PITTURA: I MAESTRI: Il genio Brueghel6 Novembre 2013 di Franco Russoli Bruxelles, ottobre. Nel settembre del 1569, al Âl’età di circa quaranta Âcinque anni, moriva a Bru Âxelles uno dei geni della pit Âtura di ogni tempo: Pieter Brueghel il Vecchio. Per com Âmemorare il quarto centena Ârio della sua morte, i Mu Âsei reali del Belgio hanno or Âganizzato, in maniera esem Âplare, una esauriente mostra storico-didattica, articolata con riproduzioni fotografiche e tavole sinottiche e pannel Âli esplicativi circa la cultu Âra e la tecnica del maestro intorno alle poche splendide opere autografe conservate nello stesso museo di Bru Âxelles. Il disappunto di non poter ammirare e studiare, direttamente, i capolavori del Brueghel sparsi per il mon Âdo, è facilmente vinto quan Âdo si consideri l’opportunità di non esporre ai rischi dei trasporti quelle opere spes Âso fragilissime. Gli originali esposti hanno tale importanza di rife Ârimento culturale e tale po Âtenza di poesia, e la struttu Âra della mostra didattica il Âlumina con tale chiarezza e acume la vita, l’ambiente storico, l’iconografia, la tec Ânica e la fortuna critica del Âl’artista, che l’esposizione « Brueghel e il suo inondo » si afferma come un esempio di ricerca e di divulgazione culturale, che auspichiamo possa esser seguito spesso in altre occasioni. Il grande suc Âcesso di critica e di pubblico della manifestazione testi Âmonia la giustezza e l’utilità di simile impostazione. L’apparato documentario della mostra dei Musei reali ci consente di seguire la vita di Brueghel: la sua ammissione nella corporazio Âne dei pittori di Anversa nel 1551, il suo lungo viaggio at Âtraverso la Francia, i Can Âtoni svizzeri e le Alpi e l’Ita Âlia, dove si era spinto sino in Sicilia, e dove, a Roma, aveva soggiornato e lavora Âto, godendo l’amicizia e la collaborazione del già anzia Âno pittore Giulio Clovio, tra il 1552 e il 1554. Poi. nel 1555-56, l’edizione, ad Anver Âsa, dei Grandi Paesaggi, in Âcisi da suoi disegni nell’of Âficina di Jerome Cock, per le cui edizioni disegnò an Âche, negli anni tra il 1556 e il 1560, le composizioni da cui furono tratte le stampe dei Sette peccati capitali e delle Sette Virtù. Ecco ricor Âdata la sua amicizia con i grandi geografi Scipio Fabius di Bologna e Ortelius di Anversa, e, nel 1563, il suo matrimonio con Mayken Coeck, figlia di Pieter Coeck, nel cui studio di pittore for Âse egli aveva fatto apprendi Âstato, e il trasferimento a Bruxelles, dove era tenuto in grande considerazione. Nel 1564 nasceva Pieter Brueghel il Giovane, det Âto « degli Inferni », e nel 1568 il secondo figlio Jean Brueghel «dei velluti », dai quali sempre più si diramò il foltissimo albero genea Âlogico dei pittori Brueghel, Teniers, van Kessel. La fama aveva già toccato Pieter Brue Âghel prima della sua mor Âte: nel 1567 il Guicciardini lo ricorda nella sua Descritione di tutti i Paesi Bassi, e nel 1568 il Vasari Io men Âziona nella seconda edizione delle sue Vite. Una fama so Âprattutto affidata alla dif Âfusione delle sue stampe, le quali facilmente rimandava Âno, per la fantasia e lo spi Ârito caricaturale delle im Âmagini, alle influenze da Bosch. Le sue pitture infat Âti, come ha notato il Grossmann, erano eseguite per privati mecenati e per ami Âci, non figuravano in luoghi pubblici, e soltanto una co Ânoscenza diretta di esse po Âteva mettere in luce la ecce Âzionale originalità concet Âtuale e l’autonomia lingui Âstica di Brueghel in rapporto alla tradizione delle fantasie moralistiche e satiriche della cultura figurativa di Bosch e di altri maestri dei Paesi Bassi. Al chiarimento di questa nuova e geniale inter Âpretazione bruegheliana dei motivi letterari e ideologici del repertorio iconografico della tradizione fiamminga e olandese del tempo, come a quello dei suoi rapporti sti Âlistici con l’arte italiana, la mostra dedica sezioni di pre Âcisa documentazione. Ugualmente fa per illustrare la diffusione del suo stile, il proliferare delle copie e del Âle imitazioni variate delle sue opere che, ricercatissime, erano ormai accaparrate da pochi collezionisti, tra i quali varrà ricordare Rubens e Rodolfo II d’Austria. In Italia, agli inizi del ‘600, il conte Masi di Parma possedeva i due capolavori, La Parabola dei ciechi e II Mi Âsantropo, che, passati per confisca ai Farnese, figurano oggi tra le glorie del Museo di Capodimonte a Napoli. Anche Federico Borromeo de Âsiderava avere qualche ope Âra del maestro, e nel 1609 ne aveva fatto richiesta a suo figlio Jean, il quale non poté far altro che inviargli un monocromo di sua pro Âprietà , quel Cristo e l’Adul Âtera, che appartiene ora a Lord Seiner, ma una versio Âne del quale, di qualità tan Âto alta da dover essere rite Ânuto un autografo, si trova ancora più vicina a Milano, alla Accademia Carrara di Bergamo. Per ben chiarire il problema delle copie, già ese Âguite in famiglia dai figli del maestro, e per capire a fondo la tecnica meraviglio Âsamente varia e pur fonda Âmentalmente coerente del maestro, che dipinse a acque Ârello, a tempera su tela e su tavola â— anche su piatti o taglieri di legno, come nel caso dei Dodici proverbi del Museo Mayer van den Bergh di Anversa â—, con impasti e alluminature e velature sot Âtilissime, la mostra produce un chiarissimo discorso tec Ânico, con fotografie a raggi infrarossi, con radiografie, con ingrandimenti di parti Âcolari dei supporti e della stesura pittorica, con rela Âzioni sulle operazioni di re Âstauro e pulitura, come nel caso della danneggiatissima Adorazione dei Magi. Offre insomma tutti gli strumenti per entrare nel « laborato Ârio » artigianale di Brueghel, come per avvicinarci al suo mondo morale e fantastico, al suo ambiente sociale. Quanto alla sua poesia, la parola passa alle opere stesse, dalla sua più na Âturale visione della realtà umana e paesistica quando si rifà a Bosch nella Adora Âzione dei Magi, alla immer Âsione del fatto mitico nel corso esistenziale delle ope Âre e dei giorni dell’uomo, nella pace indifferente della natura, quale è cantata nel Âla Caduta di Icaro. Il rife Ârimento a Bosch è immedia Âto anche per La caduta degli Angeli ribelli, sia per la scatenata fantasia delle fi Âgurazioni simboliche e mo Âstruose, sia per i moduli sti Âlistici: ma è nuova e origi Ânale la gamma di colore vivo e luminoso, che rende più diretta e cordiale l’individua Âzione dei protagonisti del sabba tragicomico. Infine, nella scena biblica del Censimento a Betlem Âme, tra le nevi della campa Âgna fiamminga, e nella cro Ânaca paesana del Corteo di nozze abbiamo due esempi rivelatori del grande, moder Âno «realismo umanistico » di Brueghel, che fonde in un unico respiro, in sintesi origi Ânaria, il mito e la verità quotidiana, il simbolo e la descrizione oggettiva, nella vasta serenità di un natu Âralismo religioso, che iden Âtifica il microcosmo al ma Âcrocosmo, che, con sorriden Âte dissacrazione, eleva a eter Ânità ideale gli aspetti quo Âtidiani della vita, pone il la Âvoro ambizioso e glorioso dell’individuo e della socie Âtà , le sue imprese, come La torre di Babele, in rapporto alla misura tanto superio Âre, intoccabile, dell’Universo creato. Sì che la vita degli umili, nel suo aproblemati Âco scorrere di banali vicende di gioia e di dolore, di lavori e di giochi, di saggez Âza popolare, pulsa all’uniso Âno con l’immutabile divenire della Divina Natura. Letto 3133 volte.  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