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Rivista d'arte Parliamone
La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

Benni, Stefano

7 Novembre 2007

La Compagnia dei Celestini    

“La Compagnia dei Celestini”

La Repubblica, pagg. 320. Euro 4,90

Già i primi nomi che incontriamo: Gladonia (l’immaginario Stato in cui si svolge la storia) e Banessa, la città, la dicono lunga sull’intento dissacratorio del romanzo, assai scoppiettante di invenzioni giovanilmente rivolte al divertimento e all’irriverenza.  Ci muoviamo tra nomi e frasi che già da sé sono un programma di spasso e di ironia: il conte Feroce Maria Bumerlo, figlio di Hermann Falco Maria “uomo di sicura fede democratica ed entusiaste idee naziste” e padre di Elena de’ Faltirona, il medico Cisiello, i Padri Zopiloti, Don Biffero, gli scultori (scolpiscono con mollica di pane) Mirmidone e il figlio Termitino (autore di un “Cristo col Colbacco” fatto di mollica di pane, che franerà nel refettorio e provocherà il “Sacro Crollo”), Memorino Messolì, “l’orfano insonne”, il negretto Alì Viendalmare, il cuoco Passabrodet (“fu visto perfino prendere uova al volo dal sedere delle galline”), il complesso musicale Mamma Mettimi Giù, e così via.

La Compagnia dei Celestini, prima più numerosa, è una combriccola ribelle, ridotta ormai a tre componenti, orfani rinchiusi nel collegio “Santa Celeste” (la figlia ascesa al cielo di Feroce Maria) retto dai Padri Zopiloti, sotto le grinfie di Don Biffero, “quell’aguzzino fetente di cavolo…”: Memorino il filosofo, Lucifero Diotallevi e Alì. Progettano una fuga che li liberi dalla tirannia dell’orfanotrofio e li introduca nel mondo, dove però ci sono i “fidipà e i fidipù”, ossia quei “figli di papà e di puttana” benestanti, che li sbeffeggiano sempre quando escono in passeggiata. Ne hanno timore, perciò, e Alì soprattutto è indeciso e di punto in bianco si mette a raccontare una storia, una leggenda, sul terribile conte Feroce Maria, che dà modo all’autore di aprirsi a raggiera su una serie di storie che si inseriscono nel racconto principale, arricchendolo di fantasie e di estrosità e nelle quali, pur essendo diversi i narratori, il filone resta il medesimo e si dà la sensazione che l’uno prosegua dal punto in cui l’altro è rimasto (la storia di Feroce Maria, ad esempio, e quella di Santa Celeste).

Non mancano figure divertenti come Don Bracco, mandato per rintracciare i tre fuggitivi, che ci riserverà una sorpresa, o la dinastia dei Pelicorti, nove artisti bizzarri e originali, di cui abbiamo già conosciuto Mirmidone e Termitino, ai quali è da aggiungersi il Catena e Iris detta la Siribilla, “la più giovane dei nove fratelli”, che aveva “la misteriosa capacità di ritrarre i paesaggi dipingendoli come sarebbero stati l’anno dopo.”; o l’esorcista Don Collirio; e descrizioni altrettanto esilaranti come la cantina dell’orfanotrofio, ricca di vini pregiati, fra cui una bottiglia che risaliva al “faraone Tutmosis III” ed un’altra a “Noè, riserva speciale” o l’orologio a cucù appartenuto al nonno di Feroce Maria. La storia si regge sulla parodia e talvolta sul pungente – e in qualche caso irriverente – sarcasmo con i quali sono prese di mira alcune componenti istituzionali della nostra società, politiche e religiose soprattutto (i preti qui ritratti sono tra i più simpatici protagonisti, Don Fender in testa), e certi nostri costumi di vita; e la fantasia fumettistica di Benni (mi è venuto in mente spesso Jacovitti) le colora di quel tanto di ridanciano e inquietante bastevole a consegnarle e condannarle alla mostruosità del ridicolo. L’effervescenza di questo scoppiettante narratore lo sottopone, tuttavia, al rischio di sovrabbondare, e nascono così momenti meno brillanti ed originali, se non addirittura farraginosi, come tutta l’ecatombe finale, e scontati come, ad esempio, alcuni di quelli descritti sulla spiaggia della Riviera Adrenalinica, o la storia di Policinho, o certe sequenze delle partite di calcio, o talune disavventure di Deodato lo sfigato, che i tre orfani fuggiaschi dal collegio incontrano una volta usciti dai sotterranei del castello. Essi, accompagnati da una Celeste che in un primo tempo si dichiara nipote della Celeste ascesa al cielo, sono alla ricerca dei gemelli Finezza, ineguagliati giocolieri, coi quali devono completare la squadra – di cui i tre fuggiaschi fanno parte – invitata dal misterioso ed invisibile Grande Bastardo a disputare il Campionato mondiale della pallastrada, un campionato segretissimo che si dovrà tenere a Gladonia. Poiché i fuggiaschi sono inseguiti da don Biffero e da don Bracco e ricercati anche da un noto giornalista, Giulio Fimicoli, che è alla caccia di uno scoop, e poiché al famoso Campionato parteciperanno squadre provenienti da tutto il mondo, la trama si moltiplica con intrecci di storie che legano tra di loro fuggiaschi, inseguitori e giocatori. La caccia ai Celestini, la ricerca dei mitici fratelli Finezza e l’individuazione del luogo ove si disputerà il Mondiale della pallastrada, che un magnate della tv, Mussolardi, vuole riprendere ad ogni costo, nonché l’attesa e lo svolgimento del Campionato stesso, saranno, tra numerosi colpi di scena, i principali motivi conduttori della trama; tuttavia, il troppo affollamento di personaggi e vicende, che spuntano ad ogni piè sospinto, e il registro narrativo fin troppo monocorde, sia pure in presenza di brillanti scelte ed invenzioni lessicali (cubosimo, caiaffa, smatafloni, scamuzzolo, baciolosa, e così via) proiettano sul romanzo, pur irresistibile in certi punti (il capitolo 27 che parla della squadra dei ragazzi cinesi, ad esempio, o le condizioni in cui è stata ridotta l’Autostrada Fantasma descritta nel capitolo 35, o “Ares Pelicorti detto il Retrino, noto per dipingere i grandi capolavori visti da dietro.”), quell’effetto di saturazione che contribuisce a dare al suo contenuto, forse ingenerosamente, un connotato alquanto frivolo e superficiale. Ma si deve riconoscere che, a chi ama il genere, il modo di raccontare di Benni, qui, è superlativo.


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Bart