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ARTE: Il Surrealismo: I MAESTRI: L’Age d’Or #6/7

4 Dicembre 2008

[da:   Patrick Waldberg: “Surrealismo”, Mazzotta, 1967]

La mia idea generale, scrivendo con Buí±uel la sceneggiatura de l’Age d’Or è stata di presentare la dritta e pura linea di « condotta » di un essere che persegue l’amore attraverso gli ignobili ideali umanitari, patriottici, ed altri miserabili meccanismi della realtà.

Salvador   Dalì

LA  SCENEGGIATURA

Degli scorpioni vivono negli scogli. Arrampicato su uno di questi sco ­gli, un bandito vede un gruppo di arcivescovi che cantano seduti in un paesaggio minerale. Il bandito corre ad annunciare ai suoi amici la presenza vicino a loro dei Maiorchini (1) (sono arcivescovi). Entrato nella sua capanna trova gli amici in uno strano stato di debolezza e di depressione. Si armano ed escono tutti ad eccezione del più giovane che non può neppure alzarsi. Si mettono a camminare tra gli scogli; ma gli uni dopo gli altri, sfiniti, cadono a terra. Il capo della banda infine si accascia senza speranza. Dal luogo in cui si trova sente il rumore del mare e vede i Maiorchini che, adesso, sono allo stato di scheletri disseminati tra le pietre. Un’enorme carovana marittima tocca la costa in questo luogo scosceso e desolato. La carovana si compone di preti, di militari, di monache, di ministri e di molta gente con abiti civili. Tutti si dirigono verso il luogo in cui riposano i resti dei Maiorchini. Ad imitazione delle autorità che conducono il corteo, la folla si scopre. Si tratta di fondare Roma imperiale. Si sta ponendo la prima pietra, quan ­do delle grida acute richiamano l’attenzione generale. Nel fango, lì vicino, un uomo e una donna si dedicano ad una lotta erotica. Li si sepa ­ra. Si picchia l’uomo e dei poliziotti lo trascinano via. Quest’uomo e questa donna saranno i protagonisti del film. L’uomo, gra ­zie a un documento che rivela la sua alta personalità e l’importante mis ­sione umanitaria e patriottica che il governo gli ha affidato, è subito ri ­messo in libertà. A partire da questo momento ogni sua attività è rivolta tutta all’Amore. Durante una scena d’amore non portata a termine e do ­minata dalla violenza degli atti mancati, il protagonista è chiamato al telefono dall’importante personaggio che l’ha incaricato della grave missione umanitaria in questione. Questo ministro lo accusa. Per il fatto che lui ha abbandonato il proprio incarico migliaia di vecchi e di bambini innocenti sono morti. Il protagonista del film accoglie con ingiu ­rie l’accusa e senza nemmeno ascoltare ritorna a fianco alla donna amata nel momento in cui un caso assolutamente inesplicabile riesce in maniera ancora più definitiva a separarlo da lei. In seguito lo si vede gettare dalla finestra un abete in fiamme, un enorme strumento agricolo, un arcivescovo, una giraffa, delle piume. Tutto ciò nel preciso momento in cui i superstiti del castello di Selligny oltrepassano il ponte levatoio coperto di neve. Il conte di Blangis è evidentemente Gesù Cristo. Quest’ultimo episodio è accompagnato da un pasodoble (2).

L’ET퀒   DELL’ORO

II mercoledì 12 novembre 1930 e i giorni seguenti dovendo prendere po ­sto quotidianamente in una sala di spettacoli, molta strana gente era guidata verso quel luogo da aspirazioni molto diverse e assai contradditorie in una scala assai vasta dalle migliori alle peggiori. Queste per ­sone per la maggior parte non si conoscevano ed anche dal punto di vista sociale tenevano assai poco gli uni agli altri ma si univano, volere o no, per merito dell’oscurità, dell’allineamento insignificante e dell’ora che era la stessa per tutti, per dare il via o far arenare, con l’Age d’Or di Buí±uel, uno dei più forti programmi di rivendicazioni che si siano proposti fino ad oggi alla coscienza umana. Probabilmente si tratta so ­prattutto di abbandonarsi alle delizie di vedere finalmente trasgredite al massimo grado le leggi scoraggianti che esistevano per rendere inof ­fensiva l’opera d’arte sotto cui ci sta un Cristo e davanti l’ipocrisia che lavora, e ci si sforza di riconoscere, con il nome di bellezza, un bavaglio. Si tratta anche di valutare con un certo rigore l’apertura d’ali di questo uccello da preda oggi completamente inaspettato nel cielo che si fa cupo, nel cielo occidentale che si fa cupo: L’Age d’Or.  

L’istinto sessuale e l’istinto della morte

Sarebbe forse troppo poco chiedere agli artisti di oggi di attenersi alla constatazione, senz’altro geniale, che l’energia sublimata che cova in loro, continuerà a lasciarli coi piedi e i pugni legati all’ordine di cose esistenti e non farà per mezzo loro altre vittime oltre loro stessi. Si tratta, noi pensiamo, del loro dovere più elementare, quello di sottomettere l’attività che nasce da questa sublimazione di origine misteriosa a una critica sottile e di non indietreggiare davanti a nessuna sofferenza apparente dal momento che si tratta soprattutto di levare il bavaglio di cui parlavamo. Dedicarsi, con tutto il cinismo che l’impresa comporta, alla rinuncia di sé ed all’affermazione di tutte le tendenze nascoste la cui risultante artistica si presenta piuttosto frivola, deve, non soltanto essere loro permesso ma lo si deve addirittura esigere da loro. Non può che spettare a loro, al di là di questa sublimazione di cui sono oggetto e chi; non potrebbe essere vissuta senza misticismo per un fine tuttavia naturale, di proporre per un giudizio scientifico un’altra definizione una vol ­ta tenuto conto da parte loro di questa sublimazione. Ci si aspetta oggi che l’artista sappia a quale fondamentale macchinazione egli deve il latto di essere artista e non gli si può dar atto di esserlo fino a quando non si è sicuri che egli ha preso perfettamente coscienza di tale mac ­chinazione.
Ora, l’esame disinteressato delle condizioni in cui il problema si risolve (tende a risolversi) ci insegna che l’artista Bufiuel, per esempio, arriva soltanto ad essere la sede vicinissima ad una serie di lotte che si svolgono nei dintorni, essendo due istinti uniti in ogni uomo: l’istinto sessua ­le e l’istinto della morte.
Dato per scontato che l’atteggiamento ostile universalmente preso e che si manifesta sul secondo di questi istinti, si differenzia in ogni uomo soltanto per la sua applicazione, dato anche per scontato che in fondo delle ragioni puramente economiche si oppongono, nell’attuale società borghese, a che questo atteggiamento benefici di soddisfazioni diverse da quelle assai limitate ed essendo queste stesse ragioni per sé sole una inesauribile fonte di conflitti derivati da quelli che potrebbero essere, e che sarebbe quindi lecito esaminare, sappiamo che l’atteggiamento erotico con tutto l’egoismo che presuppone e le apprezzabili possibilità di realizzazione che ha è quella che, tra le due, arriva a sopportare meglio la luce dello spirito. Da ciò il gusto miserevole del rifugio che si mette nell’arte da secoli, da ciò la gran tolleranza di cui si fa prova di fronte a tutto ciò che, in cambio a parecchi pianti e digrignar di denti, aiuta però a porre quest’atteggiamento erotico al di sopra di tutto. Non è meno vero, dialetticamente, che uno di questi atteggiamenti non può minimamente esistere se non in funzione dell’altro, che questi due Istinti di conservazione, come è stato detto giustamente, poiché tendo ­no a ristabilire uno stato che si è turbato con l’apparizione della vita, si equilibrino in ogni uomo in maniera perfetta, e che infine dipende dalla rilassatezza sociale il fatto che l’anti-Eros veda il giorno a spese dell’Eros. E non è meno vero che dalla violenza di cui vediamo carica la passione erotica in un essere non possiamo giudicare della sua capacità di rifiuto, possiamo, tenendo poco conto delle umiliazioni passeg ­gere verso cui la sua educazione lo spingeva o no, attribuirgli più che un ruolo sintomatico dal punto di vista rivoluzionario. Che per una volta, ed è ora, questa passione erotica si mostri sufficien ­temente chiarita riguardo alla propria determinazione, che per una volta si irriti per le torture disgustose del sangue di ciò che si vuole amare e di ciò che ogni tanto si ama. Che per una volta ci si metta la frenesia tanto screditata ma al di fuori della quale noi surrealisti rifiutiamo di considerare valida qualsiasi espressione d’arte e conosceremo il nuovo e drammatico limite del compromesso attraverso cui passa ogni uomo o attraverso il quale, accettando di scrivere o di dipingere, noi siamo i primi e gli ultimi ad avere consentito di passare senza maggior infor ­mazione (essendo, questa maggior informazione, l’Age d’Or).

E’ LA MITOLOGIA CHE CAMBIA

In questo momento più propizio all’indagine psicoanalitica che tende a determinare l’origine e la formazione dei miti morali noi, a colpo sicuro, crediamo possibile, per semplice induzione e ai limiti da qualsiasi precisione scientifica, di arrivare alla possibilità di esistenza di un criterio che emanerebbe ben determinato da tutto ciò che può essere compreso nelle aspirazioni del pensiero surrealista in generale, e che risulterebbe, dal punto di vista biologico, dall’atteggiamento contrario a quello che permette di ammettere l’esistenza di diversi miti morali come sopravvi ­venza di tabù primitivi. In opposto a tale sopravvivenza noi crediamo (per quanto paradossale possa sembrare, che nel campo di ciò che si usa riportare ai limiti (!) del congenito, sarebbe possibile un’ipotesi spregiativa di questi miti secondo la quale, le divinazioni e mistificazioni di certe rappresentazioni feticiste a significato morale (come la mater ­nità, la vecchiaia ecc.), sarebbero un prodotto che, sia per il rapporto col mondo affettivo che per il suo meccanismo di obbiettivazione e di proie ­zione all’esterno, potrebbe essere considerato come un caso, certamen ­te assai complicato, di transfert collettivo nel quale il ruolo di demora ­lizzazione sarebbe stato sostenuto da un potente e profondo sentimento di ambivalenza.
Le possibilità psicologiche individuali di annientamento spesso comple ­to di un enorme sistema mitico, coesistono con la non meno frequente e conosciutissima possibilità di ritrovare, in tempi ulteriori e attraverso un processo di regressione, i miti arcaici già esistenti. Ciò significa, da una parte l’affermazione di certe costanti simboliche del pensiero inco ­sciente, dall’altra il fatto che questo pensiero è indipendente da qualsiasi sistema mitico. Tutto converge quindi ad una questione di linguaggio. Per mezzo del linguaggio incosciente noi possiamo ritrovare un mito, ma siamo ben coscienti che le mitologie cambiano e che una nuova fame psicologica a tendenza paranoica supera, in ogni occasione, i no ­stri sentimenti spesso miserabili. Non si deve fare affidamento sull’illu ­sione che può venire dalla mancanza di paragone, illusione simile a quella del movimento del treno interrotto quando un altro treno passa davanti al finestrino del vagone, e, nel caso etico, illusione simile a quel ­la della traslazione dei fatti verso il male: tutto avviene come se, contra ­riamente alla realtà, ciò che si muove, ciò che diviene non fossero pro ­prio gli avvenimenti ma, cosa più profonda, la mitologia. Nelle prossime mitologie morali troveremo usualmente le riproduzioni in scultura di diverse allegorie edificanti tra le quali si segnaleranno come le più straordinarie quella di una coppia di ciechi che si divorano tra loro e quella di un giovane con un’espressione piena di nostalgia « che sputa per puro diletto sul ritratto di sua madre ». Combattendo nella maniera più accanita contro tutti gli artifici, sia raf ­finati che grossolani, la violenza, in questo film, sbarazza la solitudine di tutto ciò di cui si abbellisce.
Nella solitudine ogni oggetto, ogni essere, ogni abitudine, ogni inven ­zione, ogni immagine anche, premedita di ritornare alla propria realtà senza divenire, di non aver segreti, di essere definita senza angoscie e inutilmente dall’atmosfera che ha creato. Ma ecco che lo spirito che non accetta resta solo e vuole vendicarsi di tutto ciò che si impadronisce così del mondo che gli è imposto.
Nelle sue mani c’è la rabbia, il fuoco, l’acqua, le piume, nelle sue mani il piacere arido della privazione, nei suoi occhi la collera, nelle sue mani la violenza. Dopo essere stato per così tanto tempo vittima di tutti gli sconvolgimenti, l’uomo risponde alla calma che sta per coprirlo di ceneri. Egli spezza, impone, terrorizza, devasta. Le porte dell’amore e dell’odio sono aperte al passaggio della violenza. Inumana, essa tiene l’uomo in piedi e non prende in considerazione la possibilità di una fine di questo soggiorno sulla terra.
L’uomo esce dal proprio riparo e trovandosi a tu per tu con la vana distribuzione delle fortune e delle disillusioni si esaspera per la forza del proprio delirio. Non importa certo la debolezza delle sue braccia poiché la testa è sottomessa alla rabbia che la scuote.
Noi non siamo lontani dal giorno in cui ci si accorgerà che malgrado tutte le scorie ed i dissidi che ci corrodono come un acido, ed alla base di questa attività liberatrice o tenebrosa che è il tentare una vita più adatta al cuore stesso del meccanismo in cui l’ignominia industrializza lo stato,

L’AMORE

resta da solo fuori dei limiti immaginabili e domina dal profondo del vento, dal pozzo di diamante, le costruzioni dello spirito e la logica del ­la carne. Il problema del crollo dei sentimenti, intimamente collegato a quello del capitalismo, non è ancora risolto. Si vede in ogni campo una ricerca di nuove convenzioni che aiuterebbero a vivere fino al momento di una liberazione ancora illusoria. La psicanalisi ha creato il maggior numero di pregiudizi in questo campo poiché il problema stesso dell’amore è rimasto fuori dalle manifestazioni che l’accompagnano. E’ me ­rito dell’Age d’Or l’aver mostrato l’irrealtà e l’insufficienza di una simile concezione.
Buí±uel ha formulato un’ipotesi sulla rivoluzione e sull’amore che tocca il più profondo della natura umana attraverso il più patetico dei dibatti ­ti, ed ha fissato con una serie di benefiche crudeltà, questo momento unico in cui con le labbra chiuse si segue la voce più lontana, più vicina, più lenta, più insistente fino ad un urlo così forte che appena lo sì capisce:
Amore… Amore …Amore… Amore…
E’ inutile aggiungere che uno dei punti culminanti della purezza di questo film ci sembra sia nella visione dell’eroina nelle stanze; qui la po ­tenza dello spirito arriva a sublimare una situazione generalmente ba ­rocca in un elemento poetico della più pura dignità e solitudine.

SITUAZIONE   NEL TEMPO

Non serve più a nulla, oggi, che una cosa molto pura e molto inoppugnabile sia l’espressione di ciò che un uomo porta in sé di più puro e di più inoppugnabile, tanto che, qualsiasi cosa egli faccia o noi facciamo, per sottrarre la sua opera all’ingiuria, all’equivoco e simili, noi mettia ­mo in evidenza soltanto la peggiore di tutte, cioè lo sviamento di que ­sto pensiero a profitto di un altro senza denominazione comune col pri ­mo, qualunque cosa egli faccia, dicevamo, è assolutamente vana. In questo momento tutto sembra utilizzabile in modo indifferente per dei fini che abbiamo troppo denunciato e condannato perché si possa restare zitti ogni volta che ci vengono opposti; e, per esempio, quando abbiamo letto ne les Annales una dichiarazione in cui l’ultimo dei clowns si abbandonava a dei commenti deliranti a proposito di Un chien andalou e prendeva autorità dalla propria ammirazione per scoprire una identità tra l’ispirazione di questo film e la propria poesia tutta sua. La confusione dunque non è proprio possibile. Ma da qualche recinto che circonda un settore apparentemente ben difeso, la si vedrà presto co ­perta di sozzure. Anche se è sufficiente oggi che un libro, un quadro, un film contengano in sé i mezzi di aggressione sufficienti a scoraggiare la truffa, noi continuiamo malgrado tutto a pensare che la provocazione è una precauzione come un’altra, e, su questo piano, non manca nulla a l’Age d’Or per scoraggiare chiunque speri di trovarci comodamente la propria pastura. Se lo spirito scandalistico che Buí±el ha manifestato non per un capriccio premeditato ma per ragioni che da una parte sono sue personali e che implicano dall’altra la volontà di eliminare per sempre i curiosi, gli amateurs, i pagliacci, gli esegeti che vi cercheranno un’occasione per esercitare la loro più o meno grande facoltà oratoria se un tale spirito è riuscito, questa volta, nel fine cui tendeva, noi potremmo dispensarlo da qualsiasi altra ambizione. E’ compito dei professionisti della critica di informarsi prima e, a proposito di questo film, di farsi delle domande sulla sceneggiatura, la tecnica, l’intervento della parola. Non ci si attenda da noi che gli si procurino gli argomenti destinati ad alimentare i loro dibattiti sull’opportunità del silenzio e del ru ­more e che noi ci si dedichi così a una disputa tanto vana e risolta quanto quella del metro classico e del metro libero. Noi saremo sempre troppo sensibili a ciò che, in un’opera e in un essere umano, lascia a desiderare, per interessarci particolarmente alla perfezione, a un’idea della perfezione, da dove venga, da quale processo pare che nasca. E in realtà non è questo il problema che ha interessato Buí±el e pos ­siamo forse parlare di problema di fronte ad un film in cui niente di ciò che ci interessa è dimenticato e resta in sospeso? Nei metri infiniti di pellicola che sono stati fino ad ora proposti al nostro sguardo e che oggi sono consumati, certi frammenti non furono che il divertimento dì una rara libertà, certi altri un motivo di oppressione e di incredibile rincretinimento, altri ancora causa di una breve ed incomprensibile esalta ­zione. Cosa ricordiamo dunque se non la voce dell’arbitrarietà raccolta in alcune commedie di Mack Sennet, quella della sfida in Intervallo, quella dell’amore selvaggio in Ombre bianche, quella della speranza e della disperazione ambedue illimitate nei films di Chaplin? A parte ciò, niente al di fuori dell’irriducibile richiamo alla rivoluzione della Corazza ­ta Potemkin. Niente al di fuori di   Chien andalou e dell’Age d’Or che si pongono al di là di tutto ciò che esiste. Largo dunque a quest’uomo che attraversa il film dall’inizio alla fine portando sui suoi vestiti le tracce di polvere e di calcinacci, indifferente a tutto ciò che non è il pensiero dell’amore che lo pervade e lo guida ed intorno a cui il mondo si orga ­nizza e gravita, questo mondo col quale non si fanno accomodamenti ed al quale una volta ancora noi non apparteniamo se non nella misura in cui ci leviamo contro di lui.

ASPETTO SOCIALE.   ELEMENTI   SOVVERSIVI

Bisogna cercare un cataclisma ormai lontano per trovare un termine di paragone con i tempi moderni. Bisogna senz’altro rifarsi al crollo del mondo antico. La curiosità che ci spinge verso quelle epoche di grandi turbamenti abbastanza simili, fatte le dovute riserve, a quella in cui noi viviamo, vorrebbe scoprire in quei tempi altre cose oltre la storia. Ahimè, il cristianesimo è tutto pieno del suo cielo dove non c’è niente che noi non abbiamo già visto sul soffitto del ministero degli interni o sugli scogli in riva al mare. Poiché le tracce autentiche lasciate sulla retina uma ­na dall’ago di un grande sismografo mentale si vestiranno sempre, a meno che spariscano con tutto il resto nell’annientamento della società capitalistica, di un’importanza eccezionale per coloro ai quali importa soprattutto determinare il punto critico in cui i « simulacri » prendono il posto delle realtà; dipende quindi dalla volontà degli uomini che il sole tramonti una volta per tutte. Proiettato in un momento in cui le banche saltano, le rivolte scoppiano, in cui i cannoni cominciano ad uscire dagli arsenali, l’Age d’Or dovrebbe essere visto da tutti coloro che non sono ancora preoccupati dalle notizie che la censura lascia stampare sui giornali. E’ un complemento morale indispensabile agli allarmi in borsa, il cui effetto sarà molto diverso proprio a causa del suo carattere surrealista. Non c’è infatti, a dire il vero, un intreccio. Si posano le prime pietre, le convenienze prendono la dimensione del dogma, la polizia picchia come sempre, e sempre anche vari incidenti si producono nel seno stesso della società borghese, accolti da un’indiffe ­renza fatale. Questi incidenti a proposito dei quali si ricorderà che nei films di Buí±el appaiono filosoficamente puri, indeboliscono la capacità di resistenza di una società in putrefazione che cerca di sopravvivere utilizzando i preti ed i poliziotti come soli materiali di sostegno. Il pessimismo finale, nato dal seno stesso della classe dirigente attraverso la disintegrazione del suo ottimismo, diviene a sua volta una potente forza di decomposizione di questa classe, prende il valore di una negazione affermandosi presto nell’azione antireligiosa e quindi rivoluzionaria poiché la lotta contro la religione è anche la lotta contro il mondo. Il pas ­saggio del pessimismo dallo stato di presenza all’azione è determinato dall’Amore, principio di male nella demonologia borghese che chiede che le si sacrifichi tutto: condizione, famiglia, dignità, ma la cui scon ­fitta all’interno dell’organizzazione sociale introduce il sentimento della rivolta. Possiamo osservare un procedimento analogo nella vita e nelle opere del marchese de Sade, contemporaneo de l’Age d’Or e della monarchia assoluta, interrotti dall’implacabile repressione fisica e morale della borghesia trionfante. Non è quindi per caso che il film sacrilego di Buí±el è un’eco delle grida blasfeme del divin marchese dalle sbar ­re delle sue prigioni. Resta naturalmente da dimostrare il futuro di questo pessimismo nella lotta e nel trionfo del proletariato che significa de ­composizione della società in quanto classe privilegiata. Nell’epoca del ­la «prosperità » il valore d’uso sociale di l’Age d’Or deve essere stabi ­lito dal grado di soddisfazione del bisogno di distruzione degli oppressi e forse anche dalla lusinga delle tendenze masochiste degli oppresso ­ri. A dispetto di tutte le minacce di soffocamento questo film avrà, noi pensiamo, la grande utilità di far scoppiare dei cieli sempre meno belli di quelli ch’egli ci mostra in uno specchio.

Maxime Alexandre, Aragon, André Breton, René Char, René Crevel, Salvador Dalì, Paul Éluard, Benjamin Péret, Georges Sadoul, André Thirion, Tristan Tzara, Pierre Unik, Albert Valentin.  

 Note

(1)   Maiorchini: abitanti   dell’isola di   Maiorca (Spagna).
(2) Si vede ancora, in questo film, in mezzo ad altri dettagli, un cieco maltrattato, un cane schiacciato, un figlio quasi ucciso senza motivo da suo padre, una vecchia signora schiaffeggiata, ecc.


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Bart