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Bersani, il rischio d’innovare

18 Marzo 2013

di Fabio Martini
(da “La Stampa”, 18 marzo 2013)

Il «metodo Francesco » può portare lontano. La suggestione uscita dalla Cappella Sistina è subito diventata potente per la politica domestica: i cardinali del sacro collegio sono riusciti a riassorbire l’inedita «crisi istituzionale » ai vertici di Santa Romana Chiesa, scegliendo di portare un outsider al soglio di Pietro.

Consapevoli che il più autorevole tra i cardinali italiani, forse, non sarebbe bastato per rigenerare il corpo stanco della Chiesa. Una scelta controcorrente che si è consumata in ventiquattro ore: soltanto otto in più sono servite ai parlamentari italiani per scegliersi i Presidenti delle due Camere: un magistrato di lungo e apprezzato corso, una funzionaria dell’Onu, impegnata da anni nella difesa dei diritti umani. Anche loro scelti fuori dal mazzo delle carte tradizionali. Anche loro estranei alle Curie politiche. Certo, «tecnici d’area », ma privi di identità partitiche. Poco importa che la scelta di Pier Luigi Bersani sia l’effetto di una serie di rimpalli e non di un’opzione programmata. Quel che conta è la qualità della scelta finale. E il leader del Pd può rivendicare di esserne l’artefice: i due Presidenti, per la forte personalità e per storia personale, sembrano in grado di garantire in autonomia la funzione di garanzia che li attende. Ma sono anche due personalità scelte dal Pd perché capaci di «parlare » alla vastissima opinione pubblica disgustata dalla politica dei partiti tradizionali.

Così adatti a questa missione che alcuni senatori grillini – dieci, forse dodici – nel segreto della cabina-catafalco di palazzo Madama, hanno votato per Pietro Grasso. Facile immaginare che se il Pd avesse proposto per le Presidenze personaggi capaci ma collaudati, visti mille volte in tv, come Anna Finocchiaro e Dario Franceschini, la secessione grillina non si sarebbe manifestata. Beppe Grillo ha immediatamente scomunicato i misteriosi senatori «ribelli ». E lo ha fatto con un lessico lapidario, la prova che da quelle parti hanno accusato il colpo. Dalla rete sono piovute severe reazioni all’anatema. Bersani ha fatto due volte centro. Ecco perché nei prossimi giorni tutto ruoterà attorno ad un enigma: quello proposto dal leader del Pd è un metodo o una eccezione? Finocchiaro e Franceschini: hanno saputo rinunciare alle prestigiose collocazioni loro promesse con uno stile esemplare e lo spirito del tempo rischia di far apparire anacronistico un loro ritorno alle caselle di partenza, la presidenza dei loro Gruppi parlamentari. E Bersani?

Fuoriuscire dalla propria identità è impresa davvero complessa. Per chi, come lui, è il leader del Pd, uno dei due partiti-guida della Seconda Repubblica. E dunque il segretario democratico non può non essere consapevole del rischio che lui stesso corre: la potente innovazione da lui avviata potrebbe coinvolgere, per eccesso di successo, anche il suo artefice. Per scongelare una decina di senatori grillini è bastato proporre Pietro Grasso, ma per provare a convincerne altri trenta, bisognerà potenziare la qualità della proposta innovativa. Certo, l’operazione Presidenti può risultare, in ogni caso, un buono spot in vista di elezioni anticipate. Ma come reagirebbero i parlamentari del Cinque Stelle se il partito di maggioranza relativa proponesse una personalità indipendente e dello stesso spessore del presidente del Senato? Col sottinteso che, a questo punto, sono cambiate anche le regole di ingaggio per partecipare alla partita del Quirinale. Dopo la coppia Boldrini-Grasso rischiano di apparire vieppiù invecchiate anche alcune delle più autorevoli riserve della Prima e della Seconda Repubblica.


Prese le Camere ora vogliono il Quirinale
di Massimiliano Scafi
(da “il Giornale”, 18 marzo 2013)

Roma – Il casco bianco, la paletta, un incrocio da presidiare. Napolitano come il vigile di Sordi, allora è così che Pier Luigi Bersani vede il suo vecchio compagno di partito: «Il capo dello Stato dalla prossima settimana dirige il traffico ».
Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con i neo presidenti di Camera e Senato, Laura Boldrini e Pietro Grasso

Che succede, dopo il giaguaro, il segretario del Pd vuole smacchiare anche il capo dello Stato? «Giorgio Napolitano è anche un uomo molto spiritoso – spiega – e non se la prenderà. Ho un’enorme stima per quello che ha fatto e quello che farà. Davanti ha un compito molto difficile ».
Una battuta delle sue. Ma sotto la spiritosaggine c’è un disagio reale, anzi uno scontro duro, oltre alla conferma che la partita del governo è sempre più intrecciata con quella della Colle: Napolitano infatti è l’ostacolo più alto che separa Bersani da Palazzo Chigi. Forte della sua maggioranza incompleta, il leader del centrosinistra forse otterrà un incarico «con riserva ». Ma se non dimostrerà di avere i numeri, cioè se i Cinque stelle non dichiareranno ufficialmente durante le consultazioni di essere disposti a votare la fiducia, è quasi sicuro che Napolitano lo fermerà.

Quindi, questo è il ragionamento al Largo del Nazareno, meglio mettere un altro sul Colle, magari uno più malleabile, uno che non sarà nel semestre bianco e che potrà sciogliere le Camere. E subito si riaccende la corsa per il Quirinale. Il candidato perfetto, nell’ottica dei democratici, è Romano Prodi. Se Monti non si mette di traverso, ci sono pure i numeri per eleggerlo facilmente. L’alternativa è Pietro Grasso, neopresidente del Senato, figura prestigiosa nella lotta alla mafia, già seconda carica della Repubblica. Terzo nome, Stefano Rodotà, forse gradito ai grillini.
Lo schema di Bersani ha però un grosso difetto: il Pd ha già conquistato le due Camere ed è impensabile che possa mettere il cappello anche su Quirinale e Palazzo Chigi, almeno una delle due poltrone dovrà mollarla. Se Bersani vuole il governo, per sé o per un altro del suo partito, dovrà lasciare il Colle. Angelino Alfano prova lo spariglio: «Saremo disponibili a sostenere un suo governo se ci sono le condizioni: rappresentanza dei moderati alla presidenza della Repubblica e misure economiche per far ripartire l’economia ». La risposta pd è sprezzante: «Qui non c’è recapito per gli scambi indecenti ».

Ma il Pdl può giocare altre carte capaci di scompaginare il campo del centrosinistra. La prima è Giuliano Amato, che ieri sul Sole 24 ore scriveva di crescita, di rapporti con l’Europa, di correzioni alla politica di austerità. La seconda, nonostante le smentite, è Massimo D’Alema, il vero anti Prodi. Con uno dei due il Cavaliere si sentirebbe abbastanza garantito. Poi c’è l’ipotesi Napolitano. Il centrodestra continua a tenere coperta la pista, anche perché il diretto interessato continua a dirsi indisponibile al bis. Ma se tutti glielo chiedessero? E se il suo nome fosse in campo, come potrebbe almeno metà del Pd non votarlo? Se poi toccasse a una donna, sono pronte Emma Bonino e Annamaria Cancellieri.
Intanto, siccome c’è da provare a mettere in piedi un esecutivo, Napolitano approfitta della giornata dell’Unità nazionale per affidare alle onde della politica il suo milionesimo messaggio in bottiglia, che è un vero programma di governo. Il quadro è sconfortante. «Oggi, gli italiani lo sanno bene, è di nuovo un momento difficile e duro. Per l’economia che non cresce, la disoccupazione che aumenta e dilaga tra i giovani, il Mezzogiorno che resta indietro, per quel che non va nello Stato, nelle istituzioni, nella politica e che va riformato ». Per riuscirci, servono «orgoglio, fiducia e voglia di riscatto e di stare insieme senza dividerci in fazioni contrapposte su tutto ».
In attesa di risolvere il cubo di Rubik, ecco sul Colle Grasso e la Boldrini. «Sangue freddo, fatica e successo », questo il viatico presidenziale.


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A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart