisti, ma su considerazioni strettamen ­te formali; contrasti di linee rette e curve; contrasti di solidi tra di loro o con superfici piatte. Il risultato fu a volte completamente astratto, rivelando una quasi animistica credenza nel dinamismo visivo in se stesso, più che uno stile cubista malgrado questi Contrasti di forme avessero normalmente un soggetto dichiarato e fossero privi di ogni spazio illusionistico. Dopo la prima guerra mondiale, tuttavia, Léger do ­veva sviluppare una versione personale tardo cubista. Durante il 1913 e il 1914 un tal numero di artisti a Parigi si era rivolto al cubismo, che questo stile divenne temporaneamente il linguaggio uni ­versale della pittura d’avanguardia. Grazie alle riproduzioni stampate e alle opere inviate a mostre in Inghilterra, Olanda, Germania, Russia e Stati Uniti, il cubismo, alla vigilia della prima guerra mondiale, eserci ­tava ovunque una massiccia influenza sui giovani pittori. A Parigi, molti artisti di scarso talento effettivo si misero a dipingere quadri cubisti, che rispecchiavano solo una conoscenza superficiale dello stile. Altri, come Marcoussis, Reth e persine il giovane Diego Rivera, si avvicina ­rono alle caratteristiche essenziali del cubismo.
Un’altra tendenza che incidentalmente si può sottolineare fu l’applica ­zione della idea di simultaneità alla pittura come alla letteratura (vedi testo 30). La simultaneità fu quell’idea piuttosto ingenua, derivata dagli scritti di Apollinaire, Gleizes, Metzinger e altri, e praticata anche nelle prime poesie di Mercereau, con cui si usò indicare la presenza simulta ­nea, in un quadro cubista, di diversi punti di vista. Dal momento che questa simultaneità implicava il movimento, e quindi il tempo, furono anche spesso nominate, a titolo di spiegazione, la « quarta dimensione » e la geometria non-euclidea (vedi testi 23, 25, 29, 31). Un’applicazione interessante, sebbene piuttosto letterale, dell’idea di simultaneità si può vedere nelle opere di Gleizes e Metzinger, e in alcuni dipinti di Delaunay: come l’artista ci mostra un oggetto visto da diverse parti contemporaneamente, così egli unisce anche oggetti distanti nello spazio, altrimenti non visibili simultaneamente. Questa tendenza, definita cubismo « epico »24 per le visioni di paesaggio ad ampio respiro accen ­nate o direttamente raffigurate, è ben esemplificata da L’uccello blu25 di Metzinger dell’inizio del 1913 (ill. 50). Tre nudi femminili sono raffi ­gurati in varie posizioni, e la figura più in alto tiene l’uccello blu; in altre parti della composizione ci sono numerosi uccelli, dell’uva in un piatto su un tavolo, la tenda a strisce di un caffè parigino, la cupola del Sacré-Coeur a Montmartre e una nave sul mare. Per quanto riguarda lo stile cubista, tuttavia, il dipinto di Metzinger ha poco in comune con l’arte di Picasso e di Braque: non c’è una rappresentazione coerente della realtà visiva con mezzi indipendenti dalla tradizione illusionistica rinascimen ­tale (vedi testo 42). Il modo in cui Metzinger tratta le figure e la compo ­sizione spaziale come un tutto si potrebbe soltanto definire un sotto ­cubismo.
Con lo scoppio della guerra nel 1914 si verificò inevitabilmente una netta frattura nella vita artistica, non solo a Parigi ma in tutta Europa. Dei principali cubisti, solo Picasso e Gris, essendo spagnoli, non furono chiamati alle armi, ed è all’opera di questi due artisti che ci si deve rivolgere per la fase finale dello stile cubista. Negli ultimi mesi del 1913 e nel 1914 Picasso si era temporaneamente rivolto nella sua pittura verso interessi espressionistici e decorativi, rimanendo ugualmente nell’ambito del cubismo, ed anche durante i dieci anni successivi doveva oscillare tra il cubismo stesso e un lineare, realistico neo-classicismo che tutta ­via conteneva elementi cubisti. Ma nell’anno che precedette lo scoppio della guerra, nella sua opera e in quella di Braque e di Gris stava emer ­gendo una nuova idea, riguardante la creazione di segni che riassu ­messero in una forma molte caratteristiche di un dato oggetto; il bicchiere di vino nel collage di Picasso Natura morta con violino e frutta (tav. V) costituì un primo esempio di questa nuova idea. È probabile che a questo punto la scultura africana assumesse una rin ­novata importanza nel cubismo, perché, come in seguito fece notare Maillol, gli scultori negri spesso avevano l’abilità di combinare «venti forme in una sola »26. La scultura africana presenta anche analogie con il modo in cui, in un collage di Picasso, un dato materiale può rappre ­sentare letteralmente se stesso, ma in un altro punto dello stesso collage assumere arbitrariamente un diverso significato; analogamente nella scultura africana un solido può indicare un vuoto, e viceversa, oppure una forma concava può rappresentare qualcosa che in natura è con ­vesso (vedi ill. 3).
I segni avevano giocato un importante ruolo all’inizio del cubismo, sin dalla fine del 1910 o all’inizio del 1911, quando gli artisti smisero di basarsi sulla diretta osservazione della natura. Indicazioni-chiave realistiche apparvero nei dipinti « ermetici » del 1911 (vedi ill. 32), e le pa ­role introdotte da Picasso e da Braque nelle loro opere stavano a sim ­boleggiare letteralmente giornali o altro materiale stampato; Braque usò anche parole per il loro significato associativo, come per la parola BAR o i nomi di bevande nelle nature morte ambientate nei caffè (vedi ill. 39), o per termini musicali e persine nomi di compositori di quadri conte ­nenti strumenti musicali. Nei collages un oggetto o significava letteral ­mente se stesso, o una parte di un oggetto, come il frammento di un titolo di giornale indicava il titolo intero (vedi tav. V). Ora il segno doveva assumere un ruolo più essenziale nel cubismo.
L’Uomo appoggiato a un tavolo, un capolavoro del 1916 (IlI. 48), è un compendio dell’arte anteguerra di Picasso, ma contiene anche il germe del successivo cubismo « sintetico ». I puntini da « pointillisme » del suo détente decorativo del 1913-14 sono ancora presenti, ma grande è la sua maestria, accumulata con l’esperienza dei cinque anni precedenti, nell’organizzare spazialmente i piani tra loro uniti. La grande dimensione dei piani è una conseguenza del papier collé, che a sua volta aveva portato a compimento in Picasso e in Braque l’abolizione della forma chiusa nel 1910. Ma la novità di quest’opera è l’uso che Picasso fece di segni sintetici per indicare il capo, il torso e le gambe della figura, così come le gambe del tavolo: tutte le qualità formali di un oggetto sono « sintetizzate » in una nuova forma basata su una singola caratteristica, resa in modo assai convenzionalizzato (vedi testo 26). Come nel papier collé, il colore di questa forma sintetizzata poteva riferirsi a quello del ­l’oggetto originale, oppure, come divenne usuale, arbitrariamente pren ­dere parte allo schema colorico dell’intero dipinto. Questo schema colorico poteva essere quasi indipendente dalla struttura formale, anche se non del tutto; rimaneva la necessità di indicare, dove lo si voleva, la continuità di un dato piano, al quale perciò sarebbe stato dato lo stesso colore dovunque comparisse. Persine questa limitazione poteva essere eliminata se l’artista voleva aumentare l’ambiguità dei rapporti spaziali tra i piani, negando in tal modo lo spazio illusionistico, oppure se le esigenze della composizione nel suo complesso erano dominanti. Per ­ciò l’unica limitazione dell’artista era quella topologica: egli non doveva permettere che due zone dello stesso colore si unissero accidental ­mente l’un l’altra quando l’organizzazione spaziale del dipinto richiedeva altrimenti.
Tutte queste caratteristiche formali e coloriche sono evidenti nella suc ­cessiva ultima fase del cubismo, che potrebbe essere definita cubismo sintetizzato, sintetico. In opere quali Natura morta con pipa e bicchiere (ill. 51) di Picasso o L’uomo della Turenna (ill. 52) di Gris, entrambe del 1918, i segni sintetizzati che indicano gli oggetti sono essi stessi com ­binati in una composizione fortemente strutturata (vedi testi 35, 37, 38, 46). Oltre all’unione, consueta per il cubismo, di piani di colore, i singoli segni sintetizzati sono in relazione l’uno con l’altro grazie a molti altri mezzi, il principale dei quali è la rima visiva, un espediente che per la prima volta apparve in alcuni papiers collés di Picasso durante il 1912-1913: elementi morfologicamente simili, come dei cerchi, sono messi in risalto nei segni diversi ai quali appartengono. La composizione come un tutto poteva anche essere costretta entro un unificante modello geo ­metrico, che poteva costituire di per sé il punto di partenza del dipinto, specialmente nell’opera di Gris (vedi testo 43); infatti fu Gris il princi ­pale responsabile di questa fase finale del cubismo. L’aspetto spesso cristallino di queste ultime opere cubiste, attrasse particolarmente i « puristi » Ozenfant e Jeanneret (vedi testo 47), che vi trovarono ispi ­razione e giustificazione per la loro arte non cubista. I Tre Musici di Picasso (tav. VIII), opera di cui esistono due versioni, è il massimo capolavoro del cubismo sintetico: vi è riassunto tutto il lungo, complicato processo di scoperte e di invenzioni iniziato nel 1907.
Ci troviamo ora in un regno puramente stilistico, in effetti molto lontano dalla realtà visiva: ogni elemento nei Tre Musicanti è presentato per mezzo di un segno, che è anch’esso il prodotto di una lunga evoluzione storica, e tutti i segni sono vicendevolmente riferiti l’uno all’altro con il maggior numero possibile di mezzi, comprendenti rime visive, piani re ­ciprocamente uniti e combinazioni di colore. A testimonianza della gioio ­sa e assoluta maestria dell’arte di Picasso, si trovano qua e là giochi visivi quali la silhouette di profilo di una testa umana proprio sopra lo spartito musicale nel centro del dipinto.
Dopo la guerra, Léger sviluppò una versione del cubismo sintetico pa ­ragonabile approssimativamente a quella di Picasso, ad esempio in / dischi (ili. 49) del 1918-19; ma, come prima del 1914, l’arte di Léger aveva più a che fare con il dinamismo visivo che con il cubismo puro. L’adozione da parte di Léger della città e della macchina come soggetti per le proprie opere del decennio 1920-30, rifletteva direttamente il suo temperamento artistico. I suoi mezzi formali, tuttavia, furono spesso paralleli a quelli del cubismo sintetico di Picasso. Braque, che era stato gravemente ferito in guerra, tentò nel 1917-18 di ricapitolare il suo stile immediatamente anteriore alla guerra, ed anch’egli dipinse alcune opere sintetiche « cristalline ». Tuttavia, a partire dagli anni ’20, dedicò tutto se stesso a una versione personale del cubismo sintetico che doveva praticare fino alla sua morte e che, con il suo colore smagliante e le marcate qualità pittoriche, annunciava il riaffiorare di una sensibilità artistica espressasi prima del 1908 nel fauvisme. Juan Gris, sempre più indebolito dalla malattia che lo avrebbe stroncato nel 1927, continuò sino alla fine a lavorare secondo i metodi del cubismo sintetizzato o sintetico, ma tranne alcune nature morte del 1926-27, i suoi dipinti diven ­nero gradualmente più realistici.
Come era già successo prima del 1914, il tardo cubismo fu praticato da numerosi pittori, a Parigi come in altri centri artistici; ma dal 1925 circa, tutte le possibilità espressive dello stile erano state esaurite dai suoi creatori, mentre i seguaci minori, con la loro produzione assai ricca ma mediocre, ne affrettarono solo la decadenza (vedi testo 40). I più dotati artisti del periodo cominciavano ad interessarsi ad altri aspetti della esperienza umana, meno razionali e più emotivamente espressivi. Quelli che avevano partecipato al cubismo dovevano essere giunti a pensare molto similmente allo scultore Jacques Lipchitz, quando esortava Gris e gli altri suoi amici cubisti a evadere dalla Prigione Dorata dei loro princìpi formali e a usare il linguaggio appreso per dire qualcosa27. Lo stesso Picasso, il maggiore artista della prima metà del XX secolo, che era stato quasi sempre l’artefice principale e la guida del cubismo, do ­veva nel 1925 allontanarsi dalla propria superba creazione. L’intensità espressiva del suo periodo blu e di Les Demoiselles d’Avignon, così a lungo compressa o sublimata in una infinita serie di brillanti invenzioni formali, emerse nei suoi Tre Danzatori (ilI. 53) del 1925, per non scom ­parire mai più completamente. Con questa opera il cubismo, come stile operante, si concluse, sebbene sia Picasso, sia praticamente qualsiasi altro artista dei successivi quarant’anni, rimanesse debitore in un modo o nell’altro al cubismo, ancor oggi la maggior conquista estetica del nostro secolo.  

Note

  • 1 Vedi D.-H. Kahnweiler, « Huit entretiens avec Picasso », Le Point, Souillac, ottobre 1952, p. 22.
  • 2 Vedi Zervos, op. cit., voi. 2, parte I, testo di fronte alla tav. II.
  • 3 Vedi Alfred Barr, Picasso, 50 Years of His Art, New York, 1946, p. 257, nota 56.
  • 4 1904, Salon d’Automne, 33 opere; 1905, Salon d’Automne, I opere; 1906, Salon d’Au tomne, 10 opere; 1907, Salon d’Automne, 56 opere; Galerie Bernheim Jeune, 16-29 giugno 1907, 79 acquarelli; Cézanne fu anche incluso da Bernheim Jeune in mostre collettive nel 1906 e 1907. Il mercante Ambroise Vollard, che aveva esposto opere di Picasso sin dal 1901, ebbe i maggiori quantitativi di opere di Cézanne in questi anni.
  • 5 I tratteggi a strisce delle Demoiselles, ed anche di alcune nature morte dell’estate 1907, derivano molto probabilmente dalla scultura africana; una porta Dogon in legno con questo tipo di striature entrò a far parte delle collezioni del Trocadéro nel 1906 (informazione gentilmente fornita da Jean Laude, Parigi). Vedi Marcel Griaule, Arts de l’Afrique no/re, Parigi, 1947, p. 65, tav. 53.
  • 6 Vedi D.-H. Kahnweiler, « Du temps où les cubistes étaient jeunes », L’Oeil, Parigi, 19 gennaio 1965, p. 28; cfr. anche il suo «Cubismi The Creative Years », Art Newn Annual, New York, 1955, p. 107.
  • 7 Vedi Douglas Cooper, Georges Braque, The Arts Council of Great Britain Londra 1956, p. 28.
  • 8 Vedi L’Intransigeant, Parigi, 20 marzo 1908; vedi anche The Architectural Record New York, maggio 1910, p. 405.
  • 9 Una cartolina illustrata di Picasso da La Rue-des-Bois a Gertrude Stein è datata 14 agosto 1908; corrispondenza Picasso-Stein, Yale University.
  • 10 Frase citata da Guy Habasque nel suo «Cubisme et phénoménologie », Revue d’Esthétique (Parigi), aprile-giugno 1949, p. 154, nota 1.
  • 11 Vedi Gertrude Stein, Autobiography of Alice B. Toklas, New York, 1933, p. 110; trad it. Autobiografia ai Alice Toklas, Torino, 1948; vedi anche Transition, N. 11, Parigi febbraio 1928, p. 91.
  • 12 Vedi Douglas Cooper, Fernand Léger et le Nouvel Espace, Ginevra, 1948, p. 36.
  • 13 Fu esposto per la prima volta al Salon des Indépendants, primavera del 1911.
  • 14 ouis Vauxcelles in Gii Blas, Parigi, 30 settembre 1911.
  • 15 Corrispondenza Picasso-Stein.
  • 16 In molte altre nature morte cubiste Picasso e Braque non dipinsero un clarinetto, come di solito è dichiarato nel titolo, ma un oboe.
  • 17 Informazione fornita a Douglas Cooper dall’artista. Ma questa natura morta è stata recentemente datata al 9 novembre 1912, basandosi sulla testimonianza di Picasso. Vedi David Duncan, Picasso’s Picassos, New York e Londra, 1961, p. 207; trad. it. / Picasso di Picasso, Milano. 1962.
  • 18 Vedi William Seitz, The Art of Assemblage, New York, 1961.
  • 19 Vedi Douglas Cooper, Georges Braque, Londra (The Arts Council of Great Britain), 1956, p. 34.
  • 20 Picasso usò un pezzo di carta incollata in un disegno del 1908 (Guggenheim Museum di New York, coli. J.K. Thannhauser; riprodotto in Zervos, op. cit., voi. 2, parte I, 66), ma fu per riparare il disegno. Al Musée des Beaux Arts di Strasburgo c’è un collage con un frammento di giornale, opera di Andre Utter (1886-1948), che abitò a Montmartre e conobbe Picasso. Il collage è datato erroneamente al 1909; il frammento di giornale è tratto da Le Journal, Parigi, del 14 marzo 1914.
  • 21 I ritagli di giornale in quest’opera sono presi da Le Journal, Parigi, 6 e 9 dicembre 1912.
  • 22 Una linea, o le dimensioni di un quadro, sono divise secondo la sezione aurea se la parte più piccola rispetto alla parte più grande è nello stesso rapporto esistente tra la parte più grande e l’intero; dando all’intero il valore di 1, la parte più grande equivale approssimativamente a 0,618. Vedi William Camfield, «Juan Gris and thè Golden Section », Art Bullectin, New York, marzo 1965, pp. 128-34.
  • 23 Gris e Matisse divennero amici nel 1914 e trascorsero insieme parte di quell’estate; in alcune delle sue opere successive, specialmente ne La Lezione di piano, del 1916, Matisse usò la sezione aurea.
  • 24 Vedi Daniel Robbins, « From Symbolism to Cubism: thè Abbaye of Créteil », Art Journal, New York, inverno 1963-4, pp. 111-16.
  • 25 Non c’è alcuna connessione con l’opera amonima di Maeterlinck del 1910.
  • 26 Vedi Judith Cladel, Maillol, Parigi, 1937, p. 127.
  • 27 Irene Patai, Encounters. The Lite of Jacques Lipchitz, New York, 1961, pp. 181-2.

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2 Comments

  1. Commento by irene — 5 Maggio 2009 @ 16:17

    interessantissimo ho scoperto cose che neanche immaginavo…non sarà un po lunghetto??’… qomunque lo consiglio alle persone che hanno almeno mezzoretta per leggerlo con calma se no non si capisce niente!

  2. Commento by irene — 5 Maggio 2009 @ 16:20

    il mio contatto è nene.95@tele2.it
    se vi interessa hihi!
    spero che mi serva per la verifica di arte…

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