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Non ci si deve dimettere per un avviso di garanzia

18 Novembre 2009

Mi trovo d’accordo con Casini quando afferma (qui) che Berlusconi, anche in caso di condanna in primo grado, non deve dimettersi. Fra parentesi: oggi Casini attacca Schifani, ma non ricordo se attaccò anche Fini quando a luglio disse le stesse cose (qui). Lo stesso fa il Pd, secondo quanto riportato dal Tg2 delle 13. E’ il solito doppiopesismo, a cui siamo da tempo abituati.

Ormai è un dato acquisito che una parte della magistratura è politicizzata. Se non si hanno le prove provate è perché la magistratura è la sola padrona degli strumenti di indagine. Tutto avviene all’interno di una fortezza in cui nessuno può entrare. Però i cittadini ormai sospettano, hanno dei dubbi che si tenti, attraverso gli strumenti potenti della magistratura, di fare politica e decidere chi deve o non deve governare il nostro Paese.

Tutto questo potere le deriva da una consuetudine atavica che, se poteva andare bene nel lontano passato, ora mostra la corda. Ossia, un parlamentare, non appena riceve un avviso di garanzia, doveva e deve dimettersi. Da qui la vulnerabilità rispetto a disegni  prevaricatori della democrazia.

Tabacci raccontava a Porta a Porta dell’altro giorno, consigliando Cosentino  a fare altrettanto, che non appena era stato raggiunto da un avviso di garanzia si era dimesso. Solo quando, dopo dieci anni, è stato definitivamente assolto, è rientrato in politica.

Se è vero che Tabacci ha rispettato una consuetudine, è anche vero che il riconoscimento così tardivo della sua innocenza (e queste cose sono accadute ad altri parlamentari) ha impedito allo stesso di esercitare in tutta legittimità un mandato ricevuto dagli elettori.

C’è solo una strada da intraprendere, secondo me, quella segnata dalla Costituzione, che all’art. 27 recita (il grassetto è mio):

“27. â— La responsabilità penale è personale.
L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva .
Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.
Non è ammessa la pena di morte”.

Dunque, qualunque cosa accada ad un parlamentare per effetto di un’azione giudiziaria, egli non solo non è tenuto a dimettersi dall’incarico (proprio perchè la Costituzione lo considera innocente), ma non deve assolutamente farlo, poiché, essendo innocente, deve prevalere in lui il senso del dovere che gli deriva dall’essere stato scelto dal corpo elettorale.

Questa prassi deve perciò finire, ed un parlamentare deve restare in carica fino a che una sentenza definitiva, passata in giudicato, non lo dichiari colpevole. In questo modo, e soltanto in questo modo, è rispettata la Costituzione.


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Bart