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ARTE: PITTURA: I MAESTRI: Magritte e Fantomas

23 Marzo 2019

di Patrick Waldberg
(dal “Corriere della sera”, domenica 16 marzo 1969]

Londra, marzo.

Qualche anno dopo il passaggio di André Masson l’« atelier » di Con ­stant Montalt, all’Accademia di Belle Arti a Bruxelles, ac ­coglieva un giovanotto venu ­to da Charleroi che si chia ­mava René Magritte. Era na ­to a Iessines nel 1898. Silen ­zioso, di indole melanconica, era uno di quelli che mal si adattano alla condizione of ­ferta all’uomo dal mondo mo ­derno. Lasciò l’Accademia nel 1918, poi sempre guadagnan ­dosi il pane con umili lavo ­ri â— perché era povero â— proseguì le sue esperienze pittoriche influenzato ora dai cubisti, ora dai futuristi, mal ­contento dei risultati che tut ­tavia erano assai prometten ­ti. Questo durò fino al giorno che un amico, il poeta Marcel Lecompte, gli mise sotto gli occhi la riproduzione di un quadro di Giorgio de Chirico,  Il canto d’amore. Ne fu così emozionato che cominciò a piangere.

Lo spaesamento

Il Maestro degli Enigmi gli aveva rivelato che era possi ­bile rappresentare la realtà in modo tale da includervi non soltanto il sogno, ma anche tutta la carica emotiva degli eventi vissuti durante l’infan ­zia. Si arriva così alla rappresentazione di un mondo i cui elementi sono tutti immediatamente riconoscibili men ­tre le loro relazioni abituali, quotidiane, sono del tutto sconvolte. Tale spaesamento ha l’effetto di far piombare lo spirito in uno stato di ra ­pimento analogo a quello che prova il bambino leggendo un racconto delle fate. Magritte allora capì che perseverando in una ricerca puramente pla ­stica voltava le spalle all’es ­senziale, cioè alla ricerca, in arte, di una rappresentazione suscettibile di uguagliare, co ­me potere di sortilegio, le emozioni infantili o i senti ­menti provati negli istanti più intensi della vita. Da allora il problema dell’arte non si poneva più ai suoi occhi in termine di estetica, ma piuttosto di poetica.

A partire dal 1926, data del suo primo quadro veramente magrittiano, egli ci ha dato un’opera nello stesso tempo molto semplice e affatto scon ­certante. E’ una lunga medi ­tazione, che non ha l’eguale nella storia della pittura, sul ­la natura della realtà concepi ­ta come trampolino del miste ­ro. Le figure, gli oggetti, i paesaggi che egli ci fa vedere sono normali: una donna nu ­da, un uomo con cappello e soprabito, case, finestre, por ­te, cieli, nuvole, montagne, sèdie, strumento musicale, so ­naglio, uccello, fiore, e così via. Tutto è tratto dall’arse ­nale familiare della vita quo ­tidiana e banale. Ma in ogni quadro ognuna di quelle crea ­ture o di quegli oggetti si tro ­va privato del suo significato consueto: appare in un nuovo contesto dotato di nuove pro ­prietà e la sua presenza, a cui noi eravamo così abituati da non accorgercene neppure, si impone d’improvviso ai nostri occhi in tutto il suo mistero.

Qualità e quantità esagera ­te o ridotte, analogie imba ­razzanti, contrasti, mutazioni, inversioni dei segni, spaesa- menti nel tempo e nello spa ­zio, ecco alcune delle più semplici operazioni di questa sorprendente alchimia. Il ri ­sultato, in certo modo, ha un sapore di fiaba, di quel desi ­derio infantile che fortunatamente talora sopravvive nei grandi, di oltrepassare le leg ­gi che ci inceppano: resistere al fuoco, passare attraverso i muri. librarsi nell’aria.

Magritte amava raccontare un ricordo d’infanzia che per tutta la vita lo aveva accom ­pagnato. A otto o nove anni andava a giocare con una bambina, cui era molto af ­fezionato, in un vecchio cimi ­tero abbandonato e quasi sem ­pre deserto, le cui cripte in rovina servivano loro da nascondigli. Un giorno che si erano attardati nell’ombra di una di queste cappelle, come ritornarono alla luce, videro un uomo davanti a un cavalletto, intento a dipingere. A questo spettacolo Magritte fu preso da una emozione straor ­dinaria. « Fui colto all’improv ­viso â— mi disse â— da un sen ­timento di mistero che non avevo mai conosciuto, provai un’immensa felicità ». Non c’è dubbio che questo episodio contribuì fortemente a deter ­minare una precoce vocazione di pittore.

Pensieri-immagini

Un altro elemento che con ­tribuì a orientare, non già que ­sta vocazione, ma il significa ­to della sua opera, fu la ap ­passionata lettura tra i dodi ­ci e i quindici anni, di Fantomas, interminabile romanzo di avventure criminali che compariva settimanalmente in fascicolo con la copertina a colori. Fantomas raccontava le imprese di un malfattore pe ­ricolosissimo e invincibile, che si appropriava delle identi ­tà altrui. Uomo dai mille vol ­ti, viveva in case tutte traboc ­chetti, dove i muri si apriva ­no all’improvviso sul vuoto, le porte erano finte, gli og ­getti più innocenti si trasfor ­mavano in armi terribili. Sol ­levata al più alto livello poe ­tico, si ritrova, nell’opera di Magritte, quell’incertezza sull’identità degli esseri e delle cose, la cui intuizione gli fu suggerita appunto da Fantomas.

I quadri di Magritte â— una splendida raccolta viene espo ­sta in questi giorni alla Tate Gallery â— più che delle pitture, sono dei pensieri-immagini, che senza tregua rimettono in discussione la realtà Vi si fondono, secondo il processo di una dialettica estremamente pura, l’incubo e l’incantesimo. Grazie ad essi l’angoscia umana ha conosciuto una nuova dimensione.

 


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