ARTE: I MAESTRI: Importanza di Mafai25 Febbraio 2011 di Cesare Brandi Roma, febbraio. Questa mostra di Mario Mafai che l’Ente Premi Roma ha organizzato, avrebbe dovuto essere fat ta dalla Galleria nazionale di arte moderna, poi im provvisamente dirottata a palazzo Barberini. Non ne faremo un caso di Stato: ma è certo che, almeno co me mostra riassuntiva del nobilissimo artista, che non era stato trattato bene, neanche in morte, tanto a Venezia che a Roma, la Galleria nazionale avrebbe significato una celebrazio ne diversa: quella che, per varie ragioni, l’artista non ebbe mai in vita, ancorché sia stato il maggiore che Roma in questo secolo ab bia prodotto e rappresenti una figura centrale della pittura italiana fra il 1930 e il 1950. Poi ci furono quegli slittamenti program matici, che non spensero l’artista, ma gli cambiaro no fisionomia: patetici qua dri con i nodi di corda, come tolti dal collo di un impiccato. La mostra che è stata messa insieme conta 125 di pinti e purtroppo non al linea i disegni. Ma certo, anche così ridotta, dà una idea adeguata dell’artista, che, per i giovani d’oggi, sembrerà venire più da lon tano delle date, mentre a noi, che l’abbiamo cono sciuto e apprezzato fin dai primi anni, appare con la fermezza di un mondo for male che si solleva dal suo tempo, anche se nel suo tempo affonda le radici. E a questo proposito non bi sogna dimenticare che la contestazione al fascismo è insita nei suoi quadri fin dalle famose demolizioni, che si andavano facendo a Roma intorno all’Augusteo, e che a Mafai, romanissimo e libertario, due volte cuocevano. Più aperta ancora la cri tica, e più radicale, nelle splendide fantasie, paralle le alle crocifissioni di Manzù: le più alte espressioni, infine, di quella protesta al fascismo che covava sotto la cenere, sotto troppa ce nere. Che questo sia stato il più bel periodo di Mafai, non credo possa essere dubbio: ma non si può non sottolineare quell’alba ro sea che furono i bellissimi quadri del ’33-’34, le donne che stendono i panni al so le, il nudo coricato sul di vano, le donne che si spo gliano, il ritratto di Anto nietta, per non dire dei fa mosi fiori secchi, dei pae saggi romani. Alba rosea, s’è detto, per quei nudi rivelati in una luce fresca, in un’aria leg germente appannata, dove, con una felicità di improv viso risveglio, la lezione impressionista, che Mafai aveva ricevuto a Parigi nel 1930, si decanta alla luce, al colore di posizione di Morandi. Da questa cultu ra di base la pittura di Mafai ebbe come un guiz zo, una straordinaria im pennata. Entro tale aura doveva recuperare a poco a poco dei colori tutti suoi, quel lilla soprattutto, gli azzurri, certi rossi infuoca ti, come fa la fiamma su un volto giovanile, e i suoi verdi smorti, ancora più smorti dei fiori secchi che rappresentavano. Era una gamma stregata, che tra scinava connotazioni effet tive sue e tante ne suscita in chi lo conobbe. Ma an che chi non lo conobbe, di fronte a questi quadri, che invecchiano bene, si depo sitano sulla tela con lim pidezza, mentre c’era da temere che scurissero, non potrà non sentire l’auten ticità del pittore, che tro va la conferma proprio in questo fatto che solo ai grandi coloristi appartiene, di legare a sé un colore, una sfumatura, come una firma. La sua fantasia, su un fondo melanconico, produ ceva incantevoli e inattese divagazioni,, conferiva agli oggetti significati segreti, ma sempre contenuti in un ambito figurativo: le tube, i manichini da sarta, le opaline blu, i peperoncini. La sua conversazione era altrettanto svagata, ma con dei punti fermi, dei giudizi precisi come timbri. Il suo studio, in un disordine esemplare, evocava il tro varobe e l’accampamento degli zingari, ed egli ne traeva degli stracci che diventavano pittura, quasi come il vino, che ha lo spunto, riesce a divenire aceto, e allora è aceto e non più vino. Così questa natura in frantumi, dalle case demolite agli stracci, appena subisse l’intensifi cazione della pittura. Ora che la pittura velocemente è scomparsa, come per una improvvisa falla aperta nella nostra civiltà, l’esempio di questa pittura-pittura dovrebbe rinnovare l’interesse per il gentilissimo ar tista romano, nel senso non già di conferirgli un’attua lità nuova, ma in quello di restituirgli il suo posto nel la storia della pittura del Novecento, un posto non da comprimario ma da pittore autentico : né sono molti, appena quattro o cinque, di cui, per quel tempo, si può dire lo stesso, in Italia almeno. Letto 2075 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||