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ARTE: PITTURA: I MAESTRI: Campigli e le Muse

9 Agosto 2014

di Leonardo Sinisgalli
[dal “Corriere della Sera”, domenica 28 dicembre 1969]

C’è chi dice che dietro l’opera pubblica di Campigli ce n’è una privata, segreta, ch’egli non conserva, distrug ­ge. Raccontano di averlosor ­preso a studio mentre scorti ­cava una tavoletta; giurano di averlo visto pestare per terra il quadro fresco per ren ­derlo illeggibile.

Campigli, insistono, ha una produzione clandestina che egli si affanna a cancellare via via. Fa come le bestie che coprono i loro escrementi con la polvere. Quale significato può avere questa leggenda non si capisce. Non si spiega perché Campigli come una madre insana debba sgozzare i figli appena nati. « Campigli uccide i figli dell’amore e mo ­stra al mondo i suoi alibi, le prove della sua onorabili ­tà ».

Insomma che cosa avrebbe da nascondere di tanto ver ­gognoso? Anche Mallarmé proibì nel suo testamento per ­fino ai familiari più intimi di rovistare nei cassetti.

E’ acquisito universalmen ­te che l’idolo di Campigli non è la donna â— come lui pro ­clama ai quattro venti â— ma l’androgino. Un rebus simile si è presentato per Leonardo da Vinci. Campigli finge am ­mirazione e devozione per la donna â— madre sposa vergi ­ne regina madonna â— ma si ­curamente, come Verlaine, egli la detesta. Tuttavia non si è mai scoperto: a differen ­za dei poeti che in genere so ­no perfino troppo espliciti, da Anacreonte a Kavafis. Quando ha dovuto dipingere un uomo, il ritratto di Carrieri o di Gio Ponti, mettiamo, lo ha stravolto, gli ha cambiato gli ormoni. Guardateli bene i pochi ritratti maschili e pensate per un mo ­mento alla Gioconda: i baf ­fi, pare, che li avesse dav ­vero.

Intanto Campigli non si è mai accorto dell’esistenza del ­le cose. Esistono per lui sol ­tanto le persone. Non certo gli oggetti o il paesaggio. Tra ­scura la materia inerte, la na ­tura, per curarsi della figu ­ra, dell’anima.

Il problema di Campigli non è stato mai meramente tecnico. Certe ascendenze vi ­cine sono perfino equivoche, che so?, il purismo, il Nove ­cento, il gusto dei primitivi. La spinta espressiva non è primaria. Non penso che ab ­bia fatto il pittore perché amava il disegno o il colore. Difatti era giornalista.

Campigli avrebbe potuto fa ­re il fotografo, appostarsi da ­vanti alle chiese, ingrandire le foto dei defunti. Poteva fare lo scultore, romano o gre ­co, ritratti, lapidi, cenotaffi. La pittura, l’ha detto lui stes ­so « mi parve il messo più facile e più piacevole ».

Con una buona creta si può fare una buona tazza e con una buona farina si può fare un buon pane: ecco tutto. Ri ­cordo dunque alcuni quadri con paste chiare, rosa, rosee, gialle, dorate, come si dice parlando di terraglie o di bi ­scotti. Campigli, poeta vero, si è dimostrato sempre osse ­quente verso la retorica, le convenzioni, i modelli.

Il poeta autentico non vuo ­le sembrare originale. L’originalità   la lascia ai dilettanti e lascia ai dilettanti le scor ­ciatoie. Pur non consideran ­dosi mai un professionista Campigli ha preferito fabbri ­care delle effigi piuttosto che dei volti. Schiacciate di piat ­to o di profilo sembra pro ­prio che non siano mai esi ­stite altro che dipinte. Il ve ­ro, la natura, che illusioni. Egli non ha mai aperto la fi ­nestra per vedere la luce.

Come può giustificarsi que ­sto suo rifiuto dell’attualità e delle correnti d’arte viva? La idea boccioniana dell’antigra- zioso è certamente arrivata fino a lui. Così com’è arriva ­to il neoclassicismo picassiano. Ho accennato di sfuggita al purismo: è stato probabil ­mente il lievito intellettuale più generoso per le speciali attitudini di lui. Una indub ­bia piega decorativa della sua opera â— affreschi e mosaici, pareti e pavimenti â— può essere stata bene accolta dal ­la sua fede artigiana, mai ne ­gata, ansi sempre esaltata, fino a compiacersi di scopri ­re al Musée de l’Homme il cranio di un fabbro fiorenti ­no. Non ha mai parlato di missione metafisica della pit ­tura, o di sublime operazione mentale. Si è tenuto al sicu ­ro, ha fabbricato le sue ope ­re spessissimo per commissio ­ne e sempre col proposito diriuscire gradito al cliente, ar ­chitetto o bottegaio, se non proprio principe o priore.

Le sue Muse sono cresciu ­te e invecchiate. Hanno ab ­bandonato le palestre, le spiagge, i terrazzi dove visse ­ro in gruppo per tante sta ­gioni. Vissero guardandosi, autosufficienti come i fiori; sorelle cugine parenti. Non homai sorpreso un gesto che non fosse familiare, pudico. Mai una moina, una manfri ­na. Intrecciavano le dita delle mani, intrecciavano le brac ­cia per mettersi in girotondo. Avvicinavano le labbra al lo ­bo di un orecchio per pas ­sarsi la parola, si buttavanoai piedi di una partner per fare una penitenza. Le vedem ­mo allacciate per i capelli sull’altalena, giocare con le fu ­ni, con gli anelli.

Come negli epigrammi e sui bassorilievi Les jeunes filles sono ora irriconoscibili. Vivo ­no alle finestre, ai balconi, o in un angolo recondito di uno sgabuzzino. Chi aveva un temperamento più vivace fa la levatrice, forse la mante ­nuta. Altro che regine. Cam ­pigli racconta che da bambi ­no amava circondarsi di bam ­bole, di specchi, di culle. Face ­va la fidanzata di suo cugi ­no. Ma a volte si presentava a scuola col toupé, la gonna e gli stivaletti. Nessuno di noi si è mai meravigliato di vedergli portare gli orecchini e i bracciali con tanta disin ­voltura. Ora i suoi idoletti a forma di bottiglie o di pupe zuccherate o di losanghe in ­trecciate di fichi secchi somi ­gliano sempre più a oggetti votivi.

Il suo mondo si è come car ­bonizzato. Bisognava aspet ­tarsi questo fatale crollo, dal ­l’idillio all’epitaffio. Ma la fon ­te dell’ispirazione non si è ina ­ridita, scorre ancora, è un filo silenzioso.


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Bart