PITTURA: I MAESTRI: Michele Cascella12 Giugno 2014 di Dino Buzzati A settantasette anni trepi dante e inquieto come un ra gazzino, quasi fosse la sua pri ma mostra e non ne avesse in vece fatte ormai centinaia in ogni parte del mondo, ieri, in mezzo a questa parete, era so speso un bellissimo San Cle mente di Casauria, oggi c’è una giovinetta distesa. E’ stato lui, « zio Mec » (Mecchele Cascella, all’ortonese) che ha ese guito di soppiatto la sostituzio ne, ma non è ancora tranquil lo. « Tu che ne dici? La toglia mo o la lasciamo? ». « Mah â— faccio io perfidamente â— quasi quasi la toglierei ». Ed ecco che Cascella si precipita di là, nel magazzino, e ne ritorna con una grande Ortona sotto la neve che mette i brividi tanto è per corsa da gelidi venti. Sono ben 145 opere tra pa stelli, acquarelli, tempere ed oli, che tutti non ci stanno nella pur vastissima galleria Levi in via Montenapoleone 12, così che ne verrà fatta una rotazione. Più una trentina di disegni gio vanili, esposti nell’altra piccola galleria adiacente. Sessant’anni di lavoro, perché si comincia dal 1907. Ed è qui, per i dise gni e i quadretti di ragazzo, che la modestia accenna a ve nire meno. « Guarda ‘sti fií³ri, che ne dici?, eppure Morandi non esisteva ancora. E questo, dico, se portasse la firma di Klee … ». C’è il gusto, l’aria del l’epoca, eppure si vede a poco a poco spuntare il personalissimo stile; ed ecco, del 1923, una penna-acquarello ormai ti picamente cascelliana, con quei tratti mossi e vibrati che fan no da telaio al colore, e che si ritrovano anche negli ultimi dipinti. E’ così nota, soprattutto a Milano, la pittura di Michele Cascella che si può dire entra ta addirittura nel nostro costu me. Ma, guardando i quadri fatti negli ultimi tempi in Fran cia e in California, ho capito per la prima volta una cosa: si tratti di una strada di Monterey o dell’avenue dell’Opéra, si sente che il pittore non so lo ha visto e assimilato le ap parenze visibili del luogo, ma ci è vissuto. Possono esserci dei paesaggi dipinti stupendamen te ma soltanto come puro fat to pittorico, senza questa par tecipazione personale. La quale conferisce alla visione un par ticolare incanto che si può de finire intimità. Tutto ciò avviene grazie alla meravigliosa naturalezza del l’uomo e dell’artista Michele Cascella, il quale ha girato e gira per il vasto mondo ma non si camuffa né si mimetiz za in alcun modo, non posa a cosmopolita, non fa il minimo sforzo per imparare la lingua del posto o per attenuare l’accento abruzzese. Insomma è sempre rigorosamente lui, Mec, o Michelone, o Mister Chescila, o Monsieur Caselà, e questa mi racolosa disinvoltura o disponi bilità umana che è insieme clas se, semplicità d’animo e forse anche orgoglio, fa sì che in qualsiasi contrada straniera egli si trovi subito a suo agio e pos sa appunto dipingere piazze, case, campagne e marine come se ci avesse passato lunghi e lunghi anni di vita, di sentimen ti e di lavoro. E i suoi quadri, di conseguenza, danno un suo no autentico e singolarmente cordiale. Della stessa impavida schiet tezza è tutta nutrita l’autobio grafia stampata da Garzanti con prefazione di Leonardo Borgese, in coincidenza con la grande mostra milanese e che gli amici aspettavano da molti anni: « Forza zio Mec ». Inten diamoci, la ingenuità, l’inespe rienza della penna fa addirit tura tenerezza in confronto alla bravura del pennello. Ma proprio il candore è l’at trattiva del libro, in cui si al ternano continuamente le re centi esperienze americane coi ricordi d’infanzia e di giovinez za, dominati dalla grande figu ra del padre, Basilio, pittore, come erano artisti anche i fra telli Gioacchino e Tommaso, e sono artisti i nipoti Pietro e Andrea. « Alla mia età â— scri ve Cascella â— mi sento final mente libero, credo di potermi voltare indietro con sufficiente obiettività, di avere imparato a considerare serenamente i fat ti e le cose, senza cioè dovermi rimirare allo specchio, come un attore prima del suo ingresso sulla scena ». Ed è vero. Innumerevoli, naturalmente, in questa « lunga inchiesta sul passato », gli episodi, singolari, comici o patetici. Di gran lun ga il più bello è la storia di un grande quadro che il padre, nel 1904, mandò alla Biennale di Venezia. Basilio ci aveva lavo rato un paio d’anni. Era inti tolato II bagno della pastora e la moglie aveva posato nuda per lui, protetta da un recinto costruito apposta nello stabili mento cromolitografico Cascel la di Pescara. Come pastore in vece aveva posato Vincenzo Bucci, scrittore abruzzese che fu poi per molti anni critico d’arte al Corriere della Sera. Era una tela di dimensioni imponenti che sembrava pro mettere giorni di gloria. Fu la boriosamente imballata, e il giorno della spedizione ci fu una piccola festa in famiglia con fiaschi e « pizzelle ». Dopo diché cominciò l’attesa. Ma da Venezia non arrivò nessuna notizia. E « tutte le ri cerche si insabbiarono ». Letto 1393 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||