PITTURA: I MAESTRI: La vocazione teatrale di Watteau26 Marzo 2019 di Giovanni Macchia Due isole immaginarie cominciano ad apparire sul Âl’orizzonte agli inizi del Settecento e poi, man a mano che il tempo corre, si delineano tra le nebbie in una lontananza sempre più netta. L’isola di Citera e l’isola della Ragione. Per flora e per fauna diversissime, non sembrano poi, a chi le guardi, tanto distanti l’una dal Âl’altra. Per l’uomo del Settecento la ragione, ben lungi dal porsi contro il piacere in posizione drammatica, come in altre epoche, ne diventa il forte pimento e quasi la sua droga. Dal loro connubio nasce il fiore nero del libertinismo. Gravi personaggi non disdegnano di fare qualche breve passeggiata nell’isola di Citerà prima di rientrare nei polverosi archivi, come Montesquieu, che, uscito dal Temple de Gnide, s’immerge nelle sue meditazioni sulle leggi umane. A quei viali possono approdare, senza dannarsi l’anima, anche buoni cri Âstiani, se uno di essi riuscì a vantare “i perfetti pia Âceri dell’uomo cristianamente voluttuoso”. E prima d’irrigidirsi nel suo conclamato ritorno all’antico e di Âsprezzare Watteau, sembra che commenti uno dei suoi quadri Diderot, quando, nella Promenade du sceptique, descrive giardini immensi ove si trova tutto ciò che piace ai sensi, e grandi tappeti di musco, e labi Ârinti con il gusto di perdersi. Ma a Watteau sarebbe riuscita impossibile qualsiasi trasmigrazione dall’una all’altra isola. Nella sua reazione al grand siècle, al secolo di Luigi XIV di cui vive gli ultimi anni, l’isola della Ragione egli tenta di cancellarla dall’orizzonte. Non sarebbe stata di suo gu Âsto, se avesse potuto conoscerla, nemmeno l’ÃŽle de la Raison di Marivaux. Innamorato di tutto ciò che esal Âtasse il vasto e il libero dominio della fantasia, egli non riconosce che Citerà , che tuttavia ha poco a che fare con l’isola descritta da Fénelon e La Fontaine. E il suo atteggiamento quasi, polemico contro il gusto Louis XIV si afferma in tre opere che esprimono fe Âlicemente i tre grandi temi della sua pittura: la Com Âmedia dell’Arte, l’Eros irraggiungibile e misterioso e la Pittura che esalta la vita celebrando se stessa. Tre espressioni pittoriche di temi teatrali. Gilles, l’Em-barquement pour Cythère e l’Enseigne de Gersamt. Nel creare il suo Gilles, il suo Pierrot, egli mette lo stesso impegno che altri, nel dipingere il giuramen Âto degli Orazi o Mosè salvato dalle acque. C’è una grandiosa serietà in tutto l’insieme, una monumentali-tà d’impianto, che ha fatto pensare all’Ecce homo di Rembrandt. E, bianco come l’innocenza e l’imbecilli Âtà , roseo di carni come un agnello, con l’occhio meno vivo di quello dell’asino cavalcato dal Dottore, quei pagliaccio è l’immagine immortale dell’attore quoti Âdianamente offerto alle risa dei suoi simili, inconsapevole vittima di una cerimonia di cui ignora anche il senso. Nell’insegna che Watteau dipinse per il suo amico mercante di quadri Gersaint, un ritratto di Luigi XIV, dalla parrucca nera e dal solito cipiglio funesto, viene incassato simbolicamente per essere spedito chissà do Âve: forse ad un collezionista d’anticaglie. E sola, vi Âvente protagonista di questo quadro senza protagoni Âsta, è la pittura, di cui Watteau, alla fine della sua vita, come in un addio celebra la consacrazione. Ma l’Embarquement pour Cythère è davvero al centro di questa ideale autobiografia pittorica, tra Âsmessaci per segni e non sempre decifrabile. Se l’isola sia un sito da abbandonare o da raggiungere, se quel Âl’imbarco rappresenti una partenza o un addio: è da discutere. Si avverte come un senso di sottile malinco Ânia. E il rovesciamento romantico del tema sarà ine Âvitabile. Nerval, Hugo, Baudelaire. Quelle est cette île triste et noire? – C’est Cythère. Citera diventerà un’orribile terra d’impiccati. In forme tanto evanescenti che nella loro bellezza sembrano covare oscure malattie, Watteau illustra la situazione del teatro del suo tempo, e di tutta una cultura, assai meglio di un trattato: la decadenza e la morte della tragedia, l’affievolirsi del sentimento re Âligioso, la caduta dei grandi ideali, la sfiducia verso la morale e ogni mitologia della passione, verso il gesto disperato ed eroico. Di questa decadenza, egli coglie l’essenza delicata. Diviso da quel “Racine ubbriaco” che fu Crébillon tragico, se fosse vissuto di più sareb Âbe andato di pieno accordo con Crébillon figlio, nella rivalutazione di ciò che Stendhal chiamerà “amour-goût” e nel considerare la tragedia francese la farsa più completa che avesse inventato lo spinto umano. Ben lontano dallo scoprire nella vita un centro, un si Âgnificato, respingendo dalle sue rappresentazioni ogni gerarchia tra personaggi principali e secondari, così rigidamente formulata dal teatro classico, egli lascia da parte Andromaca ed Oreste ed affronta, grazie anche all’esperienza dei suoi maestri Gillot e Audran, un teatro di distrazione e di decorazione: la comme Âdia dell’arte e lo spettacolo in musica. La nuova con Âdizione teatrale, più che poggiare sulla sola parola, vive tra la pittura e la musica: costumi di maschere sgargianti, gesto, ritmi di danza. Watteau appartiene, dunque, ad un’epoca in cui si cerca di rivalutare generi considerati dalla poetica classicista inferiori come la farsa, la commedia a sog Âgetto e il romanzo, e s’insegue un sogno quasi pre Âwagneriano: l’unione tra poesia, musica, pittura, dan Âza, nel nuovo ideale che il classicismo aveva respinto: l’opera. Lasciamo da parte le interpretazioni poetiche di un Verlaine. Ma nel linguaggio dei critici musicali non è raro che Watteau inviti a curiose corrisponden Âze. La musica di Couperin è una trasposizione musi Âcale della pittura di Watteau. Un settimino di Mozart sembra creato per ‘sonoriser’ una tela del pittore di Valenciennes. O sono ambivalenze di natura storica, come quella tra Couperin e Watteau, uomini vissuti nel grand siècle che rappresentano magnificamen Âte “l’esprit de la Régence”. Nella “querelle des anciens et des modernes”, che in quegli anni invase anche le arti, non c’è da aver dubbi da che parte si sarà situato il giovanissimo pit Âtore. Egli è un acceso modernista. Nutre un gusto mon Âdano della modernità . L’immensa antichità , adorata da Poussin, sembra morta per lui. Il suo è il regno del presente e della moda, quasi sul punto di diventare frivolezza. I grandi personaggi usciti dalle suppellet Âtili antiquarie e dai polverosi libri di lettura, non par Âlano minimamente a Watteau, per nulla contagiato dagli eroismi della storia, dalla ferocia o dalla santità . II       suo Olimpo, il suo Parnaso è lì a due passi, a Parigi, ridotto non di rado nel poco spazio di un palco Âscenico. Anche la sua Italia è a Parigi, l’Italia non dei grands modèles, ma dei comici, dei bouffons e delle maschere. “Watteau fit bien de rester à Paris”, disse ironicamente Diderot. Ma quale Parigi? Quando egli lasciò Gillot per lavorare con Audran che abitava al Lussemburgo e visse a due passi da quel grande ciclo di opere nelle quali Rubens aveva cele Âbrato la vita e il trionfo di Maria de’ Medici, il suo itinerario parigino era già bell’e concluso, ritagliato secondo il disegno del più assoluto edonismo: un iti Ânerario ideale segnato dai teatri, dai parchi (i grandi viali appunto del Lussemburgo) e dalle raccolte d’ar Âte. La grazia di Watteau, la sua affascinante monoto Ânia, si esibiscono nel combinare le forme estratte da quella Parigi tutta di convenzione e di illusioni, mi Âracolo di raffinatezza e di civiltà , per farne spettaco Âlo: con le architetture che si specchiano in calmi ba Âcini e le coppie che si allontanano lungo i viali mo Âstrando le esili spalle e le nuche sottili. Non mancano nelle sue- tele piccoli frammenti di vita, che sono in Âvece citazioni, come quel cane che in più di un suo quadro si morde le pulci e ci mostra il suo bel muso macchiato, che sembra ripreso dalla realtà e si ritrova in una delle opere di Rubens che egli va a vedere e studiare al Lussemburgo. Non è facile provare in quale misura abbia agito, nella formulazione di alcuni dei suoi grandi temi, il teatro contemporaneo. Ma fu una felice intuizione di Rodin il suggerire la lettura del suo quadro più fa Âmoso, l’Embarquement, come un”azione teatrale’ che si svolge da destra a sinistra: una pantomima che parte dal busto di Venere inghirlandata di rose per finire alle prime coppie che vanno a seppellirsi nel bateau-lit, tra sospensioni, pause, indecisioni, indiffe Ârenze e premure, simboli gemmati, cuori trafitti, bre-viari d’amore, bastoni di pellegrino e preziosi ventagli. Certo molte delle sue immagini cominciarono ad apparirgli nella fantasia non dalle pagine di Fénelon o di La Fontaine (egli che per testimonianza dei con Âtemporanei fu appassionato lettore di poesie e di ro Âmanzi) ma tra le luci di spettacoli d’opera e di comédies-ballets, tra le macchine, le scenografie e i costumi di Bérain e di Gillot, tra gli incanti del pays d’opéra, con la sua nostalgia d’Eldoradi e amore di terre lon Âtane. I balletti e le opere e le fastose rappresentazioni musicali d’allora erano esempi di un teatro talmente minato da un eccesso d’edonismo e pericoloso, che nella sua essenza pareva tutto un dolce invito a Citera, e anche lo stesso grave Bossuet, frequentatore di spettacoli, sembrava paventarlo, forse perché ne su Âbiva ancora il fascino. Come se ascoltasse il diavolo tentatore eppur con una certa mestizia per i giovanili anni trascorsi, Bos Âsuet condannava “toutes les maximes d’amour et tou-tes ces invitations à jouir du beau temps de la jeunesse, qui retentissent partout dans les opéras de Quinault [librettista di Lulli] “. Il bel tempo della giovi Ânezza! E che cosa era la pittura di Watteau che una esaltazione della giovinezza, che un invito a godere, che una raffinatissima scuola di teatro amoroso, che una commedia dell’indecisione, in un darsi e sottrarsi al ritmo oscillante di un’altalena, come nei personaggi di Marivaux? Amore del teatro come di labili forme (e dipinte forse perché sopravvivessero), viva repulsione per quell’inafferrabile profumo della consuetudine che Chardin spargerà nella sua pittura: orrore del tempo e della vecchiaia. E credo sia impresa disperata ricer Âcare nei personaggi di Watteau le fluentissime barbe di vecchioni che maestosamente si svolgono nei quadri di maestri ch’egli amava: Rubens e Rembrandt. Ma a questa evidente, eppur sempre oscura voca Âzione teatrale del pittore, dedicheremo, ad illuminarla maggiormente, una nostra modesta proposta. Provocò un certo rumore agli inizi del secolo l’ipo Âtesi avanzata dal De Fourcaud, e poi seguita da altri studiosi, che il soggetto dell’Embarquement pour Cythère fosse stato suggerito da una commedia in prosa del primo Settecento: Les Trois cousines di Dancourt. È una paysannerie (ambiente di mugnai) rallegrata da intermezzi musicali. Nel finale i ragazzi e le ragaz Âze di Créteil (ove si svolge l’azione), travestiti da pel Âlegrini, si preparano al viaggio verso il Tempio del Âl’Amore: Venez dans l’ile de Cythère en pèlerinage avec nous … Il De Fourcaud si limitò al primo degli Embarquements, l’ÃŽle de Cythère, d’ambiente veneziano, con l’agile balaustrata e la gondola che attende da un lato, entro uno spazio vuoto, quasi lagunare. Ma era pur chiaro che Venezia non avesse nulla in comune con la piccola Créteil, adagiata non sulla la Âguna, bensì sulla Marna, e che il finale della comme Âdia fosse un’interpretazione per famiglia del grande tema della partenza per Citerà (con i mariti al posto degli amanti) e, in quanto parodia, implicava una diffusione del motivo che il Dancourt aveva utilizzato. Tale diffusione, dovuta in gran parte ad uomini di teatro, rendeva anche poco attendibile altra ipote Âsi, sostenuta anni fa, che il quadro di Watteau rap Âpresenti non una partenza ma un ritorno. Non Les Trois cousines, ma una commedia-bal Âletto rappresentata nel 1705, con musiche di De La Barre e versi di Houdar de La Motte, La Vénitienne (qualcosa che stava tra la “moineria” e la “fête galan Âte”) mi sembra che accogliesse con maggior aderenza, in una fragile trama d’amori, di travestimenti e di ge Âlosie, gli affascinanti personaggi che Watteau inseguì per tutta la vita: le maschere italiane e i pellegrini di Citerà . Arlecchino, Pantalone, il Dottore, Spezzaferro, Scaramuccia, Pulcinella, Pierrot, per aver abusato dei loro diritti, sono divenute silenziose statue. Ma, tra tenerezze, fiammate e timori di donne mascherate, e canti di gondolieri, e musiche di barcarole, sarà un altro fantasioso personaggio dal nome ariostesco e anche da commedia dell’arte) di Zerbino, a lanciare, conducendo la festa, l’invito ad imbarcarsi per Citera: Que pour Gythère chacun vienne s’embarquer. Pour être heureux il faut risquer; quand on sait plaire jamais le vent est contraire: jeunes coeurs, venez tous, il n’est point d’écueils pour vous. È la Venezia dell’ÃŽle de Cythère? Certo qui, e non nella ridanciana storia di mugnaie tracagnotte, i le Âgami con l’Embarquement si fanno più stretti. Come per certe antiche stampe, questi versi potrebbero es Âsere trascritti ad illustrare il dipinto. Tutta la scena è una grande variazione su quell’in Âvito. E altro che i viaggi stremati, le fatiche psicolo Âgiche, gli inciampi del Roman de la Rose e della Carte de Tendre, cui la geografia amorosa di Wat Âteau a volte viene accostata! Il percorso è facile e di Âretto, con qualche piccolo rischio. L’amore è nelle cose, nei corpi, negli oggetti, negli abiti, nei profumi, nei colori. È lo scenario, la natura, qualcosa d’esterno all’uomo che agisce quasi come un afrodisiaco. Le maschere erano entrate in Arcadia, nelle più fantasiose commedie shakespeariane (la Tempesta. come scoprì Ferdinando Neri). Erano state cacciate dai teatri di Parigi. Erano state ridotte al silenzio ne Âgli spettacoli della Foire. Erano entrate in pittura. nella grande pittura. Sarebbero entrare in poesia, nel Âla musica: nell’Ottocento, nel Novecento. Avevano la vita dura. Era difficile disfarsene. E ridotte a statue animate danzavano silenziosamente nei fastosi ambu Âlacri dell’Opera, e Watteau assisteva al momentaneo accordo di due tendenze stilistiche: popolare e raffi Ânata insieme. Se una canzone cantano i pellegrini di Citera nel Âl’enorme gondola d’oro del dipinto di Watteau sarà una barcarola veneziana. “La plupart des ariettes de Lulli sont des airs du Pont-Neuf et des barcarolles de Venise”, diceva Voltaire sprezzantemente, meditando sulla dignità regale della tragedia. E sulla strada di queste comédies-ballets verranno avviati gli spetta Âcoli fantasmagorici delle Fêtes vénitiennes (1710) di Danchet e Campra, rappresentate per tutto il secolo, sempre con l’indignazione di Voltaire, e che suggeri Ârono a Watteau più di un’idea. Venezia in teatro pa Âreva l’immagine rovesciata della triste Parigi degli ul Âtimi anni del regno di Luigi XIV, e il poeta e libretti Âsta La Motte la celebrava sui palcoscenici musicali. Forsennato modernista che aveva osato attaccare l’Iliade e i duri campioni del classicismo, amico e am Âmiratore di Gillot, non era improbabile che La Motte conoscesse Watteau. A Gillot, illustratore con altri del Âl’edizione Dupuis delle sue Fables nouvelles, il primo libro illustrato del Settecento francese, La Motte ave Âva dedicato una delle favole più felici: Les Animaux comédiens. Il grande tema del viaggio a Citerà continuava così a vivere, in pittura ed in teatro, di un’esistenza parallela. E non solo nei fastosi spettacoli dell’Académie Royale de Musique, ma in quelli poveri e po Âpolari. Poiché tutto, da Corneille alla tragedia in mu Âsica, si prestava alla parodia, e i teatri popolari erano addetti a sliricizzare i sentimenti più in voga, quel viaggio era divenuto talmente famoso che offriva agli spettatori la sua parte di risa. Anche alla Foire l’organizzazione dei viaggi a Ci Âtera fruttava bene e non accennava a decadere. Negli anni in cui Watteau ritornava sulla serie dei suoi ‘im Âbarchi’, come su di un tema inesauribile, Le Tellier, autore di un opéra-comique sulla leggenda del Con Âvitato di Pietra, faceva rappresentare alla Foire Saint-Germain un’interpretazione farsesca di quel motivo: Les Pèlerines de Cythère. Pierrot e Mezzettino, rapite Colombina e Marmetta, dopo averle sottratte ai loro amanti Arlecchino e Scaramuccia, le portano nell’isola dell’amore, dove le abbandonano. Raggiunte dai loro antichi spasimanti, messa ogni cosa al suo posto, Arlecchino chiude la scena con versi d’intona Âzione famigliare non molto dissimili da quelli della commedia di Dancourt: Vous qui cherchez des maris, venez nous voir a Cythère … Non basta. Nel 1722 (Watteau era già morto), in uno spettacolo per marionette, finì in quell’isola beata an Âche il povero Pierrot arrotino, arrotino d’amore, ad Âdetto da Cupido a far più aguzze le sue frecce. Pittura e teatro. Il teatro nel Settecento fu diverti Âmento popolare, sogno, visione di una più ricca realtà umana, rivelazione di una società : artificio e denun Âcia, osservazione diretta e immediata. La pittura segue la stessa strada, dalle capricciose e spettacolari fanta Âsie alle cronache fedeli, pazienti delle ore di una gior Ânata in una famiglia, in una città , Parigi o Venezia. Watteau e Chardin, Tiepolo e Longhi e Canaletto. Era inevitabile che, nel!’affermarsi della commedia seria, lacrimosa, Watteau fosse messo da parte; e Diderot, teorico del dramma borghese, innamorato di Richardson, al pittore di Valenciennes preferisse un maestro del patetico: Greuze. Anche il Watteau di Baudelaire è un Watteau da comédie-ballet. La modernità , i costumi, la moda: erano le decise preferenze del poeta. E, al contrario di quel che ha avanzato qualche critico, non credo affatto che Baudelaire abbia dato del grande pittore un’interpretazione sconcertante, e certo non ha igno Ârato l’Embarquement, al cui tema, letteralmente capo Âvolto, ha dedicato una delle sue liriche più tragiche e violente. Nei quattro versi dei Phares, tra luci arti Âficiali di lampadari e tra scenari da palcoscenico, in una danza vorticosa e senza peso, tra maschere e ari-stocratiche cadenze di cavalieri, tornano a farsi avanti, come simboli, come idoli, le figure del balletto di La Motte: Le Carnaval et la Folle, che erano anche le muse del teatro che Watteau amava, del vecchio mon Âdo dei Gelosi, dei Confidenti, degli Accesi. Dopo un secolo di ossequio, la Follia, in teatro come in pittura, trionfava sulla Ragione.
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