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ARTE: I MAESTRI: La Pop Art

28 Aprile 2010

di Lucy R. Lippard

[da: AA.VV : “Pop Art”, Mazzotta, 1967]

L’arte Pop è un fenomeno americano e che si discosta dai cliché di una grande America rozza e sfacciata entrato in uso quando l’Espressioni ­smo Astratto trionfò a livello internazionale. E’ nata due volte: la prima volta in Inghilterra, e poi, indipendentemente, a New York. Alla sua se ­conda uscita, l’arte Pop mostrò subito di incontrare il favore dei giovani di tutto il mondo, che reagirono in modo entusiastico alle implicazioni, sia a quelle « hot » sia a quelle « cool », di un linguaggio così diretto; attrasse la generazione di mezzo che guardava con ansia verso” i gio ­vani alla ricerca di uno stimolo per quel che concerne le arti e il diver ­timento, e attrasse tutti coloro, di qualsiasi età, che riconobbero la sua validità formale. L’arte Pop, in sé, non fu un prodotto della discothèque era, ma certamente lo fu per il modo in cui venne accolta. Cosa ancora più importante, la Pop è un ibrido, è il prodotto di due decenni dominati dall’astrattismo, e come tale è più l’erede di una tradizione astratta che di una tradizione figurativa. L’arte Pop è più vicina alla « astrazione post-pittoricistica » americana di Ellsworth Kelly o di Kenneth Noland che al realismo contemporaneo. Appena la Pop emerse, in Inghilterra, in Ame ­rica e in Europa stupore e indignazione si accompagnarono a un pro ­fondo disappunto da parte di molti artisti e di molti critici. Questa inat ­tesa conseguenza di un decennio d’Espressionismo Astratto (o Tachi-sme, art autre, art informel) non poteva essere accolta positivamente, in quanto disperdeva tutte le speranze di un’affermazione di un « nuo ­vo umanesimo », detto in America « Nuova Immagine dell’Uomo » e in Europa « Nuova Figurazione ». Nei quadri Pop l’uomo, occasionalmente, appare; ma solo come un robot controllato a distanza da un Indice dei Consumatori, o come una parodia sentimentalizzata dell’ideale. Co ­munque, per altri osservatori un tale specchio sfacciato e non critico di quel che ci circonda fu come una boccata d’aria pura. L’arte Pop non fu un movimento esteso in qualsiasi nazione, né una fusione internazionale di stili. Ebbe nelle varie incarnazioni un’apparenza del tutto diversa (come risulterà chiaro dai saggi contenuti in que ­sto libro), ma i suoi modelli non furono tanto determinati da un regio ­nalismo quanto dalla decisione comune di affrontare il mondo contem ­poraneo con un atteggiamento positivo piuttosto che negativo. A di ­spetto dei suoi aspetti carnevaleschi, del suo colore orgiastico e delle sue dimensioni gigantesche, l’alternativa dell’arte Pop agli impasti tecnici ed emotivi delle correnti che immediatamente la precedono era fondata chiaramente su un modello solido, contrario al nonsenso, con ­trario alla preziosità e alla raffinatezza, come ben si addice alla decade del ’60. La scelta di una cultura « al di sotto dei vent’anni » come soggetto contiene un elemento di ostilità verso i valori contemporanei, non certo un compiacimento, e segna un nuovo distacco dai canali co ­dificati dell’arte. Eppure, in nessun luogo l’arte Pop mostra tendenze nichiliste. In Europa le manifestazioni legate alla Pop tendono a mo ­strare intenzioni sociologiche che sono disapprovate in Inghilterra e in America, ma dovunque l’inclinazione fondamentale sembra essere di determinato ottimismo: un ottimismo avverso ad ogni ostacolo, un otti ­mismo non sempre afferrato da coloro che non lo condividono. Nei primi tempi della Pop, Andy Warhol fu criticato per aver detto di voler essere una macchina. L’artista non poteva essere compreso da una so ­cietà i cui valori tradizionali sono terrorizzati dalla meccanizzazione. L’affermazione di Warhol, come la sua arte, è una sfida (non un segno di sconfitta), e venne accolta in modo articolato da G.R. Swenson, che scrisse: « In genere la critica d’arte si è rifiutata di dire che un oggetto può essere reso identico a una sensazione significante o estetica, so ­prattutto se l’oggetto ha una marca. Eppure, in un certo senso, l’arte astratta tenta d’essere un oggetto che possiamo paragonare ai senti ­menti privati di un artista. Andy Warhol presenta oggetti che possiamo intendere come uguali ai sentimenti pubblici di un artista. Molte perso ­ne sono disturbate da… una tendenza alla spersonalizzazione nell’arte… Temono le implicazioni di una società tecnologica… Molto di ciò che è buono e valido nella nostra vita è proprio ciò che è pubblico e condi ­viso dalla comunità. Dobbiamo affrontare prima di tutto i cliché più comuni, le reazioni più comuni ad ognuno di noi, se vogliamo giungere a una qualche comprensione delle nuove possibilità che ci sono rese disponibili in questo mondo nuovo, coraggioso e per nulla privo di speranza » (1).

Eppure, per l’artista individuale lo stile pop fu semplicemente un modo per imbarcarsi in un’espressione artistica personale che aveva ben po ­co da spartire con i modi allora prevalenti. Da principio, completamente ignari di quel che stavano facendo i loro colleghi nella stessa città o in altri paesi, numerosi artisti isolati di New York pervennero per caso a uno stile comune. Era nell’aria. Non avevano alcuna notizia della loro controparte inglese, e gli sviluppi europei sembravano non avere alcun peso sulla loro attività. John Coplans ha ragione quando afferma che gli espedienti dell’arte Pop « derivano la loro forza dal fatto che virtual ­mente non hanno alcuna associazione con una tradizione europea » (2). Malgrado gli indubbi rapporti fra gli artisti americani, inglesi e euro ­pei, il linguaggio pop più maturo è tipicamente americano, e in parti ­colare è tipico di New York e Los Angeles. La Pop più autentica e rigorosa è essenzialmente un prodotto della società americana vista co ­me una sirena dalle lunghe pinne e dal grande seno, società che rina ­sce ogni minuto, e i suoi vantaggi derivano dall’esser più coinvolta col futuro che con il passato. Da un punto di vista iconografico c’erano indubbiamente molti precedenti, sia europei sia americani, per quel che riguarda i soggetti pop. Sono passati una cinquantina d’anni da quando i semi dell’arte Pop furono seminati dai collages cubisti; retro ­spettivamente, stupisce che i soggetti commerciali come base totale dell’arte non siano stati « scoperti » prima.

Gli artisti popolari di tutti i paesi, Africa compresa, hanno sempre fatto uso di materiali e emblemi commerciali. In Europa, artisti di grande valore li hanno inclusi nelle loro tele almeno fin dal 1912. Con tutto ciò, l’arte Pop non ha alcuna relazione con lo stravagante « modernismo » dei Futuristi, lo sterile formalismo dei puristi Ozenfant e Le Corbusier o i « ritratti oggetti » di Picabia pubblicati in 297 (una American Girl come candela d’accensione, o generatore; Alfred Stiegliz come macchina fo ­tografica), o le pagine dì un catalogo di un venditore all’ingrosso di cap ­pelli leggermente alterate da Max Ernst (The Hat Makes thè Man, The Sandworm Ties her Sandal). Nel 1947 Kurt Schwitters, con il « collage » For Käte che mostra immagini di fumetti, produsse uno dei più convincenti prototipi pop. Più convincente, però, nella riproduzione che nell’originale; di piccole dimensioni, delicato, di colore smorto, con un leggerissimo foglio di carta rosa che vela una parte del fumetto, somi ­glia veramente poco alle immagini immense e grossolane degli artisti pop. Picasso, che in un modo o in un altro ha anticipato molte delle maggiori tendenze del ventesimo secolo, non ha concretizzato che rari isolati esempi di proto-Pop, e fra questi si può citare la scultura Verre d’Absinthe del 1914, il disegno Plat avec Wafers dello stesso anno e, in modo particolare, il sigaro di legno poggiato su una scatola di fiammiferi eseguito nel 1941. Giorgio de Chirico è stato uno dei primi artisti a riprodurre in loto un oggetto di marca: vedi per esempio i bi ­scotti e le scatole di fiammiferi nei suoi interni metafisici e nelle nature morte del 1916-17. Gli oggetti surrealisti e gli «oggetti trovati » della de ­cade del ’30, come Little Statues of Precarious Life di Jean Dubuffet, dei primi anni della decade del 1950, furono scelti per la loro rassomiglianza a qualcosa di diverso: a un sogno, a una figura o a un’imma ­gine subconscia; per la loro esistenza un vero riconoscimento era im ­portante, ma una immediata comprensione li avrebbe sminuiti. Più estro ­versa che introversa, l’arte Pop arriva al dunque istantaneamente. Per quel che riguarda i precedenti americani si possono vedere i can ­celli a bandiera, le insegne dell’Ottocento, certi oggetti bizzarri e le banderuole per l’indicazione dei venti; ma se tali prodotti dell’arte popolare costituiscono una controparte divertente dell’arte Pop, come origini hanno scarsa importanza. Gli artisti americani hanno alle spalle una lunga storia di rapporti con la scena americana, soprattutto con i suoi aspetti regionali e pittoreschi. Eppure la Pop non è in alcun modo un « nuovo realismo americano » ed ha solo qualche lontana re ­lazione con il realismo romantico di Edward Hopper e di Reginald Marsh, con l’espressionismo sociale di Ben Shahn e di Philip Evergood o con il « classicismo » di Charles Demuth e degli Immacolati. Alcuni artisti della decade del ’30, pittori e fotografi come Walker Evans e Rudolph Burckhard, utilizzarono il soggetto delle insegne sia come det ­taglio sia come documentazione. Fra il 1920 e il 1930 Gerald Murphy, amico di Scott Fitzgerald, dipinse pochi oggetti di marca resi con molta precisione. Ma il più diretto parallelo con la Pop è da rin ­tracciare in Stuart Davis, il cui pacchetto di Luky Strike del 1921 è il prototipo più ampiamente citato. Come soggetto presenta un’unica im ­magine commerciale, ma riordinata in una cornice cubista stilizzata. Più vicino a quanto ci interessa, e in modo più diretto, è il suo Odol del 1924, una bottiglia di disinfettante con la sua etichetta e la scritta « It purifies » restituita con assoluta precisione. Come l’arte di Davies si fece più matura, egli rese sempre più astratte le insegne e le lettere del paesaggio urbano e le pose al servizio di uno schema più forzato e generico. Più che le sue prime opere, può essere stato il suo stile astratto a suscitare l’interesse degli artisti pop americani, insieme alle figure ritagliate del tardo Matisse anch’esse esposte a New York attor ­no al 1960.

E’ un errore attribuire l’insorgenza dell’arte Pop, almeno in Inghilterra e in America, unicamente a influenze storiche. L’impeto è tipicamente contemporaneo, come è contemporaneo lo stile. Nondimeno, i prototipi probabilmente più validi sono in teoria le idee di due maestri europei. Se Fernand Léger e Marcel Duchamp non hanno influenzato direttamente gli artisti più giovani, essi aiutarono comunque a preparare la situazione estetica che rese possibile la Pop. Il loro modo di intendere e di fare l’arte è diametralmente opposto, ma ciò che li unisce è la loro supposta assenza di sensibilità, o non enfatizzazione della sensibilità. Come ha notato Katherine Kuh, «Al pari dei Dadaisti, Léger è consi ­derato talvolta un anti-artista » (3). Gli eredi delle tradizioni di Duchamp e di Léger si divisero in due diverse correnti â— una divisione superfi ­ciale dell’arte moderna â— e fu l’incontro di queste due correnti a New York negli ultimi anni della decade del 1950 a decidere il nuovo corso artistico. Léger, che un tempo era Purista, rappresenta la corrente clas ­sica, « pulita », nitida, mentre i successori di Duchamp â— i Dadaisti, i Surrealisti, gli Assemblagisti, e i Nouveaux Réalistes â— rappresentano la corrente romantica, « sporca », o agglomerata. In realtà lo stesso Du ­champ è « pulito », ma le sue idee, e in particolare i suoi « ready-mades » diedero l’avvio a un linguaggio più compromesso, meno puro. In ­tellettualmente impersonale quanto Léger era emotivamente imperso ­nale, dal 1913 Duchamp ha mostrato un olimpico distacco per ciò che riguarda la scelta dei « ready-mades » che (a quel tempo) non erano né molto attraenti né molto urtanti (con l’eccezione dell’orinatoio del 1917, di R. Mutt, dal titolo Fountain, e della Monna Lisa con pizzetto e baffi intitolata L.H.O.O.Q.). Molti dei suoi eredi hanno portato i suoi modi ai limiti estremi, ma Duchamp è rimasto isolato. Al tempo in cui furono concepiti, i « ready-mades » si meritarono una scarsa attenzione formale; erano pedine di un gioco cerebrale alle quali lo « status » po ­tenziale di arte era conferito, o meglio imposto da Duchamp per semplice forza di volontà. Da allora il tempo li ha condotti a quella trasfor ­mazione che egli rifiutava, e gli oggetti originariamente intesi come sfida al predominio dell’astrazione e del formalismo oggi ci appaiono astratti come qualunque altra opera contemporane. Sull’altro fronte Léger, a dispetto dell’inclinazione purista del suo stile, era un engagé. Considerando la macchina come forma significante (di ­versamente dai Futuristi, e forse dallo stesso Duchamp, per i quali la macchina era un oggetto d’amore), Léger mostrò un profondo interesse moderno per cose come le super-autostrade, i manifesti da vetrina, l’arte pubblicitaria e quell’epitome dell’americanismo che è Chicago. « Ogni giorno l’industria moderna crea oggetti che hanno un inconte ­stabile valore plastico », scrisse seguendo in certo senso lo stesso istin ­to di Duchamp per i « ready-mades ». « Lo spirito di questi oggetti do ­mina la nostra età » (4). In un altro articolo discusse delle « seducenti vetrine dove gli oggetti isolati costringono il cliente potenziale a fermar ­si: il nuovo realismo ». Notando che nei bals musettes di Parigi si potevano vedere eliche d’areoplano appese ai muri come decora ­zioni, profeticamente affermò: «Alle masse non sarà necessario un grande sforzo per arrivare a sentire e a comprendere il nuovo realismo che ha le sue origini nella stessa vita moderna, nei continui fenomeni della vita, sotto l’influenza di oggetti industriali e geometrici trasposti in un regno dove l’immaginazione e il reale si incontrano e s’allacciano »5.

Nel film Ballet mécanique, del 1924, Léger giunse ad anticipare la tecni ­ca dell’arte Pop: « Isolare un oggetto o un frammento d’oggetto e pre ­sentarlo sullo schermo in primi piani di dimensioni più grandi possibili. L’enorme ingrandimento di un oggetto o di un frammento d’oggetto gli conferisce una personalità che non ha mai avuto prima, e in questo mo ­do può diventare un veicolo di potenza lirica e plastica del tutto nuo ­va » (6). Ma il periodo non era ancora maturo, e con tutta la sua intuitiva comprensione dell’arte fondata sul paesaggio urbano, e con la convin ­zione d’essere il più « americano » dei pittori, Léger rimase cubista, e francese. Per quanto le sue forme robuste e le sue superfici metalli-che, il tratto meccanico, il colore vistoso e lo stile chiaro, schematico e spesso dalla mano pesante siano rintracciabili nell’arte Pop â— e so ­prattutto nella pittura di Lichtenstein â— dal punto di vista concettuale Léger ne è lontanissimo. Spesso l’affermazione di Léger che « per me la figura umana non è più importante delle chiavi o delle biciclette » è stata intesa in modo errato. In realtà, più che ignorare l’umanità egli portò l’oggetto a un livello d’interesse pari a quello della figura. Malgra ­do i suoi discorsi sulla spersonalizzazione Léger fu un idealista naïf, e persino un realista sociale. L’ironia e il cinismo metafisico di Duchamp rappresentano motivi d’attrazione assai maggiore per gli artisti della decade del ’60. Qualsiasi cosa facesse, Léger continuò a considerarsi un artista; mentre Duchamp, almeno per un certo tempo, è rimasto fuo ­ri dall’arte, e più vicino al « mondo reale » esaltato dagli artisti pop. Proprio perché Duchamp ha avuto una notevole influenza sulla forma ­zione dell’atteggiamento pop non c’è ragione di chiamare il movi ­mento con il nome di Neo-Dada. Nel 1951 la pubblicazione dell’anto ­logia Dada Painters and Poets, di Robert Motherwell, toccò direttamen ­te solo pochi artisti â— Johns e Dine in particolare â—, e come fatto d’importanza cruciale è stata sopravalutata. Dell’ibrido Dada newyorke ­se (1914-1921), solo il gruppo che non a caso era diretto da Duchamp utilizzo motivi del tutto simili a quelli pop (7). Per di più, molti scrittori sono caduti nell’errore di considerare il Dadaismo un movimento poli ­tico, sostenendo così che proprio questo sottolinea la differenza fra Pop e Dada. Al contrario, sebbene per natura fossero anti-politici e anti-so-ciali nel senso comunemente accettato, i Dadaisti si mostrarono politi ­camente attivi solo a Berlino fra il 1918 e il 1921. Il Surrealismo, che durante la decade del ’30 ebbe una forte impronta politica, rappre ­sentò un indebolimento delle forze del Dadaismo. Il Dadaismo fu una vasta anarchia idealista con un’immensa intolleranza verso il pompie ­rismo di qualsiasi forma, e fu rivolto in modo particolare contro la fal ­sa nozione dell’arte che ancora dominava l’Europa negli anni imme ­diatamente successivi alla prima guerra mondiale. Le dimostrazioni da ­daiste, anche a Berlino, tendevano ad utilizzare il metodo dell’assassinio per mezzo del ridicolo; il nemico â— e le armi â— erano le arti, e non il governo, che presumibilmente sarebbe caduto nella scia del Dada.

Legato a un’idea di totale e impossibile tabula rasa piuttosto che a ri ­forme politiche e sociali specifiche, il vero contributo del Dadaismo al ­l’arte moderna â— e quindi, indirettamente, alla Pop â— fu che esso spa ­lancò le porte lasciate chiuse dal Cubismo. Una volta spalancate, que ­ste porte condussero a un’assoluta libertà di soggetti e di materiali. Di ­struggendo le barriere della consapevolezza e della presunzione che minacciavano di frenare l’impeto cubista, Dada diede alla pittura una nuova spinta verso la vita.

Attorno al 1958 le idee di Duchamp e del Surrealismo ortodosso filtrate dall’Espressionismo Astratto cominciarono ad emergere. I primi risultati furono, in America, la tendenza ali’assemblage misto e, in Europa, il Nouveau Réalism di Pierre Restany e tutti i suoi vari germogli. A New York, dove fin dal 1914 Duchamp si tratteneva ogni tanto per periodi più o meno lunghi, Robert Rauschenberg e Jasper Johns si presenta ­rono alla Galleria Leo Castelli con alcune significative personali che sono da intendere come un primo ponte verso la Pop. Per quanto in Eu ­ropa e dai « mass media » siano ancora considerati artisti pop, e per quanto abbiano senz’altro influenzato gii artisti pop ed abbiano simpa ­tizzato con loro, per quel che riguarda lo stile e i soggetti delle loro opere nessuno dei due è un artista pop vero; e proprio. Entrambi risen ­tirono più o meno fortemente delle idee del compositore John Cage, che (in modo spesso esagerato) è stato indicato da molti quale sorgente fon ­damentale dell’atteggiamento pop. (Come ebbe modo di osservare Jim Dine, « Vi sono artisti che vogliono a tutti i costi essere stati influenzati da lui » (8), sebbene, per la più parte, non abbiano subito che l’influenza di Rauschenberg e di Johns). Rauschenberg era stato al Black Mountain College quando vi si trovava Cage, ed aveva preso parte a quello che è ormai definito il « primo Happening ». Le idee di Cage devono molto più al Buddismo Zen di quanto debbano a Dada; l’abolizione di tutte le distinzioni fra i suoni scelti e i suoni accidentali (distinzione perfetta ­mente applicabile alle frasi come alle immagini) è senza alcun dubbio la vera fonte dell’affermazione di Rauschenberg tante volte citata, se ­condo la quale egli voleva lavorare «nell’intervallo che sta fra la vita e l’arte », e anche la fonte della sua simpatia per i gesti iconoclasti. I più famosi di questi gesti furono la duplicazione, fino ai minimo detta ­glio, di un «accordo Eisenhower »; l’acquisto da de Kooning di un di ­segno dello stesso de Kooning che poi, con qualche difficoltà, venne ra ­schiato ed esposto con il titolo « De Kooning raschiato da Robert Raus ­chenberg »; e il telegramma di risposta alla richiesta di fare un ritratto di Iris Cleri, che diceva: « Questo è un ritratto di Iris Clert, se lo dico io ». I gesti di Rauschenberg estendono sia l’esigente concettualismo di Du-champ sia le affermazioni di Cage del tipo « Le idee sono una cosa e le cose che accadono un’altra » (9). In più, egli avvicina l’oggetto se ­condo un’estetica tipica della New York School. Inserendo nelle sue opere astratte, ad olio, oggetti offensivamente incongrui â— come una capra d’angora impagliata circondata da un copertone di gomma, una trapunta e un cuscino, radio, bottiglie di Coca-Cola, uccelli, av ­visi, orologi elettrici e ventilatori per non citarne che alcuni â— egli sug ­gerì una soluzione al dilemma del seconda generazione, che si chiede ­va in che direzione avrebbe potuto andare l’Espressionismo Astratto. Più tardi, quando Warhol cominciò ad usare le tecniche della serigrafia per riprodurre fotografie sulla tela, alle scopo di sostituire la sua tecnica di frottage piuttosto rozza, le utilizzò anche Rauschenberg, la maggior parte delle cui opere, a partire dal 1962, non è più a rilievo, ma piatta. Comunque, la sua arte è rimasta fortemente personale, aspra e astratta. Le immagini commerciali, le fotografie e i segnali non sono usati in modo specifico, ma lasciati piuttosto in una sorta di sospensione poe ­tica. L’importanza di Rauschenberg per il successivo sviluppo dell’arte degli oggetti comuni risiede nella sua dimostrazione che la presenza di immagini violentemente descrittive, intatte, non precludono una solu ­zione astratta.

1 Collage,   No.   3-4,   1965.
2 Artforum (Los Angeles), Ottobre, 1963.
3 Fernand     Léger       (University     of       Illinois Press, Urbana, III., 1953), p. 77.
4 Modern Art in Advertisìng (Art Institute of Chicago, 1945), pp. 4-5.
5 « The New Realism Goes On », Art Front (New York), Febbraio 1937, pp. 7-8.
6 «A New Realism â— The Object »,   The Little   Review   (New   York),     Inverno,     1926, pp. 7-8 (scritto nel Dicembre 1925).
7 La   copertina   di     Rongwrong     (1917)   era una scatola di fiammiferi decorata con due cani che «si salutavano »; la copertina di New York Dada (1921) era una bottiglia di profumò con la scritta «Belle Haleine » e il volto di Duchamp come protagonista. Lo stesso numero portava a pagina 2 la scritta « Keep Smilìng » stampata a grossi caratteri. Altri scherzi proto-pop di Duchamp a quell’epoca furono gli annunci pubblicitari   per   la   « Archie     Pen   Co. »;     la   Fresh Widow del 1920 e la Bagarre d’Austerlitz del 1921, formate entrambe da cornici di finestre;     Wanted   del     1923,     un     manifesto che prometteva una taglia di duemila dollari     con     la   fotografia   di     Duchamp   e   gli pseudonimi Hooke, Lyon e Cinquer; le obbligazioni di Montecarlo del 1924; e naturalmente il pisciatoio del 1917. Anche i ritratti-oggetto di Picabia, prima citati, sono prodotti dal New York Dada.
8 Incisione su nastro di Bruce Glaser per la WBAI, New York, 1964.
9 « Where Are We   Going   and What Are We   Doing? », Sìlence (Middletown, 1961), p. 222.


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Bart