ARTE: I MAESTRI: Pietro Gonzaga: Un artista veneto che dominò il teatro russo4 Luglio 2014 di Vittore Branca «Negli spettacoli d’oggi, tutti audio-visuali, è ben difficile di stinguere precisamente quello che si deve agli orecchi e quello che si deve agli occhi, data la simultaneità delle impressioni auditive e visive ». Non è questa un’affermazione della cultura d’oggi, che ritiene di avere sco perto l’importanza dei cosid detti mezzi audio-visivi. E’ una osservazione fatta centosessant’anni fa, in un’operetta prati camente sconosciuta (non ne esiste, a quanto risulta, copia in Italia), scritta in un francese bizzarro a Pietroburgo dal veneto Pietro Gonzaga, vero do minatore dei teatri russi nella loro età più splendida â— quella della grande Caterina e del vin citore di Napoleone, Alessan dro I â— vero interprete nello spettacolo, della suggestiva e rinnovatrice lezione degli acuti teorici veneziani, dal funzionalista Lodoli al polemico Seriman, e dei raffinati «vedutisti » lagunari, dal Canaletto al Guardi. Era proprio quella l’età della grande e generosa diaspora ve neziana: quando prima con lo Zeno a Vienna e con l’Algarotti a Pietroburgo e a Potsdam e col Canaletto a Londra, e poi con il Piranesi a Roma, con il Tiepolo a Madrid, con il Bellotto a Dresda e a Varsavia, col Goldoni a Parigi, col Da Ponte a Vienna e a Londra, la Serenis sima nel suo stesso tramonto sembrava trasformare le linfe più vitali della sua splendida e secolare civiltà. Pietro Gonzaga, nato a Longarone nel 1751, allievo a Ve nezia di maestri canalettiani, « scenografo principale » alla Scala fra il ’79 e il ’93, esecu tore di famose messe in scena in varie città d’Italia e di quel la celebratissima per l’inaugu razione della «Fenice » nella sua Venezia (16 maggio 1792), era stato chiamato nel giugno del ’92 a Pietroburgo come « peintre en chef avec autorité sur les autres peintres » dei teatri imperiali di tutte le Russie; e per quasi trent’anni (fino alla morte nel 1831), si affermò come il dittatore auto revolissimo dei teatri non solo imperiali, ma di quelli privati di vari principi. Furono le sue eccezionali doti di architetto, di pittore, di scenografo a imporlo come il mago che sapeva crea re l’ambiente â— esterno e in terno alla scena â— più proprio e più suggestivo per gli ele ganti rabeschi sentimentali del Metastasio, del Goldoni, del Da Ponte, per le fantasie mu sicali â— sognanti ma alle volte già chiaroscurate da ombre romantiche â— del Paisiello, del Cimarosa, del Mozart, del Che rubini. Interprete geniale Ma è soprattutto la chiara e rinnovatrice coscienza della ne cessità di operare nello spetta colo una sintesi delle varie espressioni artistiche (auditive, visuali, mimiche) che lo fece allora acclamare come il più geniale interprete delle teorie illuministiche e roussoviane per il teatro; e lo deve far oggi considerare un precursore sin golarmente antiveggente di quell’arte che ai nostri giorni si è affermata col nome di «regìa ». Di questa sua singo lare e profetica visione dello spettacolo parlano non solo le fascinose e calibratissime sce nografie esposte ora alla Fon dazione Giorgio Cini di Vene zia (con una serie di ben cin quanta giunta dall’Ermitage), ma soprattutto i suoi scritti, rarissimi e obliati, che confidiamo saranno prossimamente editi da Maria Teresa Muraro, la in telligente e accurata autrice della Mostra e del bel catalogo Già il titolo di un opuscolo pubblicato a Pietroburgo nel 1800, La musique des yeux ou l’optique théàtrale, insieme con l’integrazione illuministica del la visione artistica con la visio ne scientifica, rivela la centra lità che la sintesi audio-visiva dello spettacolo aveva nella teo ria e nella pratica teatrale del Gonzaga. Egli non afferma solo â— alla Lodoli â— l’esigenza di una « funzionalità » della scena nei confronti della musica e dei cantanti, ma introduce risolu tamente i rinnovatori concetti della « fisionomia dei luoghi » e della « mimica degli edifici » â— alla Milizia â— come « arti creatrici del bello visibile »: inten dendo con questi termini le po tenti suggestioni che l’ambiente e la scena possono esercitare tanto sul pubblico quanto sugli attori. « Mi sembra persino (scrive riprendendo lucidamen te l’idea nell’operetta pietroburghese del 1807, Information à mon chef ou Eclaircissement convenable du décorateur théàtral) che l’elemento visivo ab bia effetti maggiori di quello auditivo. Lo stesso grido che è orribile nell’oscurità della not te non è più tale quando è sen tito in pieno giorno. E che differenza tra lo Stabat mater di Pergolesi cantato in una sala e l’effetto che produce in Vatica no, quando risuona nella pom pa solenne di un ufficio fu nebre! ». Ed elevando a teoria le sue osservazioni prosegue: «Io sen to che l’aspetto generale della scena, che accoglie e contiene lo spettacolo, può veramente di venire espressivo esso stesso, e così annunciare, preparare, se condare, rafforzare le passioni espresse dalla poesia, dalla mu sica, dalla mimica… Tutto av viene nello spazio e nel tempo: e per questo gli spettacoli hanno una loro dimensione e una loro durata. L’arte del musici sta regola tutto quello che si svolge nel tempo, l’arte dello scenografo tutto quello che av viene nello spazio: l’uno armo nizza la successione e le rela zioni di tutti gli elementi audi tivi, l’altro le proporzioni e i rapporti di quanto contempora neamente è visibile… Il grande segreto dello scenografo è di sapere combinare gli elementi gli uni accanto agli altri, come il musicista li sa armonizzare gli uni dopo gli altri ». Così la funzione che la scenografia, pro prio come luogo di incontro di arti diverse nella contempora neità dello spazio reale, viene assumendo in quegli anni, può avere geniale e splendida attua zione per opera del Gonzaga. Modernità impressionistica Memore della grande lezione dei vedutisti veneziani, il Gon zaga afferma però che lo sce nografo deve far ricorso soprat tutto all’« evocazione » più che all’« imitazione esatta » (quella « dura e secca » dei tedeschi), alla « sensiblerie » più che alla « rationalité »: «II tremor del l’aria e le bave di nebbia che circondano o penetrano i luoghi o gli oggetti, con i loro toni az zurrastri o rossastri, rivelano all’occhio â— secondo i riflessi della luce che scivola su di essi â— contorni più decisi o più in decisi, che fanno quei luoghi e quegli oggetti più vicini o più lontani… Se lo scenografo av verte questo e sa che la luce è il veicolo stesso della visione, quella che scartando i sensi più grossolani può giungere rapida mente allo spirito e produrre effetti simili al più puro senti re, egli farà colla luce inten dere immediatamente l’essenza e la totalità dei rapporti ». E’ proprio quella soluzione pittorica e luministica di ogni elemento prospettico e spaziale in cui la critica riconosce oggi la miracolosa « modernità » impressionistica della pittura veneziana. E’ in questa sensibilità precocemente romantica che si può affermare anche l’idea della« regìa » teatrale, come fatto centrale dello spettacolo: «Una attrice appare sul palcosceni co per recitare il suo monologo sulla perdita di un amante ado rato. Ella può ottenere l’effetto con la forza delle parole; ma se aggiungerà il pallore del vi so, il languore degli occhi, lo squallore dei capelli disciolti e tutta una dolente negligenza dell’acconciatura, ella moltiplicherà l’efficacia della sua espres sione e sollecitando anche visi vamente i nostri sentimenti col pirà più fortemente la nostra sensibilità. Se poi lo scenogra fo sa veramente armonizzare tutto lo spazio visibile che la circonda, e diffondere attraver so di esso il pallore e la malin conia su tutta la scena, allora tutto quello che è visuale si ac corda e si fonde mirabilmente con l’elemento auditivo: l’im pressione generale è allora più completa e l’effetto che ne ri sulta più intenso e più profon do… Grazie alla mia arte le passioni invadono così tutta l’ampiezza della scena, si im primono su tutte le superfici delle quinte, e si esprimono così pienamente come attraverso gli atteggiamenti e i visi degli at tori: con la stessa forza che nelle parole, con un’evidenza anche maggiore che nella musica » E conclude il Gonzaga con un gesto di chiara consapevo lezza: «On m’a souvent rendu cette justice, de laquelle je suis très flatté et un peu fier ». Letto 1749 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||