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Assaggi della mia VIA: Anni Sessanta (2a puntata)

13 Gennaio 2008

di Enzo Ferrari
[Ha pubblicato la raccolta di poesie: “Nuvole d’estate in Liguria”, De Ferrari, 2007]

(il romanzo è in cerca di un editore)

Nella mia via giochiamo per la strada. Si corre, si gioca a nascondino, a rincorrerci, a palla, con le figurine dei calciatori o dei ciclisti, con le biglie e i tappi delle bottiglie.

Questa settimana abbiamo organizzato le Olimpiadi: un gioco al giorno per sei giorni. Alla fine si conta chi ha fatto più punti. Il premio in palio è un pallone non tanto gonfio che abbiamo trovato abbandonato ai giardini.

La signora Lina abita al primo piano. Ha delle rose e dei gerani sul balcone. Ci spia dietro le tende. Non vuole che giochiamo a pallone davanti a casa perché ha paura che possiamo romperle i vasi.
E’ la signora Lina che ha tirato il collo ai due galli della signora Maria.

Oggi giochiamo con le cerbottane. Ci dividiamo in due squadre. Ognuno ha la sua cerbottana. Ludovico ne ha una lunga quasi un metro: il suo tiro va molto lontano. Carlo a tre canne sovrapposte e tenute insieme con il pongo. Giacomo a sei colpi come una pistola con tanto di manico in legno. Marco ne ha due in ferro cromato molto luccicanti. Le pallottole sono dei coni allungati di carta. Bisogna stare attenti a non farle troppo larghe, se non si inceppano dentro il tubo.
L’altro giorno uno dell’altra squadra ha messo degli spilli sulla punta dei coni di carta. Quando colpiva faceva male. Abbiamo deciso che non sono valide.

Nei pomeriggi dei giochi facciamo sempre la merenda con pane e marmellata, oppure pane con burro e zucchero. I più fortunati il panino lo hanno con salame, prosciutto o mortadella. Per crescere le mamme ci danno anche il latte condensato zuccherato in tubetti simili al dentifricio. Certe volte tutti assieme ce ne sbafiamo anche un tubetto intero in un pomeriggio.

Oggi abbiamo giocato a campana. E’ un gioco più da bambine, ma ci divertiamo anche noi maschi. Con un gessetto abbiamo disegnato in terra dieci quadrati con i numeri. A metà percorso, dopo il numero cinque, c’è la casella di riposo. Ognuno a turno lancia un sasso sui quadrati. Saltando con un gamba sola recupera il sasso e fa tutto il giro delle caselle. Se tocca la riga bianca perde il giro e tocca al bimbo successivo. Vince chi fa per primo il giro completo.

Sul marciapiede, di fronte al formaggiaio e alla latteria, abbiamo disegnato col gesso il percorso del Giro d’Italia. Con le grette, i tappi delle aranciate e delle gassose facciamo i ciclisti. Ci attacchiamo i nostri campioni: Adorni, Gimondi, Merckx, Bitossi. Merckx è il cannibale, tutti vorrebbero esserlo. Chi esce dal percorso ricomincia dall’inizio tappa.

Noi maschi giochiamo a pallone. Proprio di fronte al mio palazzo c’è uno spiazzo non asfaltato tra due palazzi che usiamo come campo da gioco. Facciamo sempre due squadre. Inter contro Torino, Juve o Milan. Sono le squadre più forti. Io sto con l’Inter. Ha vinto tanti scudetti e coppe dei campioni. Sarti, Burgnich, Facchetti, Bedin, Guarneri, Picchi, Jair, Mazzola, Peirò, Suarez, Corso. La formazione la recito a memoria. Anche gli altri, quelli che tifano per il Milan o per la Juve, la conoscono tutta.

La leggera discesa della mia via non è sufficiente per le corse con i carretti a cuscinetti. Carretti di legno che hanno altri miei compagni di scuola che vivono in collina a Coronata.

Nella mia via tutti i ragazzi fanno il bagno una volta la settimana, la domenica mattina. Io mi lavo nella vasca in bagno con l’acqua calda. Alcuni miei amici nella tinozza in cucina, davanti alla stufa. La domenica ci si veste bene, con i pantaloni lunghi e la camicia o la maglietta appena stirate. In questi giorni non si può giocare in strada, perché si sporcherebbe la roba.

La domenica, vestito bene, vado a trovare una mia zia, sorella di mio padre. In casa sua dietro la porta d’ingresso ci sono due foto. Papa Giovanni con la sua faccia rotonda, sorridente e serena. Stalin con due baffi severi e il berretto di comandante in capo.

Alla domenica, dopo la visita dalla zia, vado con papà a comperare le paste. Un cabaret da dodici per il pranzo. Il dolce è solo per le feste. Quattro paste con la panna, quattro cannoli con la crema, due dolci allo zabaione, due con la cioccolata. Il pacchetto incartato e legato con lo spaghetto lo porto io e lo consegno alla mamma. Il premio è tutte le volte un bacio.

Domenica scorsa, invece dei soliti pasticcini, abbiamo comperato otto meringhe con la panna spolverata di cannella. Alla fine del pranzo, senza permesso, ho affondato le dita nella panna. Mia nonna mi ha sgridato, ma le meringhe le ho ugualmente mangiate.

Il sugo per la pastasciutta mia nonna e mia madre lo preparano la domenica. La pentola di terracotta resta sul fornello per diverse ore: la carne con tutti i sapori e l’olio devono cuocere lentamente e delicatamente. Non ne fanno mai troppo, perché è una cosa della festa e a mio padre non piace riscaldato. Per la casa si spande un profumo che mi fa venir l’acquolina in bocca.
Mia nonna non pesa mai le quantità degli ingredienti, ma si regola ad occhio. Non guarda neppure tanto i tempi di cottura. Ha un istinto speciale, non sbaglia un colpo.

Il pesto è invece un rito quasi giornaliero, anche senza mortaio e pestello. I sette componenti mia nonna li mette tutti, con un dosaggio calibrato e quasi sempre perfetto: basilico, olio, formaggio grana e sardo, pinoli, aglio e sale. Le trenette o le lasagne attendono a braccia aperte.

Ieri mattina ci siamo svegliati sotto una coltre bianca di ovatta. Non siamo riusciti ad andare a scuola. Armati di sciarpa, guanti e berretto di lana ci siamo ritrovati per strada per tirarci la palle di neve tra le automobili quasi totalmente ferme. C’era un gran silenzio. Mi sono bagnato persino le mutande. Oggi sono rimasto a casa con la febbre.

Mio padre dice che con le mani si può fare di tutto, persino volare. Incrociando le dita imita il volo di un uccello. L’altra sera in camera mia mi ha anche insegnato le ombre cinesi.
Con le dita delle mani mi ha insegnato a contare.
L’altro giorno il mio compagno di banco mi ha detto che suo papà ha perso due dita della mano sinistra in un incidente sul lavoro. Come farà suo papà ad insegnargli a contare fino a dieci?

Oggi, dopo un gran botto, si sono rotti alcuni vetri. Mio padre dice che sulla ghisa che è uscita dall’altoforno durante il trasporto alla fonderia, deve essere caduta dell’acqua. E’ come buttare dell’acqua sulla piastra bollente della cucina.

Nella mia via ci sarebbe il posto anche per il mercato. Con l’Arcangelo San Michele sull’arco sopra la porta d’ingresso. Il mercato non ha mai funzionato. San Michele è rimasto lì, ha perso però la spada e le ali. Non è più riuscito ad alzarsi in volo. E’ legato alla mia via.

San Michele è il patrono di Cornigliano. Alla festa mia nonna a fine settembre mi porta a vedere le bancarelle. Tra gli altri c’è quello che vende lo zucchero filato. Mia nonna non me lo compra, perché fa male ai denti. Quest’anno mi ha preso un palloncino rosso a strisce blu. Mi piaceva portarlo in giro con il suo spaghetto. Ad un certo punto mi è scappato di mano ed è volato in cielo. Ho pianto tanto. “Ma dove vanno a finire i palloncini che scappano di mano ai bambini?”

Questo pomeriggio ho comprato i lupini e le noccioline da Salvatore. Per le caldarroste mi ha detto che bisogna aspettare. Il martedì si mette con il suo carrettino in cima alla via. I suoi cestini sono sempre una sorpresa. Chissà cosa fa gli altri giorni della settimana, forse va a fare delle belle sorprese a qualche altro bambino.

Nella mia via c’è spesso un povero che chiede l’elemosina. E’ seduto per terra con un cappello davanti e un cane vicino. Quando passiamo mia nonna mi da una monetina da mettere nel cappello.

Nella mia via non c’è il giornalaio. Gli operai non hanno tempo per leggere. Gli operai non sanno leggere. Gli operai devono lavorare.
Mio padre ha imparato a leggere con il quotidiano. Una copia c’è in casa tutti i giorni. A me piace vedere la pagina sportiva e i fumetti, quando ci sono.

Dal giornalaio compro sempre le figurine. Quelle dei calciatori le prendono anche i miei compagni di scuola. Ce le scambiamo. Ci sono quelle facili da trovare, quelle rare e quelle rarissime, le impossibili. La figurina di Pizzaballa è molto rara. Peirò si trova con facilità. Per Pizzaballa darei anche 10 figurine. “Celo, Mimanca” sono le parole che usiamo negli scambi. Oltre le figurine bisogna comperare anche la colla necessaria per attaccarle sull’album. Bisogna stare attenti a non usarne troppa, perché si corre il rischio di incollare le pagine una con l’altra.

Dal giornalaio trovo le figurine delle città d’Italia. La collezione si chiama Tuttitalia. Ci sono anche gli stemmi delle città, da incollare all’album. La croce rossa su sfondo bianco di Genova l’ho attaccata al quaderno di scuola. Purtroppo non l’ho più trovata per metterla nell’album.

Le figurine le compriamo anche in una cartoleria vicino alla scuola, di fronte alla biblioteca comunale. Accanto al negozio c’è un alto muro che nasconde alla vista un giardino di una villa. Diversi alberi superano in altezza il muro di cinta. Uno di questi mio padre mi ha detto che è un albero di canfora. Se si sfregano le foglie emanano un buon profumo.

Nella mia via manca la farmacia. Dietro il bancone sopra gli armadi con i vetri ci sono i vasi e gli albarelli bianchi e blu con i nomi in latino delle erbe medicinali. Il farmacista a richiesta prepara lui le medicine. Pastiglie per la gola, unguenti e creme, deodoranti e sciroppi. Mamma mi ha detto che si chiamano prodotti galenici.

Non tutti hanno il telefono in casa. Noi abbiamo un apparecchio con un contratto chiamato Duplex. La linea è in comune con un nostro vicino. Quando telefoniamo noi lui non lo può usare o viceversa. Certe volte, quando c’è un’urgenza, mi mandano a suonare alla porta di casa sua per chiedergli di liberare la linea.

Il telefono di casa funziona meglio di quello che abbiamo costruito noi ragazzi con due bicchieri di cartone e uno spago. Il maestro ci aveva detto che le onde si propagavano facilmente tramite i corpi solidi. Ci aveva portato l’esempio degli indiani che poggiando l’orecchio sulle rotaie sentivano l’avvicinarsi del treno. Con il nostro gioco dobbiamo però sempre gridare per farci sentire.

Nella mia via c’è invece il cinematografo. Si chiama Esperia. Tutte le settimane cambiano programma. Il giovedì pomeriggio ci vado con i miei amici. Danno tanti film che fanno ridere. A me piacciono anche quelli con i cow boy. Gli indiani perdono tutte le volte. Arriva sempre la cavalleria a salvare tutti.

Al cinema ci vanno un po’ tutti. Danno spesso film americani. Molti vorrebbero tanto vivere in America, con tutte quelle cose da mangiare e di cui divertirsi. Mio padre dice che per andarci bisogna prendere la nave e fare un lungo viaggio. Penso che quando sarò grande ci andrò, anche se il viaggio è lungo.

Di preferenza al cinema andiamo in galleria, anche se le poltrone in legno sono più scomode, perché il biglietto costa meno. Prima di ogni spettacolo ci sono i Prossimamente, cioè alcune scene dei film che usciranno, e i cinegiornali Incom in bianco e nero, con le notizie dall’Italia e dal mondo.
Al termine di ogni proiezione aprono sempre le porte laterali della sala per far andare via il fumo dei sigari e delle sigarette.

La maschera è quello che strappa i biglietti e ti accompagna con una torcia al tuo posto. Nell’intervallo e tra una proiezione e l’altra passa sempre l’omino dei gelati. Vende anche i pistacchi e le noccioline. Le bucce le gettiamo sotto le poltrone, facendo sempre arrabbiare la maschera. Le noccioline di Salvatore sono comunque più buone.

Nella mia via c’è il barbiere. Circa una volta ogni due mesi mio padre mi accompagna a farmi tagliare i capelli. Il barbiere mi fa sedere su un seggiolino a forma di cavallo con tanto di coda. L’ultima volta volevo portarmi la spada per fare il cavaliere, ma mio padre non me lo ha permesso. Dal barbiere bisogna stare fermi, altrimenti corri il rischio che ti tagli la testa.

Oggi sono andato al cinema con mio padre. Abbiamo visto “Ventimila leghe sotto i mari”. La piovra era veramente impressionante. Spero questa notte di non sognarmela. Mio padre dice che nel nostro mare non ci sono queste piovre. Domani mi ha promesso di comprare un polpo da far bollito con le patate. Certo con una di quelle piovre giganti si sfamerebbero tante persone della mia via. Ci vorrebbero anche tante patate di contorno.

Oggi sono andato al cinema con mia madre. Davano “Una lacrima sul viso”, con protagonista Bobby Solo. Racconta di un amore travolgente tra il cantante americano Bobby e una bella ragazza figlia di un professore di musica. Per me il film era un po’ noioso. A mamma invece piacciono queste storie. A me il nome di quel cantante, Bobby, ricorda quello del cane di una nostra zia, che è molto simile, Billy.

Ieri pomeriggio davano Stasera mi butto: mia mamma voleva portarmi con lei a vederlo. C’è andata con una sua amica. Io sono rimasto a casa, perché papà ha detto che non sono film per ragazzi, sono piccolo borghesi. Quando mio padre vuole dire male di qualcuno o di qualcosa dice che è piccolo borghese.
Mamma si è divertita, nel film c’erano il cantante Rochy Roberts, Franco e Ciccio. Papà alla sera si è arrabbiato con la mamma.

Nella mia via c’è un negozio di abbigliamento per signora. Mia madre l’altro giorno ha comperato un foulard di un bel color celeste chiaro. Era il suo compleanno. Mio padre si vergognava di andare nel negozio a fare l’acquisto.

Mia mamma, alla sera prima che mi addormenti, mi legge sempre dei bei libri. Sono i libri che mi hanno regalato: L’isola del tesoro, Pinocchio, Alice nel paese delle meraviglie, Il giro del mondo in ottanta giorni. Cuore di De Amicis non mi è piaciuto.

Nella mia via oggi è passato l’arrotino. Ripara e fa il filo ai coltelli. Mia mamma dice che è un vecchietto di origine calabrese. Passa una volta ogni due o tre mesi. Con la sua voce richiama l’attenzione di tutte le donne. Si piazza a circa metà della via. Noi ragazzi interrompiamo i giochi per vedere come fa. Ha una mola a pedale per arrotare i coltelli da cucina. D’inverno ripara anche gli ombrelli, cuce la tela e aggiusta le stecche.

A scuola il maestro ci ha fatto fare un tema sui mestieri che conosciamo. Io ho parlato dell’arrotino e dell’ombrellaio che passano nella nostra via. Il maestro ha detto che era meglio descrivere il lavoro degli operai delle fabbriche.
Ieri mio padre è arrivato con un ombrello nuovo. Quello che avevamo si era rovesciato per il vento, piegando l’asta. Questa volta non lo facciamo riparare all’ambulante. Forse aveva ragione il maestro. Sono mestieri che sono destinati a sparire.

Alcuni compagni di scuola sono un po’ monelli. Hanno bucato con un punteruolo tutti i banchi di legno. Il maestro si è molto arrabbiato con loro. Li ha messi dietro la lavagna per tutta la mattina. Hanno persino saltato la ricreazione.

Il maestro dice che sono bravo a recitare a memoria le poesie. Mi ha mandato in direzione per dirla al signor direttore. Ho fatto bella figura. Il direttore si è complimentato con me. Mi ha persino messo un timbro con una sua firma sul quaderno di bella copia dove il maestro ci fa scrivere le poesie. Purtroppo ha sbagliato pagina, il timbro l’ha preso Carducci.

Dal direttore della scuola ho recitato Liguria di Vincenzo Cardarelli. L’avevo preparata proprio bene per diverse sere con mia mamma che me la faceva ripetere. Mi piace tanto il verso che parla delle chiese di Liguria come navi disposte a esser varate. Da noi per riuscire a vararla bisognerebbe farle fare tanta strada, il mare è così lontano.

Il giorno dopo aver recitato la poesia dal direttore, ho provato a chiedere al maestro se ci può portare a vedere, quando sarà primavera, la mimosa effimera di cui parla il poeta. Il maestro mi ha risposto che i programmi non prevedono uscite in campagna. L’ho chiesto a mio padre. Ci andremo la prossima primavera. Nella mia via non l’ho mai vista.

Nella mia via a Natale noi ragazzi recitiamo in casa la poesia di Natale, in piedi sulla seggiola a capotavola. Genitori, nonni e parenti tutti, ci guardano ed attendono con attenzione le parole della poesia. Si divertono. Anch’io l’ho fatto, ma non ho voluto mettermi in piedi sulla sedia.


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Bart