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La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

FAVOLE: Storie del Piccolo Oro: La casa magica #3/8

14 Gennaio 2008

di Bartolomeo Di Monaco

Oro avvertiva la nostalgia del cielo. Che desiderio di tornare lassù, contemplare la vastità dell’universo!          

    Mentre la mente svagava tutta quieta dentro quei mondi meravigliosi che aveva conosciuti, udì qualcuno sussurrargli all’orecchio:  
    «Entra da questa parte. »  
    Si trovava davanti ad una piccola casa, posta proprio nel cuore della città di Lucca, poco distante dall’antico anfiteatro.
    Varcò la soglia.
    Quale sorpresa, quale inaspettata visione lo accolse!  
    Davanti a lui stava un immenso prato verde, con piccole case e palazzine sullo sfondo. Brulicava di gente vestita con abiti curiosi dagli insoliti colori.  
    Alcuni subito gli si accostarono.  
    «Vieni bambino, vieni bambino » cantilenavano.
    Vestita da bianco pagliaccio, in testa un cappello a larghe falde color cielo, una donna mingherlina, agile, lo prese per mano.  
    «Piccolo amore » sussurrò, baciandolo.  
    Oro era ancora sotto l’emozione della scoperta. Quale mai invisibile confine aveva varcato?  
    La donna lo fissò con occhi grandi.  
    «Guarda, dolce piccino, guarda! »
    E prese a volare.  
    Incredibile! Alzò le braccia, serrò le dita delle mani e con forti movimenti, come avesse le ali, cominciò a fendere l’aria.
    Frrr, frrr, si sentiva; poi rapidamente si levò sul prato e ridendo volò sopra il bimbo.  
    «Piccolo mio » diceva.  
    Oro ammirava a bocca aperta.
    Un altro essere straordinario comparve davanti a lui, e si aprì come un fiore; tra l’erba, prima sdraiato, si mosse, si drizzò in piedi, e mostrò il volto, diviso in tanti petali come una gigantesca margherita.  
    Un omino che stava pedalando nel cielo, sporgendosi da sopra il manubrio della sua bicicletta, gli gridò ad un tratto:
    «Bimbo, bimbo, largo che scendo… »
    Calava quieto, il petto gonfio di piacere. Era, la sua, una biciclettina curiosa, piccola tra quelle gambe grassocce.  
    Planò, tirò i freni e fu accanto a Oro:
    «Visto, bimbo? »  
    Poi, senz’altro aggiungere, riprese a pedalare, questa volta sul prato, suonando la trombetta perché gli altri si facessero da parte.  
    Oro piantò i pugni sui fianchi, stupefatto.
    «Ma dove mai sono capitato? Che razza di gente vive in questa casa che non è una casa, nel centro di questa piccola città? »
    Per un momento pensò che forse, sì, era Dio che giocava con lui, e confondeva la sua mente.
    Alzò lo sguardo come per ricevere risposta, ma anziché udire la voce calda di Dio, scorse due magri omettini a passeggio nel cielo; ciascuno roteava un piccolo ombrello, conversando e accompagnando le parole con gesti quando rapidi, quando lenti, ricercati, gustati. Ogni tanto chinavano lo sguardo a sbirciare il bimbo, ancora una volta rimasto a bocca aperta.          

    Di lì a poco, sbucò da sottoterra una graziosa bambina, tutta nastri variopinti alle braccia e tra i capelli.
    «Scendi nella mia casa, vieni a vedere quant’è bella! »
    Oro non articolava più le parole. Chiuse gli occhi. Si lasciò cullare dalla fantasia.
    Che pace nell’anima!
    Forse era giunto nel luogo tanto cercato, tramandato, sempre mentovato, ove l’impossibile si avvera, e l’irreale, il sogno hanno la forza dell’esistente?
    Oro già s’immaginava nel nuovo mondo, a scoprire fiumi, boschi, angoli stracolmi di gente felice.
    Si avvicinò un’altra bambina.
    «Andiamo, dolce amico mio » disse e, presolo per mano, lo condusse, volando a mezz’aria, davanti ad un favoloso castello.
    «Ti farò vedere meraviglie. »
    Entrarono.
    «Tu sai, vero, che tutto nel mondo si consuma? »  
    Oro ascoltava; il suo sguardo ammirava il grande cancello dorato che si chiudeva alle sue spalle.  
    «È così. Dopo milioni e milioni di anni ogni cosa è destinata a perire. Si consumano le grandi montagne, le rocce sotterranee scavate dai fiumi, anche le acque, consumate dalla luce… e l’uomo! fiaccato nei muscoli, ma soprattutto vinto nella mente. »
    Le stanze del palazzo, dal pavimento al soffitto, alle pareti, erano tappezzate ciascuna di una particolare pietra preziosa: tutta di diamanti la prima, di zaffiri la seconda, di smeraldi la terza, la quarta di rossi rubini, di ametiste, topazi, turchesi, e così via le altre numerose.
    «Chi abita qui? » domandò Oro.
    «Vieni, vieni » continuò la bambina, quasi divertendosi alle curiosità del bimbo.
    L’ultima stanza era enorme, senza pareti!
    Com’era possibile?, si domandò Oro.
    Una stanza che aveva, lo si percepiva bene, dimensioni finite, eppure sembrava aprirsi e perdersi nello spazio.
    «Ecco, da qui puoi vedere tutta la Terra. »
    Rise la bambina quando Oro, perso l’equilibrio, stava per cadere giù, stordito dai miliardi di uomini che stavano sotto di lui, uomini che egli riusciva ad abbracciare con un solo sguardo; eppure ciascuno era ignaro del misterioso prodigio che stava incantando il piccolo Oro, ed era intento alla sua vita, nella sua casa, nella sua parte di mondo.
    Il palazzo dai tanti preziosi colori, ora si confondeva con il verde del bosco, ora con il rosso del sole incandescente, ora con la notte.
    «Pensa! » ordinò ad un tratto la bambina «Pensa! »
    Quale prodigio!
    Ciò che Oro aveva pensato (l’ometto visto poco prima scendere con la sua bicicletta dal cielo) eccolo davanti a lui, con indosso i curiosi pantaloni da pagliaccio.
    «Cù-cù » fece, mettendosi il pollice sopra la punta del naso, e sparì.
    Ma Oro desiderò averlo ancora davanti a sé, e l’omettino girò la sua bicicletta e volando nell’aria planò vicino ai suoi piedi.
    Oro ne rimase turbato.
    Com’era possibile questa violenza sull’uomo?  
    Se il pensiero riusciva a comandare la mente di un altro essere, ciò era davvero spregevole.
    E Dio, da lassù, sapeva?
    Ma la bambina aveva letto il suo pensiero:  
    «Stai tranquillo, bimbo, e guarda qua, vicino a me. Che cosa vedi? »
    Di nuovo era apparso l’omettino, di nuovo lo sberleffo.
    «Guarda là, nel cielo! » ordinò la bambina subito dopo, ridendo.
    E Oro vide anche lassù l’omettino sulla sua bicicletta.
    Com’era possibile tutto ciò, se ancora era lì a fare il suo sberleffo davanti alla bimba?  
    «L’uomo nuovo sarà così. Potrà trovarsi ovunque un altro essere lo chiami, lo pensi, lo voglia vicino a sé. Potrà anche volare, vivere sottoterra, diventare un fiore… »
    «Ma sarà davvero bello tutto ciò? »
    «Non puoi immaginare quanto. E forse anche i morti, fra qualche tempo, potranno rivivere sulla Terra, grazie all’amore dell’uomo. »
    «Misericordia! » esclamò Oro, non riuscendo a comprendere se ciò rappresentasse un bene o un male per l’uomo. E quando la bambina, afferratolo per un braccio, stava per mostrargli un altro prodigio, Oro non la lasciò finire; con uno strattone si liberò di lei, e con quanta forza poté si levò nel cielo, in alto, sempre più in alto, finché non scorse più nulla della Terra.


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2 Comments

  1. Commento by Gian Gabriele Benedetti — 18 Gennaio 2008 @ 13:30

    Storia fantastica, dove fa da padrona la metafora della vita.
    Caro Bartolomeo, sei sempre capace di esprimere speranza, dolcezza, amore, serenità, solidarietà… Ciò che spesso manca o viene offuscato nel nostro mondo. Anche perché il bene non fa notizia, mentre il male…
    Gian Gabriele Benedetti

  2. Commento by Bartolomeo Di Monaco — 18 Gennaio 2008 @ 14:16

    Mi sento molto legato al piccolo Oro, questo bambino incaricato da Dio ad intervenire laddove il male sta per prevalere sul bene.

    Grazie della tua attenzione, Gian Gabriele.

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