ARTE: PITTURA: I MAESTRI: Campigli e le Muse9 Agosto 2014 di Leonardo Sinisgalli C’è chi dice che dietro l’opera pubblica di Campigli ce n’è una privata, segreta, ch’egli non conserva, distrug ge. Raccontano di averlosor preso a studio mentre scorti cava una tavoletta; giurano di averlo visto pestare per terra il quadro fresco per ren derlo illeggibile. Campigli, insistono, ha una produzione clandestina che egli si affanna a cancellare via via. Fa come le bestie che coprono i loro escrementi con la polvere. Quale significato può avere questa leggenda non si capisce. Non si spiega perché Campigli come una madre insana debba sgozzare i figli appena nati. « Campigli uccide i figli dell’amore e mo stra al mondo i suoi alibi, le prove della sua onorabili tà ». Insomma che cosa avrebbe da nascondere di tanto ver gognoso? Anche Mallarmé proibì nel suo testamento per fino ai familiari più intimi di rovistare nei cassetti. E’ acquisito universalmen te che l’idolo di Campigli non è la donna â— come lui pro clama ai quattro venti â— ma l’androgino. Un rebus simile si è presentato per Leonardo da Vinci. Campigli finge am mirazione e devozione per la donna â— madre sposa vergi ne regina madonna â— ma si curamente, come Verlaine, egli la detesta. Tuttavia non si è mai scoperto: a differen za dei poeti che in genere so no perfino troppo espliciti, da Anacreonte a Kavafis. Quando ha dovuto dipingere un uomo, il ritratto di Carrieri o di Gio Ponti, mettiamo, lo ha stravolto, gli ha cambiato gli ormoni. Guardateli bene i pochi ritratti maschili e pensate per un mo mento alla Gioconda: i baf fi, pare, che li avesse dav vero. Intanto Campigli non si è mai accorto dell’esistenza del le cose. Esistono per lui sol tanto le persone. Non certo gli oggetti o il paesaggio. Tra scura la materia inerte, la na tura, per curarsi della figu ra, dell’anima. Il problema di Campigli non è stato mai meramente tecnico. Certe ascendenze vi cine sono perfino equivoche, che so?, il purismo, il Nove cento, il gusto dei primitivi. La spinta espressiva non è primaria. Non penso che ab bia fatto il pittore perché amava il disegno o il colore. Difatti era giornalista. Campigli avrebbe potuto fa re il fotografo, appostarsi da vanti alle chiese, ingrandire le foto dei defunti. Poteva fare lo scultore, romano o gre co, ritratti, lapidi, cenotaffi. La pittura, l’ha detto lui stes so « mi parve il messo più facile e più piacevole ». Con una buona creta si può fare una buona tazza e con una buona farina si può fare un buon pane: ecco tutto. Ri cordo dunque alcuni quadri con paste chiare, rosa, rosee, gialle, dorate, come si dice parlando di terraglie o di bi scotti. Campigli, poeta vero, si è dimostrato sempre osse quente verso la retorica, le convenzioni, i modelli. Il poeta autentico non vuo le sembrare originale. L’originalità la lascia ai dilettanti e lascia ai dilettanti le scor ciatoie. Pur non consideran dosi mai un professionista Campigli ha preferito fabbri care delle effigi piuttosto che dei volti. Schiacciate di piat to o di profilo sembra pro prio che non siano mai esi stite altro che dipinte. Il ve ro, la natura, che illusioni. Egli non ha mai aperto la fi nestra per vedere la luce. Come può giustificarsi que sto suo rifiuto dell’attualità e delle correnti d’arte viva? La idea boccioniana dell’antigra- zioso è certamente arrivata fino a lui. Così com’è arriva to il neoclassicismo picassiano. Ho accennato di sfuggita al purismo: è stato probabil mente il lievito intellettuale più generoso per le speciali attitudini di lui. Una indub bia piega decorativa della sua opera â— affreschi e mosaici, pareti e pavimenti â— può essere stata bene accolta dal la sua fede artigiana, mai ne gata, ansi sempre esaltata, fino a compiacersi di scopri re al Musée de l’Homme il cranio di un fabbro fiorenti no. Non ha mai parlato di missione metafisica della pit tura, o di sublime operazione mentale. Si è tenuto al sicu ro, ha fabbricato le sue ope re spessissimo per commissio ne e sempre col proposito diriuscire gradito al cliente, ar chitetto o bottegaio, se non proprio principe o priore. Le sue Muse sono cresciu te e invecchiate. Hanno ab bandonato le palestre, le spiagge, i terrazzi dove visse ro in gruppo per tante sta gioni. Vissero guardandosi, autosufficienti come i fiori; sorelle cugine parenti. Non homai sorpreso un gesto che non fosse familiare, pudico. Mai una moina, una manfri na. Intrecciavano le dita delle mani, intrecciavano le brac cia per mettersi in girotondo. Avvicinavano le labbra al lo bo di un orecchio per pas sarsi la parola, si buttavanoai piedi di una partner per fare una penitenza. Le vedem mo allacciate per i capelli sull’altalena, giocare con le fu ni, con gli anelli. Come negli epigrammi e sui bassorilievi Les jeunes filles sono ora irriconoscibili. Vivo no alle finestre, ai balconi, o in un angolo recondito di uno sgabuzzino. Chi aveva un temperamento più vivace fa la levatrice, forse la mante nuta. Altro che regine. Cam pigli racconta che da bambi no amava circondarsi di bam bole, di specchi, di culle. Face va la fidanzata di suo cugi no. Ma a volte si presentava a scuola col toupé, la gonna e gli stivaletti. Nessuno di noi si è mai meravigliato di vedergli portare gli orecchini e i bracciali con tanta disin voltura. Ora i suoi idoletti a forma di bottiglie o di pupe zuccherate o di losanghe in trecciate di fichi secchi somi gliano sempre più a oggetti votivi. Il suo mondo si è come car bonizzato. Bisognava aspet tarsi questo fatale crollo, dal l’idillio all’epitaffio. Ma la fon te dell’ispirazione non si è ina ridita, scorre ancora, è un filo silenzioso. Letto 2090 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||