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Assaggi della mia VIA: Anni Sessanta (3a puntata)

16 Gennaio 2008

di Enzo Ferrari
[Ha pubblicato la raccolta di poesie: “Nuvole d’estate in Liguria”, De Ferrari, 2007]

(il romanzo è in cerca di un editore)

Nella mia via non ho mai visto merli e pettirossi. Il maestro a scuola ci fa leggere le storie del libro di lettura.

L’altro giorno c’era quella dell’uccellino che si punge con una spina e si macchia il petto di rosso. Oggi abbiamo letto la favola del merlo che, nei giorni più freddi dell’anno, si è andato ad infilare nel camino per scaldarsi, diventando nero.

Oggi nel racconto visto a scuola c’era un bimbo che correva dietro alle farfalle e che giocava con la palla senza sporcarsi e farsi male. Nella mia via mi succede spesso di cadere e di sporcarmi, ma non ho mai inseguito le farfalle.

Il maestro è molto severo. Durante l’intervallo per dividerci quando qualche volta ci picchiamo in cortile, ci da degli schiaffoni. In aula usa la bacchetta non solo per indicare le cose alla lavagna. L’altro ieri mi ha bacchettato sulle dita perché ero disattento.

A scuola ci spiegano l’educazione civica. Ci insegnano a rispettare gli anziani, a come comportarci per la strada, a riconoscere i segnali stradali.
Il maestro mi ha detto che attraversare fuori dalle strisce è molto pericoloso, è come se fossi già morto. Non ho capito molto questa cosa, perché nella mia via non ci sono le strisce, né in cima, né in fondo, né a metà.
Nella mia via ci sono invece i divieti di sosta alternati. I giorni dispari non puoi posteggiare a destra, nei giorni pari a sinistra.

Per la giornata del risparmio a scuola ci hanno regalato dei salvadanai. Sono in legno a forma di casetta con un taglio sul tetto di colore rosso per introdurre le monete, mentre una delle pareti laterali si apre per farle uscire. Noi ragazzi dobbiamo imparare a risparmiare. Mia nonna ha promesso di regalarmi delle monetine, se sarò bravo a scuola.

Nella mia via non c’è la pescheria. Il pesce bisogna comperarlo in un’altra via. Forse non hanno voluto il negozio perché il prodotto, per sua natura, puzza.
Mio padre conosce tutti i tipi di pesce, pesci da zuppa, pesci da scoglio. Acciughe, sardine, scorfani, saraghi, triglie, alici, naselli, merluzzi. E’ mio padre che, ogni tanto, li compra. E’ lui che si preoccupa della pulizia e della cottura. Mia mamma si lamenta lo stesso dell’odore.

La storia del pesce azzurro nasce dai bianchetti, gli avannotti nati da poco, quasi trasparenti. Dopo la cottura assumono una colorazione appunto bianchiccia. Basta una veloce cottura e poi si condiscono con olio extra vergine d’oliva e un po’ di limone.

Il pescivendolo è un uomo alto, abbronzato coi baffoni, più grandi di quelli di mio padre. Dicono che fosse un marinaio. Ha una pancia grandissima, forse perché mangia tanti pesci grandi.

L’altro giorno sono andato in pescheria con mio padre per delle acciughe da mettere in salamoia. Sul bancone c’era una testa di pescespada tagliata con la spada rivolta verso l’alto, probabilmente per non ferire nessuno.

Il venerdì mangiamo sempre pesce. Mio padre spesso compra il merluzzo da ammollare nell’acqua. Lo mette in una bacinella con l’acqua da cambiare spesso. Dopo parecchi giorni di ammollo, lo tira fuori e lo batte sul lavandino di marmo. Poi lo fa cuocere con le patate e la cipolla.

Nella mia via c’è la macelleria. La carne è un prodotto che si compra una volta la settimana, come i dolci. Costa cara. Con mia mamma ci andiamo generalmente al sabato. Il negozio è tutto bianco di marmo. Marmo il banco, marmo alle pareti, non il soffitto. Rossa la carne, rosso il sangue sul bancone.

Nella mia via ci sono tanti gatti. Una signora molto anziana gli porta sempre del mangiare. Dicono che in casa viva con tanti gatti.
L’altro giorno un canarino tutto giallo, scappato da qualche gabbia, volava per la via. Si è fermato a pochi passi da me. Un gatto marrone l’ha visto e l’ha preso.

Oggi a scuola ho sporcato di sangue il sussidiario. Mi è uscito dal naso, macchiando anche il grembiule. Il maestro mi ha portato subito in bagno e mi ha bagnato la fronte e il naso con l’acqua fredda. Mi ha detto che devo mangiare più carne rossa.
L’ho detto alla mamma. Stasera, invece che la minestra, una bella bistecca.

Nella mia via c’è un negozio che vende il ghiaccio. Il ghiaccio lo conservano fasciato nella paglia in contenitori di rame. Per spostarlo lo arpionano con un gancio. Se lo chiedi te lo portano a casa con un carretto o con un piccolo furgone. Noi lo usiamo soprattutto d’estate. Per l’inverno il ghiaccio non è molto necessario. Il burro e il formaggio fresco la mamma li conserva in un recipiente d’acqua sempre fresca sul davanzale lontano dal sole.

Oggi hanno consegnato il frigorifero. La mamma dice che l’abbiamo acquistato per conservarci la carne per il mio naso. Ho visto però che ci mette anche formaggio e burro. Lo abbiamo piazzato in corridoio, fuori dalla cucina. E’ bombato, bianco, liscio, alto come mio padre. Mio padre non è molto alto. Sulla porta è scritta la marca Ignis. Mamma ha detto che Ignis vuol dire fuoco in latino. E’ strano pensare al fuoco ghiacciato o al ghiaccio infuocato.

Ogni tanto passa Giuseppe. Veste in modo strano. D’inverno solo con una camicia e un paio di pantaloni leggeri. D’estate con un cappottone pesante o due giacche sovrapposte. Noi ragazzi lo prendiamo in giro. Ma lui non si arrabbia mai. Non abita nella nostra via.

La signora Anna, molto anziana, conosce a memoria tutte le date di nascita e di morte degli abitanti della via. Da suo nipote si fa leggere sul giornale tutti i giorni l’elenco dei morti. Si tiene aggiornata. Anche mia nonna vuole che le legga i nomi. Ma mia nonna non se li ricorda.

Ho letto con piacere e da solo I ragazzi della Via Paal. Descrive gli scontri e le battaglie tra due bande di ragazzi. Abbiamo ripreso a giocare con le cerbottane; anche noi abbiamo i nostri spazi da difendere.

Nella mia via ci abita una signora toscana che ha sposato un operaio che lavora ai cantieri navali di Sestri Ponente. La settimana scorsa voleva della milza. Ha detto che le serviva per preparare una salsa toscana. Il macellaio l’ha accontentata. Ha tirato giù una mezza mucca e dopo un bel po’ di lavoro le ha presentato sul banco di marmo la milza. La signora ne ha comperato un etto. Avreste dovuto vedere la faccia del negoziante.

Il macellaio è un tipo molto simpatico. Non mi regala mai nulla, ma mi è lo stesso simpatico, specialmente dopo la storia della milza. Avevo pensato persino di trovargli un nome diverso da “macellaio”. Avevo pensato a carnivendolo, un po’ come fruttivendolo. Comunque io lo chiamo per nome, Gino. Ha lo stesso nome di mio papà.

Nella mia via c’è un negozio di alimentari. Vende pane, biscotti, farina, zucchero, ma anche sapone, dentifricio e i cannelli di zolfo. Mia nonna li compra per il torcicollo. Sono dei cilindri di zolfo che si passano sul collo per eliminare l’aria. Quando si spezzano si devono buttare via.

Nella mia via ci sono due negozi che vendono formaggi e salumi. Uno è proprio sotto casa mia. L’altro all’angolo in fondo alla strada. La mia mamma va sempre da quello di fronte a noi a comprare il formaggio grana. Io lo chiamo formaggio vero, per distinguerlo dagli altri, che sono altrettanto veri, ma meno saporiti.

Il formaggiaio Franco mi regala sempre un pezzetto di formaggio perché dice che fa bene alle unghie e alle ossa. Lo ha detto anche il maestro a scuola. Per le ossa avranno certamente ragione, ma le per unghie non mi spiego cosa siano quelle macchiette bianche che ogni tanto compaiono. Anche i miei amici le hanno. Loro dicono che sono le bugie che raccontiamo. Qualche bugia per la verità la dico, ma poi le confesso al prete.

Rosa abita nel palazzo di fronte al mio. Rosa è una bellissima ragazza di Palermo. Ieri l’ho vista dalla finestra. Mi ha anche salutato con la mano. Spero di incontrarla per strada. I suoi genitori non la fanno però uscire di casa, se non per andare a scuola. Non accompagna neppure sua madre a fare la spesa.

Nella mia via passa tutti i giorni il camion per il ritiro della spazzatura. Quando arriva suona la tromba. E’ il segnale per scendere con il bidone dell’immondizia da scaricare nell’automezzo. Quando sono a casa, mia mamma mi manda in strada a portare il secchio con la spazzatura. Lo spazzino getta il contenuto del secchio nel retro del camion che subito lo inghiotte. Sembra che se lo mangi con gusto.

Lo spazzino passa tutti i giorni con la sua scopa di saggina. Sembra quella delle streghe. Raccoglie le cartacce e le cicche delle sigarette. Le cicche le raccoglie anche uno che lo chiamano Nino il matto. Si fa le sigarette con il tabacco rimasto. Qualche volta Nino il matto chiede anche l’elemosina e un bicchiere di vino al bar. L’altro giorno gli ho offerto il mio ghiacciolo all’amarena. Non l’ha voluto.

Mi diverto molto a curiosare le tavole dei mestieri e degli oggetti che trovo nel dizionario di italiano Piccolo Palazzi. Quella dell’anatomia del corpo umano, per esempio, con lo scheletro, i muscoli, le vene e le arterie. Quella del falegname o del calzolaio con i nomi dei vari strumenti di lavoro. Quella dei lavori donneschi, vale a dire cucito, bucato, ricamo, stiratura.

Ho letto Lampo il cane viaggiatore. Lampo è un cane che è vissuto per tanti anni in una stazione, divertendosi a viaggiare in treno. E’ una bella storia vera, per chi ama i treni come me. A Lampo hanno costruito un monumento in marmo nell’aiuola della stazione.

Nella mia via lasciano sempre la pubblicità nelle cassette delle lettere. Campioni di detersivo o di saponette Lux, tubetti di dentifricio Durbans, bustine di borotalco Robert’s. Noi ragazzi ci facciamo la caccia, cerchiamo di portare a casa anche quelli dei vicini.

Nella mia via ci sono ben tre bar ed una trattoria con anche il bancone per la vendita del vino. Gli operai all’uscita dal lavoro prendono sempre un bicchiere di vino al banco. Bevendo vino diventano più chiacchieroni.

Al bar di Mario c’è un espositore di caramelle sul bancone. Oggi, quando si è allontanato Mario ho rubato delle caramelle. Le ho nascoste immediatamente in tasca e sono corso a casa. Mi batteva forte il cuore. Nella fretta non mi sono accorto di aver preso quelle alla menta, che proprio non mi piacciono. Quando tornerà a casa mamma, le chiederò i soldi per comperare quelle all’arancio che sono le mie preferite.

Oggi ho confessato al prete il furto delle caramelle. Gli ho anche detto che purtroppo erano alla menta e che le avrei regalate ad un mio compagno di scuola, che ne va matto. Me la sono cavata con tre avemaria e un padre nostro.

Noi bambini andiamo tutti a catechismo per prepararci alla prima comunione. Ci sono molte cose da imparare a memoria. Come il maestro dice che sono bravo a ripetere le poesie a memoria, il prete dice la stessa cosa per le preghiere. A catechismo ci hanno parlato di Dio, dell’Angelo Custode, delle preghiere della sera e del mattino, dei dieci comandamenti e dei peccati. I peccati sono veniali e mortali. Quelli mortali sono gravissimi.

La domenica mettiamo in pratica quanto ci hanno spiegato a catechismo. Ci dobbiamo destreggiare tra turiboli, navicelle, ostensori, calici, incenso e ostie, sotto la stretta sorveglianza del sacerdote. Il vino da messa è di sua esclusiva pertinenza.

Nella mia via al bar difficilmente vedi le donne. Ci vanno solo per acquistare il fiasco di vino per casa. Al bar l’altro giorno c’era una maga, una di quelle che legge le carte, le stelle e le mani. Non so da dove venga. Diceva di aver letto le mani di tanti marinai e soldati. Al mio amico Giacomo ha detto che sarà fortunato in amore, sul lavoro, ma che ha la linea della vita breve. Io non le ho fatto vedere le mie mani, dicendo che erano sporche.

Ieri al banco del bar l’amico Giacomo mi guardava e sorrideva. In piedi con il gomito appoggiato sul bancone con il bicchiere dell’aranciata, camicia bianca, pantaloni corti nella luce un po’ soffusa del bar. Lo vedevo sbiadire e quasi scomparire, come le figure d’ombra che oramai ho imparato a fare da solo sul muro di camera mia la sera intrecciando le mani una nell’altra, facendole volare.

Gli operai giocano alle carte, briscola e scopa. In palio una bottiglia di vino e d’estate la birra. Noi ragazzi non siamo molto graditi. Una volta ho visto dei soldi passare dalle mani di un giocatore alla tasca del giocatore avversario al termine di una partita. Il tavolino era quasi nascosto in fondo alla sala.

Al bar fanno lunghe partite a carte, dei veri e propri tornei. Giocano, bevendo e fumando delle sigarette puzzolenti.
A noi ragazzi diverte un sacco vederli urlare, agitarsi su quelle sedie, fare le facce buffe per i segni convenzionali. Occhiolini, smorfie, lingue e linguacce, colpi di tosse, alzate di spalle. Mauro soffre di un tremendo tic nervoso che gli fa muovere, quando è agitato, occhi e spalla sinistra. Nessuno vuole fare coppia con lui.

Al bar è stato organizzato un grande torneo di calcio balilla. Nicola e Mario sono la coppia da battere. Nicola è l’operaio dell’occhio di vetro. Gioca in difesa, è pressoché insuperabile. Nella partita di finale Nicola e Mario se la vedono con Carlo e Giacomo, due fratelli. E’ finita 10 a 8 per i due fratelli. Sono contento, perché anche loro sono tifosi dell’Inter. Nicola e Mario stanno invece con la Sampdoria.

Al bar c’è il juke-box. E’ come un grande giradischi con moltissimi dischi dentro. Quello del bar di Mario è giallo e blu con una grande vetrina sul davanti che fa vedere il movimento meccanico. Inserita una moneta, scelto con gli appositi tasti il pezzo, una pinza preleva il disco selezionato e lo pone sul piatto che gira. La puntina passa sul disco e noi sentiamo delle belle canzoni. Qualche volta il meccanismo s’inceppa. Se Mario non ci vede diamo due calcioni e il juke-box riprende a funzionare.

In fondo alla mia via c’è il bar della Società di Mutuo Soccorso. Hanno diversi tavolini dove giocano a carte. L’altro giorno durante una partita a scopa un signore è crollato con la faccia sul tavolo, facendo cadere per terra bicchieri e bottiglia del vino. Aveva il settebello ancora in mano. E’ arrivata l’ambulanza della Croce Bianca. Dicono che avesse già avuto problemi di cuore. E’ morto proprio dentro il bar. Noi ragazzi non ci andiamo più a comperare il gelato in quel bar.

Nella mia via i gelati li vende anche la latteria. Oggi volevo un ghiacciolo all’amarena. Avevo messo da parte i soldi nel salvadanaio a forma di casetta con il tetto rosso. Quando sono andato in latteria ho scoperto che era aumentato di prezzo. La signora me lo ha dato lo stesso, la differenza gliela porto domani.

In latteria acquistiamo anche le gomme americane, i cevingum. Con poco si comprano delle gustose palline di gomma da masticare alla macchinetta nella speranza di trovare quelle con il sapore preferito, amarena o fragola.

A scuola dalla terza elementare hanno tolto i doppi turni. La scuola ha trovato aule nuove.
Da quest’anno oltre il libro di lettura abbiamo anche il sussidiario. Ci sono tante cose da imparare, di storia, geografia e matematica. Basta con le letture di bambini monelli, di nonni anziani e di animali sfortunati. Ero un po’ stufo di quelle storie. Mi piacciono di più i giornalini.

A scuola hanno cambiato tutti i banchi e le seggiole. Ora i banchi sono tutti con la formica, come il tavolo di casa. Prima avevamo i banchi con un buco sul piano. Serviva per il calamaio. Ora non ci sono più le penne da intingere nell’inchiostro.

Nella mia via non c’è l’edicola dei giornali. Se prendo buoni voti a scuola, qualche volta sulla via del ritorno mia nonna mi compra Topolino o Il Vittorioso con Cocco Bill, che beve solo camomilla e i salami che camminano, quelli alati e volanti.

Mio padre dal giornalaio compra spesso La settimana enigmistica. I rebus non li capisco. Le parole crociate a schema libero di Bartezzaghi non riusciamo mai a finirle. Mi divertono molto le vignette di Carlo e Alice. Carlo è un ubriacone e un fannullone, che litiga spesso con la moglie, l’unica che lavora. Carlo e i suoi mille espedienti per bere un bicchiere in più, per dormire indisturbato, per scansare le fatiche. Il mondo del bar è solo per i maschi.

Nella mia via non passano i treni. Si vedono solo le automobili. Da grande voglio fare il ferroviere, il conduttore di locomotive. Voglio vedere tutte le città d’Italia. In cucina ho appeso una grande cartina delle regioni d’Italia. Ho imparato a memoria tutti i capoluoghi delle regioni e conosco anche il nome della capitale, Roma. Quando viene qualcuno a trovarci mia mamma mi fa ripetere tutte le città capoluogo, per far vedere quanto le ricordo bene. Il maestro ci ha insegnato che con il termine capitale si può chiamare solo Roma. Tutti gli altri sono capoluoghi. Quando mi interrogano gli amici di famiglia dico questa cosa e faccio sempre una bella figura.

Alla trattoria in fondo alla mia via ci vanno sempre a mangiare gli operai. Quelli che iniziano a lavorare alle due e quelli che escono alla stessa ora per fine turno. Quelli che entrano ci vanno prima, gli altri dopo.
Sabato scorso mio padre mi ha portato alla sera a mangiare in trattoria con i suoi amici di lavoro, le tagliatelle verdi condite con il sugo di coniglio. Ne ho mangiato tre piatti. Neppure mia mamma fa delle tagliatelle così buone, anche perché quando le fa non sono verdi.

Alla stazione mi ha accompagnato mio papà a vedere i treni. L’altoparlante gracchiante annunciava la partenza e l’arrivo con i relativi binari, elencando tutte le località di fermata del treno. Tornando a casa le ho verificate sulla cartina geografica.

Il gradino della porta d’ingresso della latteria è di cemento con un bordo in metallo. L’altro ieri correvo per andare da mio padre. Mi piace sempre corrergli incontro, farmi prendere al volo e farmi sollevare in aria dalle sue forti braccia. L’altro giorno sono scivolato e, cadendo, ho battuto la fronte contro il gradino. Il sangue mi colava sugli occhi. Non ci vedevo più. Mio padre mi ha portato di corsa fino alla Croce Bianca. Il dottore mi ha dato tre punti in fronte. Sono tornato a casa con una borsa del ghiaccio sulla testa. Il maestro a scuola dice da quel taglietto mi entrerà finalmente l’intelligenza. Io spero che, invece, non sia uscita.

Mi diverto a stare alla finestra a vedere passare le persone e le auto. Quando mangio le ciliegie alla finestra, mia nonna vuole indietro un numero di noccioli uguale a quello dei frutti che mi ha dato. Mi sgrida se lancio i noccioli in strada. Dice che è da persona maleducata farlo.


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Bart