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ARTE: Il Surrealismo: I MAESTRI: Il manifesto e il movimento #2/7

8 Luglio 2008

[da:   Patrick Waldberg: “Surrealismo”, Mazzotta, 1967]

Nel 1924 comparve il Manifeste du Surréalisme di André Breton. Questi vi condensava le aspirazioni di un gran numero di giovani artisti: in primo luogo di quelli di Littérature, per i quali il testo esprimeva una realtà ormai quotidiana, poi di quelli che vennero ad aggiungersi al « movimento » e ad arricchire le fila de La Révolution surrealiste ed infine dei simpatizzanti, dei curiosi, degli interessati, che costituirono la prima udienza di questa nuova Weltanschauung.
La fantasia, la follia, il sogno, l’abbandono alle forze tenebrose dell’inconscio, il ricorso al meraviglioso sono contrapposti e preferiti a tutto ciò che derivi dalla necessità di un ordine logico, dalla razionalità. « Cara immaginazione – scrive Breton – quello che più amo in te è che non perdoni ». E ancora: « Soltanto l’immaginazione mi rende conto di ciò che può essere, e questo basta a rendere meno gravosa la ter ­ribile proibizione; basta anche perché mi abbandoni ad essa senza ti ­more d’ingannarmi (come ci si potesse ingannare ancora di più) ». La follia, o per lo meno ciò che gli uomini « sensati » chiamano con que ­sto nome, è ritenuta da Breton un mezzo di apprendimento del reale altrettanto valido, se non di più, di quelli impiegati dagli uomini nor ­mali. « Le allucinazioni, le illusioni, – dice – sono una fonte non tra ­scurabile di godimento… Quanto alle confidenze dei pazzi, passerei la vita intera a provocarle. Sono persone di un’onestà scrupolosa e di una innocenza pari soltanto alla mia. Colombo dovette partire con dei pazzi per scoprire l’America. E vedete come questa follia ha preso corpo e durata ».
Il sogno, il riconoscimento dell’onnipotenza del sogno, costituisce uno dei punti-forza della posizione surrealista. Un omaggio è reso a Freud, il primo che abbia sollevato il velo, rendendo sistematica l’analisi del sogno come mezzo di conoscenza dell’uomo. Anzi, la dinamica freu ­diana diventa per i surrealisti un articolo di fede: « Solo a partire dal ­l’istante, in cui… ci si renderà pienamente conto del sogno nella sua integrità…, in cui la curva si svilupperà con una regolarità ed una am ­piezza senza precedenti, solo allora si può sperare che quei misteri, che in realtà non sono tali, cedano il posto al grande Mistero. Credo alla compenetrazione finale di quei due stati, in apparenza tanto con ­tradditori, che sono il sogno e la realtà, in una specie di realtà asso ­luta, di surrealtà, se così possiamo dire ». Abbiamo dato in precedenza ( § 1) la definizione generale di surreali ­smo, quale essa appare nel Manifeste. La nozione di surrealtà, conce ­pita come un fine ideale, ma non irraggiungibile, apporta a tale defini ­zione un notevole ampliamento. Si tratta, infatti, non solo di un modo d’esprimersi, di un modo di scrivere o di dipingere, ma di un orien ­tamento generale dello spirito, interamente volto alla conquista di un « aldilà ».
Ciò che costituisce l’originalità del surrealismo – quale si trova affer ­mato nel Manifeste – ciò che lo differenzia da tutti i movimenti arti ­stici esistenti prima d’allora (eccezione fatta forse per alcune fasi del romanticismo tedesco) è la sua volontà di giungere alla totalità dell’es ­sere.
Se il processo al mondo reale – l’espressione è di Breton – implica, da un lato, la valorizzazione dei poteri dell’inconscio e del sogno, dal ­l’altro pone la ricerca di uno stato di grazia posseduto solo nell’infan ­zia: « Se (l’uomo) conserva ancora un poco di lucidità – scrive lo stesso Breton – non può che volgersi verso la propria infanzia, che, per quanto sia stata distorta dalle cure degli educatori, gli si presenta ricca di segreti incanti. In quel tempo l’assenza di ogni possibile costrizione permette la prospettiva di parecchie vite vissute simultaneamente… Ogni mattina, dei bambini partono fiduciosi. Tutto è pronto, le peggiori condizioni materiali appaiono eccellenti. I boschi sono bianchi o neri, non si dormirà mai ».
Partendo da queste premesse, il surrealismo reclama per sé il diritto all’irresponsabilità: pretende che l’uomo debba sottrarsi al controllo del ­la ragione, e parimenti a qualsiasi imperativo d’ordine morale. Si di ­chiara dunque non-conformista e dirige le sue preoccupazioni essen ­ziali verso gli stati d’abbandono, al primo posto dei quali si situa, ben inteso, il sogno, seguito molto da vicino dallo stato di veggenza preco ­nizzato da Rimbaud (« Bisogna essere veggenti, farsi veggenti »), o me ­glio ancora dallo stato medianico, in cui si manifesta non già un aldilà che trascende lo spirito umano, ma il vero io, prima d’allora soffocato dalla coscienza.
Infine, nella sua duplice ed irriducibile opposizione allo spiritualismo delle chiese cristiane e del cartesianesimo che, secondo il surrealismo, paralizzano lo spirito occidentale, il surrealismo riabilita la superstizione e la magia (vicine al mondo psichico dell’infanzia) e, al tempo stesso, si volge con compiacenza verso la tradizione esoterica basata sull’eser ­cizio del pensiero analogico (Kabala, Gnosi, Alchimia).

La rivoluzione surrealista

Se ci si limita al contenuto del Manifeste di Breton, si potrebbe scor ­gere nel surrealismo soltanto un ramo dell’albero romantico, dove fos ­sero stati inseriti i prestigiosi innesti del simbolismo e che una talea di dottrina freudiana rendesse ancora più fantastico. Infatti la maggior parte delle asserzioni, che costituiscono la trama del Manifeste, hanno riscontro in Novalis, Arnim e Nerval, in Lautréamont, Rimbaud e Mallarmé. Ma la differenza rivoluzionaria consiste nel fatto che le intui ­zioni, le indagini, le relazioni di esperienze individuali, che si incontrano presso quei poeti, sono state unificate da Breton in una specie di corpo dottrinale che si potrebbe designare col nome di Dichiara ­zione dei Diritti del Poeta, implicanti un certo numero di doveri. Inol ­tre per Breton quest’insieme di principi e di imperativi è destinato a servire da base di lancio per un’impresa collettiva. Bisogna insistere sul fatto – troppo sovente passato sotto silenzio dai critici, allorché trattano di un’opera a carattere surrealista, e generalmente ignorato dal grande pubblico – che il surrealismo fu all’origine, ed è rimasto nel corso del suo svolgimento, un movimento rivoluzio ­nario. I surrealisti facevano propria la parola d’ordine di Rimbaud: « Cambiare la vita », e di Marx: « Trasformare il mondo ». Cambiare la vita significava modificare la sensibilità, incamminare lo spirito verso vie nuove, distogliere l’individuo dalla visione razionale del mondo. Questa esigenza non si limitava al campo poetico, ma tendeva a tra ­sformare il mondo anche sul piano sociale e morale. La politica sur ­realista infatti, macchiata all’inizio d’anarchismo, non tardava ad inca ­nalarsi verso i partiti di estrema sinistra, ispirati al marxismo. In La Révolution surrealiste, che fu l’organo del movimento fra il 1924 ed il 1929, si può scorgere questa rapida evoluzione dal quasi nihilismo degli inizi fino all’adesione al partito comunista (fine 1927 – inizio 1930), contraddistinta quest’ultima dall’apparizione di una nuova rivista, Le Surréalisme au service de la Révolution   (1929-1933). Si può dire, senza tema di allontanarsi dal vero, che i surrealisti, nelle loro prese di posizione politiche, furono ingenui se non addirittura confusi. Era infatti paradossale voler far coincidere il marxismo, fon ­dato sulla ragione, con la supremazia accordata dai surrealisti al sogno ed ai mezzi irrazionali di conoscenza. Istintivamente gli operai diffi ­davano di questi poeti, tutti d’origine borghese, ed erano esasperati dagli eccessi del loro linguaggio.
La politica fu inoltre uno dei più gravi punti di discordia fra i surrealisti e si può dire che tutta la storia del movimento fu disseminata di con ­flitti, di processi alle varie tendenze, di denunce, di rinnegamenti. Quan ­do Breton si mise al servizio del partito comunista, trascinò con sé po ­chi seguaci, ma in compenso vi lasciò Louis Aragon, che fu raggiunto nel 1939 da Paul Eluard. Breton stesso non aveva potuto sopportare a lungo la disciplina, che regnava fra le cellule del partito, e da lui giudicata totalitaria e reazionaria per quanto concerneva la libera espres ­sione dello spirito. Si vide anche il movimento surrealista aderire a quello che si designa col nome di «opposizione di sinistra », cioè grosso modo, il trotzkismo. Nell’incontro personale con Leone Trotzky nel Messico nel 1938 (Minotaure, n. 10) i sentimenti « opposizionali » di Breton si concretarono nella fondazione, realizzata in associazione con Diego Rivera, della F.I.A.R.I. (Federazione Internazionale Artisti Rivoluzionari Indipendenti).
Dopo quest’epoca, brutalmente interrotta dalla seconda guerra mondia ­le, la linea politica del « gruppo » ufficiale animato da Breton, ebbe varie fluttuazioni: ravvicinamento agli anarchici (collaborazione al Libertaire) con la ripresa della parola d’ordine: « Aprite le prigioni! Con ­gedate l’esercito! » (1946-1948); adesione al movimento dei «Cittadini del Mondo », suscitato dall’inconsistente Garry Davis (1949); prese di posizioni diverse contro la guerra d’Algeria e contro il gaullismo (1958-1962), espresse nella rivista 14 Juillet. Infine, a partire dal 1946, data del ritorno di André Breton in Francia, le attività del « gruppo » surrea ­lista non raccolsero più che un numero ristretto di adesioni. Se è vero che i primi scritti dei principali iniziatori del surrealismo (Breton, Eluard, Aragon) sono ormai considerati dei classici e costituiscono l’oggetto di periodiche riedizioni, anche sotto la forma po ­polare delle edizioni tascabili, la produzione surrealista ufficiale di que ­sti ultimi anni non gode di altrettanto favore e interessa solo qualche fedelissimo.
In generale è per opera dei pittori che l’idea surrealista si è propa ­gata nel mondo. Max Ernst, Joan Mirò, André Masson, Yves Tanguy, René Magritte, Salvador Dalì, Victor Brauner, Jacques Herold, Matta, furono i diffusori della « bellezza convulsa ». Il che è senz’altro dovuto al prodigioso favore con cui è sempre stata accolta l’opera d’arte pit ­torica, qualunque fosse la sua provenienza, mentre la poesia, vera so ­cietà segreta, non era intesa che dagli iniziati.

 


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Bart