ARTE: I MAESTRI: Le Mura. Ci difenderanno ancora11 Giugno 2014 di Pier Carlo Santini Lucca, luglio Poche diecine di metri separano la stanza dove sto scrivendo dal baluar do di San Pietro nelle mura di Luc ca. Lo guardo che giace oltre un fossatello nel verde ancor tenero dell’er ba appena falciata, e ne sorge impo nente, coronato da altissime piante secolari. Più oltre, la linea arborea ondeggia allontanandosi e si dilata compatta su altri bastioni fino a chiu dere un tratto di cielo. Su questa mu raglia continua avrebbero dovuto in frangersi â— e si sarebbero infranti â— gli assalti dei vicini perennemen te ostili. Ma assalti non ve ne furono, e le ormai anacronistiche mura fini rono per proteggere la città solo da una spaventosa alluvione, nel 1812, durante la quale il Serchio superò gli argini e dilagò nella pianura. Le por te furono chiuse e “stoppate” e res sero alla pressione delle acque. Eli sa Baciocchi, granduchessa di Tosca na, accorse a Lucca e poté entrarvi con l’aiuto di una gru che la sollevò oltre la cinta. Ma i buoni antichi, che verso la fine del Cinquecento, confortati e assistiti da un folto gruppo di ingegneri e di tecnici, spesero ben 900.000 scudi per il colossale lavoro, non avrebbero mai sospettato quale servizio stavano compiendo per il lontano futuro del la città. Oggi si può tranquillamente affermare che Lucca si è salvata, al meno quale eccezionale complesso ur bano, grazie alla presenza e alla pro tezione delle sue mura. Non sareb bero bastati né la volontà di pochi né l’amore di molti; non sarebbero bastate le leggi né la inerzia demo grafica della città. Si sarebbero veri ficate tangenze, infiltrazioni, sostituzioni, ammodernamenti; si sarebbero avuti sventramenti e “correzioni” via rie in un tempo in cui per malintesa modernità sembrò ad alcuni indila zionabile la immissione del traffico motorizzato attraverso la serrata ma glia dei percorsi medioevali. Ma la prima condizione perché tali “in terventi” potessero apparire in qual che modo giustificabili e materialmen te possibili era l’abbattimento delle mura. E fino a tanto non si arrivò. Le mura rimasero a distinguere l’ordi ne e la bellezza del centro storico dal disordine e dalle battute degli imme diati dintorni: dentro, l’armonia; fuo ri la confusione e l’impotenza. Sulle loro mura, oggi, i lucchesi so stano e passeggiano tranquillamente, come hanno sempre fatto, nei buoni pomeriggi d’inverno e nelle tiepide sere d’estate. Sanno che non solo ne è garantita la integrità monumentale, ma che si procede gradualmente al ripristino dell’interno dei baluardi. Le gallerie, i passaggi, i cortili, i cunico li, le grandi aule dalle volte solenni che suscitano piranesiani ricordi, vengono sgomberati, ripuliti, impermealizzati, dotati di una modica quanto drammatica illuminazione. Ä– una esperienza nuova per tutti, indimenticabile. Si compie una sorta di autopsia che fornisce dati di eccezionale interesse non solo per gli studi loca li, ma più in genere per la conoscenza della tecnica di difesa delle città storiche. Ora, in questi ambienti a lungo degradati a depositi e magazzini, si celebra con una mostra articolata in tre distinti episodi l’epopea secolare, complessa e grandiosa delle fortifica zioni in tutto il mondo. Il “Centro internazionale per lo studio delle cer chia urbane” che ha ordinato la rassegna (ottimamente allestita dagli architetti Gizdulich, Bedini e Marchetti) non ha inteso comporre un panorama sistematico ed esauriente, ma piuttosto fornire una ricca antologia di esempi dai più noti e studiati ai meno conosciuti. Sono documentate 88 città, da Angoulíªme a Elvas, da Avi la a Carcassonne, da Cesarea a Vi sby, da Gerona a Roma, da Bellinzona a Colchester. I materiali illu strativi sono generalmente buoni, con punte di eccezionale nitidezza e sug gestione.
Una storia tutta da fare
La storia delle mura, almeno su basi moderne, è ancora tutta da fare, nonostante le utili sintesi sia italiane che estere già pubblicate. Credo che ciò dipenda essenzialmente dal fatto che nelle mura si può identificare la storia stessa delle città, anche se vista sotto uno speciale angolo visivo; soprattutto dal Cinquecento in poi quando la progettazione e la costruzione delle cinte murate è da considerare fra gli atti iniziali che denotano il sorgere di una nuova concezione urbanistica. In sostanza, le mura possono essere studiate in vario modo e con interessi diversi: o quali documenti della storia civile e politica delle città e delle nazioni; o quali testimonianze dello sviluppo delle tecniche militari e belliche; o quali esempi di architettura, a ugual titolo di palazzi e cattedrali; o quali elementi del paesaggio urbano, tra i più importanti e distintivi anche per l’imponenza della mole che ne rende la “presenza” incancellabile nei contesti panoramici a lunga e a breve distanza. Città come Avila o Carcassonne, Aigues Mortes o Naarden, Neu Breisach o Cortona debbono ancor oggi alla esistenza delle mura la loro distinta fisionomia, il loro “essere città” in quel certo modo, anche là dove le mura escono dal campo visivo. Oggi non sono più molte, ma un tempo furono moltissime, a creare ambienti che apparirebbero a noi assolutamente favolosi. Ma era fatale che nel concerto molteplice degli elementi urbani, le cinte murate perdessero completamente la originaria funzione. Si ritiene da alcuno che la loro capacità di difesa sia stata sempre molto modesta. Ma non c’è nulla di più inesatto. Attorno a Metz, nel 1522, i 15.000 armati di Carlo V stanno per due mesi inutilmente e sgombrano infine scoraggiati; a Leida gli spagnoli, nel 1574, dopo quattro mesi di inutile assedio sgombrano dal campo inondato; Ostenda resiste oltre tre anni e cede, infine, al famoso Spinola che “sembra avesse subappaltato la conquista”. Gli Ugonotti di La Rochelle costano a Richelieu 40 milioni di franchi, un anno e mezzo di assedio, e cedono solo per fame. A ragione il Cassi Ramelli precisa che il castello “costituisce organismo militare inadatto a vivere se non diventa perno di una decisa continua attività offensiva cui è chiamato a garantire soltanto base di manovra, ridotta tranquillante per organizzare o accumulare forze, copertura momentanea e recupero nel caso di rovesciamento della situazione. Chi vi si chiude dentro, sperandone eterna sicurezza, chi si illude che la passività propria serva a qualcosa, chi comincia a sopravvalutare il tempo perduto, soffre poi, a lungo andare, del logoramento naturale, della continua ansia nervosa, del complesso negativo di chi segue abulico e incerto e subisce soltanto la iniziativa avversaria. La fortificazione è insomma uno strumento e soltanto come tale va intesa in senso bellico. Non costituisce un contratto assicurativo contro la sconfitta”.
Lucca deve servire da esempio
Ma oggi, nell’età atomica, che cosa significano le mura? A Vienna, a Parigi e ben altrove le mura sono state abbattute. A Roma è successo lo stesso per ampi tratti della cerchia aureliana. Dovunque, le metropoli non sono riuscite a conciliare la spinta espansiva con la permanenza di un organismo che sembrava intralciarla, e che invece in molti casi avrebbe potuto con la sua stessa presenza avviare e orientare nel giusto senso i problemi della crescita urbana, isolando il nucleo o i nuclei antichi e indicando esplicitamente i termini per la loro conservazione e riqualificazione. Quello che non è riuscito alla metropoli è riuscito per ovvie ragioni ad alcuni dei centri più piccoli che hanno conservato con le mura una fra le testimonianze più preziose della loro storia. Ma le mura superstiti corrono pericoli continui soprattutto là dove meno integre sono le loro strutture. Gli strumenti giuridici per salvaguardarle sono ormai sufficientemente affinati. Ma il problema della loro sopravvivenza, quasi dovunque, è strettamente connesso al modo, al giusto modo, di prevedere e coordinare l’espansione della città, senza degradare i centri storici e senza renderli cristallizzati e inerti. Amministratori e architetti debbono quindi prender cura delle cinte murate, soprattutto là dove il loro anello, ancora mirabilmente si chiude senza interruzioni o fratture. Può aver valore conservare delle reliquie, dei brandelli, dei frammenti anche modesti. Ne ha moltissimo evitare che manomissioni e sgretolamenti compromettano esempi che sarebbe improprio considerare soltanto come testimonianze documentali. Ci sono problemi di destinazione, di recupero, di restauro spesso assai delicati. Si tratta in definitiva di saper collocare le mura in più ampi contesti nuovi, dotandole di funzioni nuove, consone con la nostra vita attuale. Se è sbagliato non far nulla, può essere sbagliato far troppo, come la mostra di Lucca ampiamente comprova, in tutti i casi, ad esempio, dove la mentalità “turistica” ha finito col prevalere. Proprio Lucca può fornire insegnamenti esemplari. Le sue mura sono lo specchio più fedele del suo sviluppo urbano che non si è mai fossilizzato in una situazione archeologica. Sulle mura di Lucca, oggi, ogni cittadino passeggia e ha i suoi momenti di poesia.
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