ARTE: Domenico da Cortona
29 Settembre 2007
di Stelvio Mestrovich
[Alcune pubblicazioni di Stelvio Mestrovich: “Appunti di archeologia musicale”, Pagnini, 2002, “Il caso Palinuro”, Pagnini, 2003, “Venezia rosso sangue”, Flaccovio, 2004, “Delitto in casa Goldoni”, Carabba, 2007]
morì pazzo in una osteria Domenico da Cortona il pittore proteso verso il tavolino con il bicchiere in mano faceva una brutta impressione dimostrava più di sessant’anni e aveva solo quaranta primavere
io ero un suo confratello della Scuola Grande della Carità e ne raccolsi la confessione in punto di morte allorché mi fece cenno di sedermi accanto a lui era già ubriaco con la mano tremante imprecando stava cercando di buttare giù uno schizzo su un fogliaccio bianco ti voglio raccontare una storia una brutta storia mi alitò di vino rinunciando al disegno tacqui lui capì bevve per farsi coraggio tu sei un poeta e mi capirai l’arte in primo luogo poi tutto il resto amore e ricchezza giusto? il consenso non venne fu considerato scontato e continuò vengo dalla scuola di Pompeo Batoni ho imparato molto da lui e lungo è stato il tirocinìo ma il mio entusiasmo è sempre stato encomiabile ho lavorato tantissimo poi ho cominciato a dipingere in proprio aprendo una bottega a Lucca le mie tele avevano del buono ma ai nobili non piacevano così pure ai ricchi mercanti e nemmeno ai preti ero giovane incoscienza e genio procedono di pari passo…
non firmavo le opere ma un gatto nero era presente in ogni mio quadro più che un sigillo più che una firma ero io!… ho sempre amato i gatti neri…
si concesse una pausa per bere ingordamente fili di vino scesero lungo la barba sulla bazza mi unii in matrimonio con la figlia di Alvise Mansi, uomo ricco e potente lei di nome faceva Camilla non fu vero amore litigavamo spesso io non capivo lei e lei non capiva me la mia arte io non vendevo le mie opere facevo qualche lavoretto di restauro nelle chiese insomma ero povero in miseria e mia moglie mal sopportava questo genere di situazione non era una bellezza ma giovane sì e voleva divertirsi andare alle feste di carnevale in società a teatro in più era gelosa non voleva modelle tra i piedi e io… tracannò cinque dita di vino un giorno venne a trovarmi il padre di Camilla lei era scappata di nuovo a Segromigno in Monte nel palazzo paterno non lo vedevo dal giorno delle nozze Alvise esaminò tutti i miei dipinti sia quelli finiti sia quelli in lavorazione fece più volte il giro della bottega era elegantissimo pareva ringiovanito mi rimasero impressi i tratti del suo volto il grosso naso e gli occhi iniettati di sangue nel rivolgermi finalmente la parola palesò un sorrisetto beffardo
sentiamo pittore quanto quadri hai venduto finora?
neanche uno
è tutta qui la tua produzione?
sì
a casa tua c’è nulla?
qualche ritratto
e quella tela che guarda al Palazzo Guinigi?
piaceva a sua figlia e se l’è portata via
perfetto
si accomodò sull’unica poltroncina il suo sguardo non mi piacque per niente a che cosa mirava? che cercava lì? dove voleva andare a parare ?
illustrissimo Domenico da Cortona hai trovato un compratore
ma …
zitto! voglio l’intera produzione compresi i ritratti che tieni a casa e che mi firmi questa dichiarazione con la quale ti impegni a vendermi tutti dico: tutti i dipinti che farai d’ora in avanti nessuno escluso inoltre ti obblighi a non vedere mai più le tue tele che saranno custodite nella mia abitazione di campagna
per farmi intendere che non stava scherzando tirò fuori dal panciotto un sacchetto di monete d’oro mai visti tanti soldi tutti insieme e proponendomi il triplo del valore dei quadri che avrei eseguito di volta in volta bevve ancora si asciugò la bocca con il palmo della mano tremolante si schiarì la voce mi mancò il tempo di riflettere presi le monete e firmai il mio impegno Alvise se ne andò compiaciuto
il giorno appresso mandò a ritirare i quadri
mi sentii il contrario di prima ricco ma artisticamente depredato mi detti alla pazza gioia donne tante donne gioco d’azzardo feste casini cambiai dimora acquistai una carrozza ero ricco sfondato! ogni tanto il marchese Mansi bussava alla mia bottega quella era rimasta lì mi aveva portato fortuna o così credevo e consegnavo al suo servitore le mie tele e mio suocero mi pagava subito in tintinnanti monete d’oro e simile andazzo andò avanti per anni dipingevo bene badavo sempre di più alla qualità ma non avevo un mercato io avevo un unico acquirente mio suocero con lui andavo sul sicuro i lussi sfrenati erano assicurati e Camilla non si era fatta più vedere potevo vivere come diavolo mi piaceva
ma naturalmente tutto ha un prezzo
in veste di pittore come tale continuavo ahimé a spacciarmi non ero conosciuto solo qualche mercante d’arte si affacciava ogni tanto alla mia bottega ma io lo respingevo dicendogli che non creavo ma restauravo antiche tele semidistrutte dagli incendi non potevo farci niente mi consolava solo il fatto che le mie opere una vera collezione adesso riempivano le pareti della villa di campagna del marchese Mansi non dipingevo invano tempus fugit la gloria rimane certo che la bramosìa di fare una visitina a quella residenza di mio suocero crebbe di giorno in giorno ma la rimandai di mese in mese l’unica trasgressione che mi concessi fu quella quasi rubando a me stesso di farmi l’autoritratto lavorai di notte come un ladro poche ore ‘lui’ era capitato a controllare anche dopo la mezzanotte poi nascondevo la tela in una botola tra mille precauzioni
fu una sfida
quando terminai il quadro non stetti più nella pelle dalla gioia aumentai il tempo dedicato ai bagordi femmine di facili costumi vino fumo gioco il primo approccio con l’oppio tornato in bottega completamente ubriaco forzavo la serratura della botola e rimanevo intontito mezzo drogato a mirare il mio ritratto
un’altra persona
pochi giorni fa mi fu consegnata da un servo di Casa Mansi una busta sigillata all’interno della quale c’era una missiva di Camilla mi informava che il di lei genitore sino dal giorno della sua prima visita alla mia bottega e me lo comunicava con parole terribili nella loro semplicità aveva distrutto sistematicamente tutti i miei quadri tutti bruciati non se n’era salvato neppure uno …
la vendetta del Marchese Alvise Mansi.
Camilla chiudeva la lettera implorando il mio perdono
perdono d’artista
Domenico da Cortona morì tra le mie braccia dopo la confessione all’osteria vicino alla sua bottega pazzo dicono disperato correggo io
dopo due giorni un tizio mi portò un quadro era incartato
si trattava dell’autoritratto di Domenico.
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