ARTE: Metafisica: I MAESTRI: Carlo Carrà: II nostro carattere antico #2/619 Novembre 2009 [da: Massimo Carrà: “Metafisica”, Mazzotta, 1968] Che cosa d’altro mai non ci verrebbe rimproverato dai nostri con temporanei! Il nostro carattere antico si abbarbica alla dura legge quasi per meglio addormentarsi sulla « Realtà moderna » senza distruggerla. Diciamo subito che alle volte si avrebbe voglia d’uscire da cotesto stato di ebrietà in cui viviamo; se non fosse questo un laccio magico che ci tiene legati ai nostri poveri « Dei inselvatichiti ». Sono i venti caldi della storia che ci arrecano questa disposizione d’animo per le cose nuove e profonde; sono essi che ci suggeriscono una musica pacata. Il gioco si fa serio, o amici, e” cantare alla libera questa musica potrebbe essere anche pericoloso. Non conoscemmo mai « l’indifferenza »; ma ora le nostre spasmodiche passioni hanno smesso di sermoneggiare. Preferiamo occultarci agli occhi dei profani. Siamo soli nella profondità dell’epoca, soli col nostro peccato e coi nostri studi. Per un curioso paradosso di anarchia siamo tornati, senza quasi vo lerlo, alla classicità pura. Che cos’è che ci fece suonare alle orecchie il respiro di tante cose che credevamo morte? In verità non conosciamo maggior felicità di quella di autoascoltarci. Cos’è questo sentimento che ci fa provare la gelosia che un no stro pensiero sia domani di molti, più che la nostra donna non sia più nostra? Se anche noi si avesse ridotto lo spirito dell’arte ad un comodo calcolo d’algebra e di pane, ci si sentirebbe forse più sicuri, ma anche mortificati più di quello che non si sia. I godimenti dei paradisi facili a conquistarsi, ci lasciarono sempre indifferenti. Abbiamo anche noi inneggiato ai sabba occidentali poi che allora ci si sentiva lecito d’accogliere le indecisioni fratellevoli con quella amorevolezza che conviene ai nostri democratici costumi. Ora però, fatti più cauti, non tolleriamo più quei bordelli che gli ambiziosi e i torbi de nominano « movimenti d’arte ». Gli scellerati accalappieranno sempre l’incauta gioventù desiderosa di alzare la cresta. Questi non s’avvedono che la loro avventatezza giovanile, vien spinta al malanimo e alla ingrata cocciutaggine. Da ciò si può discernere che non vogliamo più vederci di fronte e a faccia a faccia a premesse insicure. Se non pecchiamo di superbia lasciateci dire di aver buttato nel fiume buona parte del corruttibile, per ché se lo porti via, o per lo meno la nostra credulità alle bugiarde predizioni. Ci siamo fatti attenti alle verità che si dicono serie e non accettia mo che i veli siano sollevati a diletto degli indegni. Illusione che si possa agire su esseri che non vogliano, e chi lo fa ancora addimostra un tale candore estremo che va perdonato; perché è manifesto il biso gno che egli ha di dar sfogo alle passioni che lo tempestano, non noi, che dall’esperienza abbiamo perso cotesto candore e crediamo fermis simamente che quello che è particolare all’individuo non sarà mai della generazione. Quest’idea generale, che è di tanta verità, pochi l’intendono, anche perché è di pochissimo vantaggio per chi l’usa. Cosa questa che rende d’altra parte manifesto che la stessa civiltà venendo innanzi corrompe gli uomini al loro nascere e li consuma la sciando loro credere che le dolcezze son loro riserbate dall’avvenire per la vecchiaia; onde vediamo anche gli artisti mettersi presto a sala rio e considerare fin dai primi anni l’arte come utilità materiale. Così ognuno cura le sue faccende con lo scopo prefisso che i suoi familiari abbiano a mangiare e bere e dormire saporitamente; o come dice più dolcemente il Poeta, della vita amano soprattutto: venere, il sonno, il canto e le carole. Da queste nature irriflessive, arte e vita sono immaginate diver genti e contrarie, se non proprio considerano l’arte come una specie di malocchio. Se la cosa non la dicono apertamente è perché non l’osa no, ed è per pura cortesia verso quei pochi uomini di valor vero che ai teatri, agli sport, al bere e al mangiare oppongono la dura legge del lo studio. Del resto che cosa può mai importare agli uomini ordinari questo nostro sforzo, questo sottile lavorio dell’anima in paragone degli orna menti e del godimento mondano, se essi ne ignorano il rapporto? E poi, sorridere di questo grave travaglio è facile e poco costoso e da anche una cert’aria di sapienza…
La riproduzione camaleontica del vero visivo è un’altra brutta cosa che venne importata di fuori. Con fallace ardore in quei paesi ove non s’era usi alla condensazione degli elementi corporali, i pittori potevano ben darsi come ad una liberazione alla teorica degli aspetti che na scono e si risolvono senza compiersi. E fu così che venne in credito la pittura dei cosiddetti effetti di luce, roba da elettricisti commossi. Occorreva ritornare all’idea italiana della solidità originale delle cose per accorgersi dell’inganno bene mascherato dalle astute filosofie messe in circolazione con tutta quella réclame necessaria al trionfare di un prodotto industriale. Ora però, smaltita l’inevitabile ubbriacatura, le cose ritornano a rinsaldarsi nella determinatezza. Cosicché non più la rotazione estatica dei colori rompe i diletti lineari e non più ci spinge alle mobilità lievi e tremolanti e alle superfici tumultuarie. I medesimi corpi non mutano più di apparenza nelle distrazioni ef fimere, i nostri fini non si risolvono più nella luce, che non canta il peso. Gli scopi mutarono e, mediante una seconda trasposizione più ric ca, più ampia e più consapevole, il reale ritorna ad essere concepito con un inestinguibile ardore della mente che aderisce più persuasiva mente alla forma. Dopo il colore, il quadro. Ritornano le vicende del Numero in opposizione gagliarda, la se zione aurea per un più vasto respiro spaziale. La materia tonale viene adunata omogeneamente nella sua pesa immanenza. Una disciplina interna ci porta ad una più compiuta significazione, ad una cubatura pregnante di poesia. E fu così che iniziammo il nostro secondo periodo artistico dopo aver affrontato il pubblico nei teatri italiani e fatto a cazzotti sulle piaz ze per l’avvento di un’arte nuova.
* * * Riprendiamo un poco di lena e di coraggio, mettiamoci tutti in ma no al destino, e non ci lasceremo vincere dal nostro cattivo genio. Non mettiamo in dubbio la fede di un’arte italiana bevuta col latte e conna turata in noi dalla prima educazione. Crediamo e speriamo qualche cosa, e avremo ancora qualche ora di consolazione. Grave e funesto è l’errore di chi trascorre gli anni in vani sogni inconclusivi ed è purtroppo acerbissima oggidì la sua condizione. Studio matto e disperatissimo è quello che ha per oggetto la natu ra del bello, il quale riportandoci sopra noi medesimi ci crea nell’ani mo un senso di pena, che la stessa ragione c’impedisce di vincere. Eppure l’arte, con una terribile e quasi barbara allegrezza è fatta sovrattutto di amor riflessivo che fa ingrandire l’oggetto su cui posa. Perché sappiamo che essa esiste in virtù della facoltà che noi abbiamo di do minare i fenomeni e le forze brute della materia. La vita analitica dei corpi fa oscillare i nostri desiderî fra il con trapposto del disegno fermato e le sempre nascenti voluttà del parti colare ben espresso. Un’altra cagione che fece subitamente estinguere la pittura del mo vimento da noi inventata, va ricercata nella esagerata predilezione che noi avevamo per le linee curve. Non si creda che scriviamo queste parole per sputare sui cari ri cordi della nostra prima gioventù. Il problema è di molto più complesso, per grado e per qualità di elementi concorrenti, e vien spostato ora radicalmente in formule cer tificate. Tutte le preoccupazioni intellettualistiche di soggetto e di conte nuto possono generare malintesi fastidiosi; poiché nelle opere che risen tono delle teologie vediamo un falso contenuta soverchiare la sensibilità generatrice di ogni forma vitale. Pure non possiamo ammirare l’inge nuità dei selvaggi, né sopportare quella degli « artisti popolari ». E’ passata molta acqua sotto i ponti dell’arte, ma ci rimangono sempre da chiarire le proprietà che presiedono alla pittura, le quali si possono riassumere nei seguenti momenti dello spirito: a) La linea (rette e curve in contrasto) nei suoi accordi proporzio nali di forze singole; b) il tono particolare degli aspetti del reale (rapporto simultaneo di chiaroscuro e di cromatismo); c) raggiunto il primo stadio della forma, trovare l’equilibrio dei volumi, cioè a dire « l’ordine » sintetico e definitivo del quadro. Non di mentichiamo che l’arte non può essere unicamente il riflesso immediato di una sensazione e nemmeno queste forme devono rimanere grezze espressioni esteriori della realtà circonfluente, o limitate a fermare le ombre di un certo moto vibratorio. Fu il naturalismo moderno che portò all’aneddoto e si rinchiuse e tagliò tutte le possibilità, in un mero fenomenismo fisico; per cui nes sun bello pennellare può mascherarne la sterilità spirituale. I furbeschi accorgimenti, la pseudo scaltrezza del taglio e delle linearità ben ag giustate non bastano a sostituire la funzionalità creativa che manca. La quasi totalità degli artisti crede ancora, con Monet, che la pit tura deve limitarsi all’ufficio di solleticare la sensualità delle nostre pu pille. Questi, naturalmente, sono portati a credere eccellente la produ zione naturalistica sotto tutti i rapporti. Chi non sente la suprema armonia dei volumi, la profonda raffina tezza di un insieme di forme ben costruite potrà trovare persine tollera bile la sterilità e il dilettantismo che improntano ormai generalmente l’arte. Quale meraviglia che il pubblico traviato e grossolano la pensi nel modo della paesana critica-pupazzettistica, la quale limita la fun zionalità artistica alla linea vaga d’una pseudo sensualità cromatica, che nulla ha a che vedere con l’ebbrezza lirica delle vere realtà plastiche? Meccanismo e fisicismo sono stadi inferiori della contemplazione, ed ogni forma fabbricata da questo momento inferiore rimarrà sempre apparenza illusoria. Queste sono veramente « qualità », che per quanto diffuse ed apprezzate, non invidio. Il naturalismo pittorico, viene giudi ziosamente combattuto dalla giovine scuola italiana, ma vedremo più avanti con quali elementi di caducità, e quali siano i suoi insanabili er rori di rinascita. Un certo istinto è certamente la prima necessità che fa il pittore; ma occorre dominarlo e a grado a grado trasformarlo da forza impura a chiara coscienza; senza di che all’arte non si arriva poiché la sua realtà nega ogni « moto informe » nella sua storica immanenza. E ciò conferma la sentenza che la sensibilità non basta all’atto creativo. La piacevolezza e le sinuosità cromatiche di Signac, se mi hanno interessato un tempo, ora, più maturo, le considero oziose più di quelle di Monet. Creazione dunque e non imitazione fenomenica. Certe lievi scosse nervose ci fanno sorridere e non possiamo più scambiarle con le vere gioie dello spirito. Le smarrite necessità dello stile ritornano; o meglio sono rinate e l’artista, con maggiore purezza di una volta le proclama irrefutabilmente presenti. Mai come oggi si è sentito così importante questo problema da quelli che sono esponenti dell’anima collettiva. E’ la legge di realizza zione che presiede alla plastica rappresentazione; poiché, si dica quel che si vuole, ridurre la pittura ad una raffigurazione realistica degli aspetti umani e naturali equivale, press’a poco, ad ignorare i fini supe riori dell’arte…
La creazione artistica importa una vigile, diligente, attenta volontà e richiede uno sforzo continuo di non voler lasciare andar perdute le « apparizioni ». La creazione artistica, che è compiacimento della imma ginazione e dell’intelletto è destinata a stimolare nell’animo del riguar dante, un significato particolare e una ripetizione analoga di quel com piacimento. Ciò posto, non ci deve meravigliare che i temperamenti semplici e di scarse qualità peculiari, si sperdano nei ghirigori dei mondi chirnerici, e che le loro sensazioni si dissolvano in ipotesi intenzionali così vaghe che non possono trovare in nessun modo adeguata conclusione nei valori specifici dell’arte. In tempi come il nostro, del più sfrenato libertinaggio pseudo arti stico, ogni cosa si determina nella intelligenza astratta, e ogni opera è tutt’al più il risultato, poco o molto affaticato, di una forma mentis aprio ristica che resiste fin che resiste la teoria che l’ha prodotta. Mentre l’universalità della vera opera d’arte non scaturisce da posizioni spe ciose, né può accontentarsi di stadi incerti della coscienza confusa. La quale confusione la ritroviamo in quel famoso semplicismo ambizio so e sibillino delle mentalità pratiche venute all’arte per vanità, prive di ogni amore disinteressato senza il quale non può sussistere alcuna forma d’arte. L’universalità è data all’opera dal perenne interesse che suscita in noi. Ora, la pittura modernissima (i nomi si dichiarano per se mede simi quando anche si tacciano) non si rinnova per di dentro con un lirismo originale, ma si determina in concezioni arbitrarie, oscillanti fra il contrappunto del disegno e il contenuto funambolistico del sog getto soverchiante la sensibilità. Con tutto ciò è evidente che chi non sa e non può resistere nello speculare sulla liricità intrinseca delle for me è portato in posizioni ipotetiche e non riuscendogli d’incarnare la materia, le sue sensazioni si liquidano in un mondo immaginario che di sdegna le proporzioni di quello reale. Il quale mondo, volendo ripro-dursi più grande del vero, si riduce ad essere assai più minuscolo di quello naturale. Or dunque, a rigor di termini, si può dire che la co scienza estetica di questi giovani pittori â— malgrado il loro vantato in gegno assimilatore e l’animo gagliardo, â— non sa concretizzarsi, di ma niera che la realtà vien giù faticosa, grezza e come spezzata sul nascere. Conosco dei pittori che si dicono tormentati da mille interrogativi categorici; â— e può esser vero. â— Ma se questo fatto costituisce la loro nobiltà e il loro dramma, a noi non basta sapere che il loro spirito è in quieto e in crisi continua o in continua via di purificazione. Non si superano gli schemi e i programmi se non si riesce a realizzare in profondità l’oggetto specifico delle « apparizioni »; se a que sti interrogativi nobilissimi non si da adeguata risposta. Altri vorrebbero velare con una giocondità furbesca â— quasi sempre forzata e fuor di proposito, la loro vacuità spirituale. Sono costoro che si dichiarano in ogni ora del giorno e della notte i più moderni, i più avanzati, i più avanguardisti. Costoro trovano tuttavia redenzione nella travagliata esi stenza del povero italiano pieno di desideri di vita. La coscienza estetica del nostro tempo non è certo quella che si ritrova nei sentimentalisti dell’arte, ma costoro, alla maniera della gente senza misura, adducono troppo spesso delle curiose circonlocuzioni per giustificare le loro vaghe idealità, le quali idealità poggiano troppo verso le forme emblematiche non potendo sempre celare il loro incerto ideale â— lontani come sono dalla materia medesima che informa anche gli ideali sbagliati â— ricorrono a quei tali succedanei dell’arte che sono le teorie. Ma se si volesse vedere un po’ addentro alle loro storie, si scoprirebbe che esse sono impastate con i resti delle nostre ricerche d’un tempo, e che essi ripetono peggiorandole. Ma questo avverrà sem pre a quelli che hanno bisogno di fare gazzarra; per difetto di facoltà riflessive â— ch’è come dire per mancanza assoluta di senso â— si ac contenteranno sempre di navigare in una corrente torbida, convinti che nessuno vorrà cercare le cause di questo torbidamente… Vedranno forse anche i riottosi che si tratta di un ritorno che ha di già fruttificato, non di una di quelle forme di imitazione a forme pitto-riche precedenti, neppur come tali nuove di Derain e di Picasso, ma piuttosto di quelle « visioni complesse » che avevano date con ostinate fatiche Poussin, Ingres, e Cézanne. E tutto questo per rientrare nella legge dell’antico, e sempre nuovo, Mysterium mirabile, capace di mani festarsi in veri atti di consolazione spirituale senza nausea e senza ri morsi. (Anche un risultato negativo ha pure la sua importanza, quando si manifesta in un bisogno sincero â— con accertata dottrina e con una particolare tramutazione di valori, â— quel non so che d’antico e di mo derno, sempre pieno del fascino della più grande poesia plastica). Non v’è, del resto, obbligo di aver partecipato agli ultimi avveni menti artistici per capire che proprio era a noi comandato d’iniziare il nuovo orientamento, e d’insorgere contro questi benedetti avanguardi sti odierni, i quali sparano in faccia periodicamente agli ingenui, le loro uggiose mitraglie cromatiche. E così vive e fa progressi l’arte italiana. Bisogna dunque riandare a quello che era in noi germe vitale, ma in una maniera nuova, di modo che il nostro sentimento si sprofondi nella forma antica per riapparire amabile creatura pittorica, ancor che questo eterno lirico rancore ci avesse portato un dì fuori da ogni idea di finez za e di grazia. Abbiamo prima di ogni altro compreso che con le idee malcerte non si cammina, e che non scema l’amore gagliardo degli storici atteggia menti se si fanno tacere in noi le irrequietezze della prima gioventù. Così, sarà a ragion veduta che le bufere si saranno alquanto che tate e non avremo più manìe di farci a tutti i costi una maniera originale della interpretazione della realtà, che verrà da sé. Questo significa che si è spento in noi ogni desiderio polemico, o almeno il desiderio di certe polemiche bambine, fatte quasi apposta per sabotare tutta l’opera di rieducazione artistica da noi iniziata dal 1910.
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Fin dai giorni delle « scomposizioni » cominciava in noi quello sta to d/incertezza che precede le grandi risoluzioni, perché ci s’era fin da allora fatti accorti che per la via lineale si ricadeva dal lato opposto nell’errore degli impressionisti. Nondimeno credemmo non fosse necessario rompere con atti bru schi la legge di continuità e cioè troncare a mezzo quelle esperienze della pittura energetica che nel nostro animo non erano ancora esaurite. Oscuro è il principio che presiede ad un atto della spirituale vo lontà, ma noi sappiamo che bisogna tener conto di tutte le immersioni, anche di quelle fugaci. Qualunque possa essere la passione che attraversa ed agita oggi gli animi, queste crisi di ascensione del nostro spirito devono essere accolte come il travaglio della nostra coscienza, ancorché non bene di stinte da nof medesimi in tutto il loro significato. Si dice che al sole segue la pioggia, alla pioggia succede il vento e al vento segue la neve e che la neve se ne va col sole. Tale è la legge che governa il mutar delle idee. Da certi sentimenti ne sorgono altri; per lasciare il posto ad altri ancora. Così è la vita delle stagioni: questo è il destino della umanamente…
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Forse è un atto di presunzione che noi commettiamo, quando affer miamo di occuparci degli interessi dell’arte in generale, ma se si la sciano da parte le ironiche sottigliezze, si deve pure ammettere che vi sono casi e situazioni che non sono stati ancora presi sufficientemente in considerazione. Vi sono sforzi silenziosi, attività non riconosciute che cercano al desiderio far seguire docili fatti; mentre i soliti distributori di fumo, chie dono e distribuiscono diplomi di virtù. In base a questi perentori dati di fatto, è doveroso tentare di mettere a posto le cose con qualche chiarezza e misura. Non faremo esplicita menzione delle particolari condizioni della arte in generale se non per quel tanto che può entrare nel nostro ar gomento. Non si creda però che noi vogliamo isolare il problema dell’arte nazionale dalle finalità dell’ordine europeo â— universale, dal quale ogni problema d’arte è in diretta dipendenza; né ci fermeremo dettagliata mente sull’opera che i giovani sono chiamati a disimpegnare, per quan to gravi responsabilità pesino su chi ha qualche coscienza della situa zione in cui l’arte italiana si trova per cause di varia natura. Voler fare l’anatomia di queste cause può essere che equivalga cadere nell’errore di chi isola e seziona le parti del corpo umano nella folle pretesa di scoprire la legge della vita non solo, ma ancor quella degli umani sentimenti. Dall’altro lato, correre lieti verso certe ubbriacature, gridando evvi va o abbasso a seconda delle simpatie o antipatie, significa perdere il contatto con la concretezza delle cose; onde consegue, se non si può ragionevolmente isolare l’esame di una singola parte senza tener conto dell’idea che le parti ha generato, non potersi formare un’idea gene rale senza considerarla nelle sue particolari attuazioni. Sia che si pro ceda dal concetto generale a quello particolare o che dai particolari si proceda all’idea generale, sia che si proceda per sintesi o per analisi, ogni problema d’arte deve risultare connesso nelle sue parti e nella sua unità necessaria. Ma noi sappiamo che nella somma delle esperienze, entrano va rietà infinite di elementi nuovi ed imprevedibili per cui l’unità, o non si raggiunge, o sboccia in maniera diversa da quella preveduta. Nell’attività estetica, più che in ogni altra attività dell’uomo, non si conseguono mai i fini per i quali ci siamo mossi. Ma nei giorni di mag giore disorganizzazione estetica, ogni appiglio è buono. Oggi appunto sul crocicchio delle direzioni buie, cozzano e si contendono il primato tendenze egualmente false, per uomini di fantasia. Leggera come una polla si genera lenta la spiritualizzazione, ma uno che è voglioso di bene capire, non spaura delle forze avverse. Non più le fisiche illuminazioni ci costringono a giocare a mosca cieca col nostro pensiero. Questa è la teoria dei giocatori di carte, i quali se cercano fiori ed esce picche, cambiano la base delle loro ope razioni. E’ facile arruffare accenti affrettati in guazzetti di ipotesi di dubbio sapore, o tracciare figure improvvisate senza evidenze e saldature pre cise e controlli provati. Ma se vi sono infinite maniere per errare, vi è un modo solo per operare giusto. Vane sono le rivolte superbiose, come è vano il cercare le ragioni del nascere, ma molto l’uomo si avvantaggia dal sapere dove vuole andare. Nel giudizio ritornano i piani e le distinzioni. La coscienza si mani festa in totalità. Le figure delle idee si fanno chiare come quelle della geometria. Dalle cose elementari si entra nella sfera delle sublimi. E’ dal Principio e dal termine che si scoprono aspetti ridenti e pro fonde obbiettività vive in ogni fattezza cosciente. Noi sappiamo che su questi problemi la sentenza non è presto data, ma è qui che il nostro cuore si consuma in una complicata operazione, la quale vuole che le cose siano fuse in un sol canto dalla voce plurale. Così la spirituale forma si appalesa evidente, indivisibile cioè ne cessaria, alla guisa che nel cerchio appaiono il concavo ed il convesso. Tragico è il conflitto con l’immagine dell’universale silenzio. Le cor renti serrano lo spirito da ogni lato e contrastano la visione; ma la libertà che lo muove realizza alla fine quella realtà metafisica che fa le cose eterne. Non ci prenderà mai timore che quello che abbiamo detto si risolva in una bravata. Noi intendiamo tirare oroscopi. Non siamo di quelli del sicuro definitivo, i quali ad ogni amore argomentano meccanica. Che importa se chi guarda con tranquillità la plenitudine del suo spirito, lo si prende oggidì per l’idolatra sciocco che in Isis o in Osiris si dissolve ghiotto di nulla? Noi queste parole le abbiamo scritte un giorno in cui alla voce in-teriore demmo un nome e una persona e termini corposi di matematica misurazione. Era quello uno dei tanti giorni del nostro incantesimo, e noi scrivemmo queste parole sul quaderno gaio della nostra intelli genza…
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Non si tratta qui di fare il processo intimo ed obbiettivo ad una forma definitiva, perché di definitivo non c’è nulla, ma ad una forma di arte appena sbozzata, semplice ed elementare. E piuttosto che una norma si vorrebbe dare qualche suggerimento generico. Cionondimeno il cambiamento dei criteri e dei postulati, la scelta e la determinazione di questi è di già una buona garanzia di serietà e di probità, se non ancora una dimostrazione di nuove costruzioni di for me cercate ed immaginate e invocate finora indarno. Ma fin d’ora si potrebbe dimostrare coi fatti alla mano, che la pit tura metafisica, non è che uno sviluppo intuitivo di quelle precedenti; e come fatto effettivo si tratta forse di una prima imprecisa proiezione ideale, di primi passi su terreno impervio e difficile, d’un desiderio irre frenabile di uscire dalle forme puramente sensorie e materialistiche, per quanto ci sembri superfluo rivendicare a questa forma d’arte le radici nella tradizione italiana; né rivendicare vogliamo ad essa l’avvenire, perché l’arte come la storia, attraverso gradi successivi, senza che però questa alteri e cambi la sua essenza profonda, ha in sé l’avvenire. Come si vede non facciamo questione d’originalità ma bensì di ori gini per il raggiungimento di forme rigorose ed immutabili…
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Così ci avviene di vedere che bastarono i tepori della nostra at tuale primavera, (le nostre opere non sono che i primi boccioli di una sgelatura vivificante), per mettere molti giovani in giro a vociare di una autentica età solare. A parte una certa ingenuità â— che è sempre fan-farona per definizione â— bisognerebbe cercare d’intendere bene subito di che si tratta quando si dice « Principio Italiano »; perché vi è da noi troppa gente impigrita dalle annose consuetudini mentali, la quale pren derà motivo dal nostro orientamento verso la tradizione, per tentare di fermare il corso della vita spirituale italiana; e con riferimenti precon cetti e schemi presi dai magazzini dell’accademia, cercherà di confon dere e di intorbidire le acque. Alla guisa degli indovini dell’inferno dantesco, cotesta gente guar da l’avvenire con la faccia stravolta dalla parte della schiena: e non mi ca per istudio e per fare delle esperienze su quello che è stato creato, ma solamente perché è spinta dal proposito di negare ogni nuova in trapresa. Ma poiché ciò è ormai un assioma diluito e volgare presso gl’intel ligenti, passiamo ad esaminare un poco quello che si intende per «ori ginalità » e che oggi ha invasato la maggior parte dei giovani. Forse que sta parola costituisce il più grosso e sconfortante equivoco uscito in questi anni dalle botteghe della paesana artisticheria. E’ acerbo per l’uomo sensitivo, il vedere come l’arroganza, la bo riosa ostentazione, le azioni più frivole, le più scipite vacuità, la lussu ria e ogni peggiore eccesso, costituiscano oggidì la più virtuosa por zione degli artisti.
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Da questo nasce quella cura vicendevole che addimostrano i pitto ri d’oggi di sorpassarsi l’un l’altro nell’invenzione incessante di nuove maniere, supponendo con tal artificio di muovere l’ammirazione del pub blico, non curandosi di migliorare le loro reali facoltà creative, donde quella produzione che appartiene più alle strampalate bizzarrie che a quella vera immaginazione la quale mentre non stanca la mente non diverge l’attenzione dallo scopo sostanziale dell’arte. Ed è appunto questa pietosa manìa di sembrare originali, che vieta ai pittori contemporanei di concepire le variate grazie dei rapporti linea ri, tanto essenziali per produrre quel magico incanto ch’era pur un dì familiare ai pittori. Così avviene che se noi consideriamo da una parte come cose mo leste gli ordini chiusi, i sistemi anchilosati e le forme morte di chi si sforza di rimettere in circolazione i precetti di buon’anima Accademia, dall’altra dobbiamo richiamare i giovani che oggi negligono le più ele mentari vigilanze e in grado sommo qualsiasi necessità di studio per seguire il tic della melensa bizzarria; perché in fin dei conti, non dob biamo mai dimenticare che chi si astiene dallo studio dei grandi autori per tema di perdere la sensibilità nativa, non creerà che una forma di arte senza radice e senza reale eccellenza. Sarebbe come se uno dicesse possibile divenire poeta celebrato, essendo privo totalmente d’ogni pregio di lingua. Anche la terra non produrrebbe che sole piante selvatiche se la cu ra e la fatica dell’agricoltore non la ponesse in istato di poter con profitto ricevere le semenze e partecipare il nutrimento ai più delicati prodotti. Così accade al pittore, finché ignora i contributi preziosi portati dai maggiori artefici fioriti nei secoli. Chi ha paura di perdere il senso poe tico, nativo, non si dia all’arte o alla poesia che sono cose che presuppongono conoscenza degli sviluppi storici e della legge informativa del l’espressione.
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Tuttavia vi sono quelli che, vedendo i quadri dei grandi autori, o acquistano una falsa sensibilità non avendone, o corrompono quella che avevano per natura. Come si vede è sempre questione d’intelligenza e di misura, per ché invece chi studia con acume le opere dei maggiori, superate le diffi coltà tecniche che si oppongono alla sua comprensione, saprà accele rare gli sviluppi della sua sensibilità nativa, e meglio degli altri potrà guardare il suo estro; o per dire quella forza che scava entro di noi, piani, linee e superfici, e le coordina in una prima ragione che fa unità degli elementi discordanti della sensazione: â— parola questa che signi fica quell’emozione improvvisa e irriducibile manifestantesi davanti al le cose.
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Ma ora se ritorniamo al punto primo del nostro discorso, vedremo le ragioni fondamentali su cui poggia il Principio dell’arte nostra, il quale siccome ha portato alla gloria dei secoli il nome italiano, potrà nuovamente risplendere se noi saremo buoni intenditori a nostra volta. Di già Alberto Duro â— per dirla col Vasari â— da quell’eccellente discer nitore e rinnovellatore della realtà, aveva capito il profitto cospicuo che ne avrebbe tratto se egli bruciava le sue frenesie nordiche a una tal buona combustione; come più tardi per successo di tempo, Poussin, Delacroix, Ingres, Cézanne ed altri eminenti artisti alimentano a questo stesso buon calore antico il loro spirito sognante, per poter attuare for mule tangibili e certificate, vale a dire quelle espressioni che danno ca rattere all’arte che a tutte le epoche sopravvive. Perché, infine, l’idea dell’arte italiana, quando è, sta al vertice di ogni aspirazione costruttiva e si presta a perenni sviluppi. Attenti però che questo Principio può far germogliare benefici e insieme gravi superstizioni.
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Ed è soprattutto quando il pittore non riconosce la sua portata e vuole creare opere più alte di lui, che altera il modo di vedere il grande nel semplice e il vero nel naturale e scivola quasi senz’accorgersene, nel falso e nel manierato, e che nel pletorico delle rettoriche cerca di attuare le sue visioni. Così vi sono molti pittori che hanno il partito preso di far forte e profondo, quando invece per creare opere veramente eccellenti, bisogna molto studiare ma poi lasciare alla natura tutta la sua libertà operativa. Non si dimentichi mai che le stesse questioni giuste possono ve nire risolte in cento modi egualmente falsi. Detto questo non vi è ragione di credere che la nostra passione per l’opera di stile ci porti a manifestare di quelle teorie pitturali che fanno obliare la immediata spontaneità senza la quale si cede al gelido e si tradisce qualsiasi buona riuscita. Mortalissimi nemici di ogni genere di affettazione, ancorché si voglia una chiara posizione per dare con sistenza alla nostra ispirazione, lasceremo sempre sotto un morbidetto pannicino quelle parti dell’arte che debbono tenersi nascoste, per non cadere nei soliti peccati di superbia ciarlatanesca da cui deriva agli artisti ogni più grave danno.
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E quello che alle volte ci percuote di stupore, è vedere certi pittori cercare l’ordine e il metodo fuori dalla legge, e che poscia guidati dal caso credono in buona fede di rappresentare magari la nostra tradi zione col suo bravo contenuto. Chi scrive guarda con spirito scevro di preconcetti, ma crede di non varcare i limiti del giusto se afferma che nessuna delle attuali dominanti tendenze artistiche risponde all’aspettazione dell’epoca in cui viviamo, né all’ardore dei nuovi bisogni. Sappiamo anche noi che è un conto affermare che in tutte le cose bisogna mirare (come i matematici usano) al centro e l’altro il dimo strare come ci si arrivi; onde trovandosi nella impossibilità di suggerire precetti precisi, gli scrittori dell’arte dovrebbero limitarsi a suscitare nell’animo dei giovani pittori quell’amore e quella serietà che sono il solo presupposto perché l’impresa succeda alla speranza. Dire oggi arte d’invenzione a carattere di storicità equivale a rico noscere che l’arte è tutt’altra da quella che fu cinquant’anni or sono col « quadro storico »: essa procede da altri impulsi, vive in altri am bienti, è stretta da altre necessità. Allora si faceva quasi esclusivamente questione di «soggetto »; oggi si riconosce che l’eccellenza d’un’opera non risiede nella cosiddetta bella elaborazione, per quanto sia questa una necessità conseguente, bensì nella esclusione d’ogni superfluo e nella intrinseca densità uguale in ogni sua parte; la qual cosa significa unire l’estremo della semplicità al massimo della magnificenza. Né agli intenti mancheranno i fatti se il pittore terrà conto dello spirito dei tem pi, dando ad ogni predecessore quello che gli si deve con schiettezza e purità, che è vera, non verosimile gratitudine. Ognuno l’intenda a suo modo, così come gli viene in taglio, poiché solo la pratica fa il giudizio, e ancorché oggi ogni cosa venga ragionata in forma di concetto astrat to con le teorie alla mano, noi diremo che per noi pittori tutto si riduce a quella sincerità che nella pratica dell’arte altro non è che trepidazione peritosa. Per noi la dottrina è un atto che fa rilucere la genuinità, ma è estranea alle vicende della fortuna e della riuscita. La sincerità può essere contradditoria, ma non mai vuota di possi bilità fattive. Queste parole non sono forse sufficienti per suggerire a chi ci leg ge, l’idea che noi abbiamo della sincerità che è infine un attributo natu rale che potrebbe essere paragonato solamente al riso innocente di un saggio. Forse la sincerità assoluta, come la purezza non è cosa da prendersi alla leggiera; ma oggigiorno sorridere di queste questioni costa poco e può anche sembrare molto intelligente. Dal che si deduce che se propugnarne a noi stessi rispetto appale sato al « Principio italiano », gli è che crediamo in una legge di coor dinazione del reale visivo senza la quale il quadro permane un frammen to che indarno aspira ad un centro unitario. Non ci curiamo punto se sulle nostre vedute particolari, le critiche pioveranno da ogni parte. Quello che è certo gli è che se osservate l’« impressionismo » che fu come il contro altare dell’« italianismo », non vi stupirete della rea zione cézanniana, né di quello che fin qui abbiamo narrato. Del resto è di molto naturale che il controveleno fosse trovato pri ma che altrove, là, nel paese ove il flagello aveva mietuto di più. * * * Changeons en notre miel les plus antiques fleurs; Scritto nel 1916 e nel 1918, e pubblicato in Pittura metafisica, Vallecchi, Firenze 1919. Letto 2193 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||