Caso Napolitano. Continua il silenzio di Corriere, Stampa e Repubblica9 Agosto 2012 Zero Tituli di Marco Travaglio Il regime dei Cinque dell’Apocalisse (Quirinale, Avvocatura dello Stato, Procura della Cassazione, Csm e Governo) che assedia la Procura di Palermo può ritenersi soddisfatto. La notizia anticipata dal Fatto sul procedimento disciplinare contro i pm Messineo e Di Matteo, rei del terribile delitto di intervista, ha raccolto l’audience mediatica auspicata: omertà assoluta di politici, giornali e tg. Fa eccezione il Foglio che, per quanto clandestino, fa il suo sporco mestiere: plaude al Pg della Cassazione e lo esorta a radere al suolo la Procura, “luogo di mille abusi”, anche con processi penali per “violazione del segreto istruttorio”. Pazienza se il segreto istruttorio è stato abrogato nel 1989 e se per le toghe – lo dimostreremo domani – rilasciare interviste non è illecito disciplinare, ergo l’unico “abuso” è proprio il procedimento disciplinare contro Messineo e Di Matteo. Quanto agli altri quotidiani – direbbe José Mourinho –, “zero tituli”. Compresi il Giornale e Libero che forse, per la prima volta nella storia, provano un filo d’imbarazzo. Ma anche Repubblica, sempre in prima linea a protestare quando i governi B. promuovevano od ottenevano azioni disciplinari contro i pm più impegnati (nelle indagini su B. & his band). Munendosi di microscopio elettronico, si rinvengono su Repubblica alcune righe riservate alla notizia, pudicamente nascoste in fondo a un articolo dedicato a tutt’altro dal titolo “Caso Mancino-Quirinale, no alla legge ad hoc”, per evitare che qualcuno le noti. Problemi di spazio, probabilmente, in una giornata dominata da notizione come il pensiero di Brunetta su Monti, “Porcellum, la battaglia solitaria del soldato Giachetti”, “L’Italia dei borghi a 5 stelle”. Sul Corriere, neanche tre righe camuffate dietro la siepe: in compenso, ampio spazio al pensiero di Follini, alla gigantografia della famiglia reale Giorgio & Clio sulla sdraio a Stromboli, agli alti lai del nuovo Pellico, il ciellino Simone detenuto per corruzione dunque “prigioniero della politica e dei magistrati”. Seguono le polemiche sullo spot agreste di Aldo, Giovanni e Giacomo e gli scoop del giorno: “La collanina del primo amore” dello scrittore Buzzi, “Il gossip non è più quello di una volta”, “Gli ultimi ciak dei Soliti idioti” e la “caccia ai polpi di Ponza”. Roba forte, altro che la caccia ai pm della trattativa. Non manca, sul Corriere, il diario di un cane che risponde all’angosciante interrogativo: “Perché nascondono sempre il mio osso?”. E non è mica l’unico cane a scrivere sui giornali. La Stampa regala un paginone su “le vacanze misurate degli onorevoli”, poi s’avvicina pericolosamente alla trattativa: “Tanti indagati, poche condanne”. Allusione a Stato e mafia? No, ai finti ciechi, vera emergenza nazionale. E volete mettere, poi, la ricomparsa del “maschio alfa fra i lupi dei Monti Sibillini”? Si dirà: almeno l’Unità, con la sua centenaria tradizione antimafia, gliene dirà quattro a chi vuol fermare i pm. Invece no. Siccome non c’è peggior Sardo di chi non vuol sentire, c’è ben altro in menu: “Bersani: i progressisti non si chiudono nell’autosufficienza”, “Sui valori della Carta d’intenti si può ricostruire la politica”, “Geografie dell’utopia” (ma anche, volendo, utopie della geografia) e l’imprescindibile “Elogio del ‘non so’”. Più che un titolo, un piano editoriale. da Il Fatto Quotidiano del 9 agosto 2012Il regime dei Cinque dell’Apocalisse (Quirinale, Avvocatura dello Stato, Procura della Cassazione, Csm e Governo) che assedia la Procura di Palermo può ritenersi soddisfatto. La notizia anticipata dal Fatto sul procedimento disciplinare contro i pm Messineo e Di Matteo, rei del terribile delitto di intervista, ha raccolto l’audience mediatica auspicata: omertà assoluta di politici, giornali e tg. Fa eccezione il Foglio che, per quanto clandestino, fa il suo sporco mestiere: plaude al Pg della Cassazione e lo esorta a radere al suolo la Procura, “luogo di mille abusi”, anche con processi penali per “violazione del segreto istruttorio”. Pazienza se il segreto istruttorio è stato abrogato nel 1989 e se per le toghe – lo dimostreremo domani – rilasciare interviste non è illecito disciplinare, ergo l’unico “abuso” è proprio il procedimento disciplinare contro Messineo e Di Matteo. Quanto agli altri quotidiani – direbbe José Mourinho –, “zero tituli”. Compresi il Giornale e Libero che forse, per la prima volta nella storia, provano un filo d’imbarazzo. Ma anche Repubblica, sempre in prima linea a protestare quando i governi B. promuovevano od ottenevano azioni disciplinari contro i pm più impegnati (nelle indagini su B. & his band). Munendosi di microscopio elettronico, si rinvengono su Repubblica alcune righe riservate alla notizia, pudicamente nascoste in fondo a un articolo dedicato a tutt’altro dal titolo “Caso Mancino-Quirinale, no alla legge ad hoc”, per evitare che qualcuno le noti. Problemi di spazio, probabilmente, in una giornata dominata da notizione come il pensiero di Brunetta su Monti, “Porcellum, la battaglia solitaria del soldato Giachetti”, “L’Italia dei borghi a 5 stelle”. Sul Corriere, neanche tre righe camuffate dietro la siepe: in compenso, ampio spazio al pensiero di Follini, alla gigantografia della famiglia reale Giorgio & Clio sulla sdraio a Stromboli, agli alti lai del nuovo Pellico, il ciellino Simone detenuto per corruzione dunque “prigioniero della politica e dei magistrati”. Seguono le polemiche sullo spot agreste di Aldo, Giovanni e Giacomo e gli scoop del giorno: “La collanina del primo amore” dello scrittore Buzzi, “Il gossip non è più quello di una volta”, “Gli ultimi ciak dei Soliti idioti” e la “caccia ai polpi di Ponza”. Roba forte, altro che la caccia ai pm della trattativa. Non manca, sul Corriere, il diario di un cane che risponde all’angosciante interrogativo: “Perché nascondono sempre il mio osso?”. E non è mica l’unico cane a scrivere sui giornali. La Stampa regala un paginone su “le vacanze misurate degli onorevoli”, poi s’avvicina pericolosamente alla trattativa: “Tanti indagati, poche condanne”. Allusione a Stato e mafia? No, ai finti ciechi, vera emergenza nazionale. E volete mettere, poi, la ricomparsa del “maschio alfa fra i lupi dei Monti Sibillini”? Si dirà: almeno l’Unità, con la sua centenaria tradizione antimafia, gliene dirà quattro a chi vuol fermare i pm. Invece no. Siccome non c’è peggior Sardo di chi non vuol sentire, c’è ben altro in menu: “Bersani: i progressisti non si chiudono nell’autosufficienza”, “Sui valori della Carta d’intenti si può ricostruire la politica”, “Geografie dell’utopia” (ma anche, volendo, utopie della geografia) e l’imprescindibile “Elogio del ‘non so’”. Più che un titolo, un piano editoriale. Quando Anm e Csm alzavano barricate Gli scioperi contro la riforma della Giustizia, targata Roberto Castelli, le proteste per gli ispettori facili inviati dallo stesso ministro leghista (a Milano in particolare per le indagini su Silvio Berlusconi); i documenti contro le leggi ad personam, le pratiche a tutela o i comunicati contro gli insulti a pm e giudici. Il sindacato dei magistrati, l’Anm, così come l’organo di autogoverno dei magistrati, il Csm, si sono sempre fatti sentire. Soprattutto dal secondo governo Berlusconi in poi. Ora silenzio e solo silenzio sul tentativo – fallito – del Procuratore generale della Cassazione, Gianfranco Ciani di far intervenire il Procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso sui magistrati palermitani, dopo il pressing di Mancino sul Quirinale. Grasso, come ha raccontato al Fatto il 22 maggio, rispose per iscritto a Ciani che “nessun potere di coordinamento” poteva consentirgli “di dare indirizzi investigativi e ancor meno di influire sulle valutazioni degli elementi di accuse acquisiti dai singoli uffici giudiziari”. Silenzio e solo silenzio anche sull’azione promossa dal pg Ciani, che potrebbe portare a un processo disciplinare davanti al Csm a carico del procuratore di Palermo, Francesco Messineo e del pm, Nino Di Matteo, per un’intervista del sostituto, uno dei titolari dell’indagine sulla trattativa. L”unica voce che si è levata finora è quella dell’Anm locale. Ribadisce “stima e ‘affetto per i colleghi… auspica una rapida definizione della vicenda, certa che il loro impegno proseguirà inalterato”. Una volta, però, l’Anm si è schierata contro un procuratore generale della Cassazione. Quando, nel luglio 2010, il pg, Vitaliano Esposito ha promosso l’azione disciplinare nei confronti del presidente della corte d’Appello di Milano, Alfonso Marra, coinvolto nella P3, senza chiedere una “misura cautelare”, il trasferimento per incompatibilità ambientale. 41bis. Carta Canta Un ritaglio di giornale dal ti tolo “Revocato il decreto ammazza colloqui”, se guito da poche righe scritte a mano: “Caro ministro, come di intesa ho già avvertito Parisi e Lauro e a entrambi ho mandato copia del decreto via fax in modo che lo abbia anche il ministro Mancino. A Napoli, dalle prime informazioni, sem bra che la reazione del persona le dei due istituti sia buona. Spe rando in bene, ti abbraccio con affetto. Niccolò” . Parisi è in quel momento il capo della polizia, Raffaele Lauro il suo capo di ga binetto: scritto da Niccolò Ama to, a capo del Dap, l’ appunto in viato nel febbraio del ’93 al mi nistro Guardasigilli, Giovanni Conso, è allegato agli atti del processo romano sulle infiltra zioni dei “servizi” nel mondo delle carceri. Mancino ha sem pre smentito di essere stato av vertito dell’attenuazione del 41-bis nelle carceri napoletane, ma l’appunto di Amato offre una conferma cartolare ai magi strati che indagano sulla tratta tiva mafia-Stato. Un biglietto che assieme al carteggio allega to agli atti racconta la storia di un agente di polizia penitenzia ria, Pasquale Campanello, ucci so tra i brindisi dei detenuti ca morristi, mentre sullo sfondo lo Stato si accordava con la mafia. UNA STORIA che inizia in Campania: è l’8 febbraio 1993 quando due killer camorristi con 14 colpi di pistola cancellano, a Torrette di Mercogliano, in pro vincia di Avellino, la vita Campa nello, in servizio a Poggioreale, dove, nel padiglione “Venezia” quella stessa sera i boss rinchiusi al 41-bis brindano con spumante all’omicidio. Un delitto “spar tiacque” nella storia della “trat tativa” tra Stato e mafia, che mo stra, più di ogni altro evento, il doppio volto dello Stato pronto per la prima volta ad alternare pugno di ferro e concessioni carcerarie imbarazzanti. Dagli atti del processo romano, infatti, salta fuori un carteggio che racconta l’atteggiamento di funzio nari di polizia e ministri di fronte alla ferocia camorrista in un con testo in cui la trattativa correva sotterranea nei dialoghi tra Stato e criminalità organizzata. La scansione degli eventi parte pro prio da quell’omicidio, che cade a cavallo dell’avvicendamento al ministero della Giustizia tra Claudio Martelli e Giovanni Conso, suo successore. Subito dopo l’omicidio Campanello, Niccolò Amato piomba a Poggioreale e invia un appunto al Guardasigilli Martelli: “Essendomi recato nel l’istituto di Poggioreale subito dopo il barbaro omicidio – scri ve Amato – ho potuto constatare i sentimenti di costernazione e preoccupazione del personale (…) e la diffusa richiesta generale di immediati e adeguati inter venti sulle cause di fondo degli attuali disagi e difficoltà dell’am ministrazione penitenziaria”. Così, per i detenuti al 41-bis, Amato propone di mostrare il pugno duro: riduzione dei colloqui, le te lefonate, i pacchi e l’ora d’aria per i detenuti pericolosi. E il giorno dopo, il 9 febbraio ’93, Martelli emette il decreto con le restrizioni. È l’ultimo decreto fir mato dal ministro che si dimette tre giorni dopo: a via Arenula ar riva Conso. Fuori dal carcere, in tanto, la tensione sociale cresce. Il 12 febbraio si riunisce al Vimi nale il Comitato Nazionale per l’Ordine e la Sicurezza pubblica, Parisi e Mancino, sostiene Amato, premono per l’attenuazione del carcere duro. Qualche gior no dopo in un documento del 17 febbraio i familiari dei detenuti chiedono che i loro parenti siano “trattati civilmente, non come carne da macello”. E a questo punto arriva la svolta, cambia la politica del carcere duro: il que store di Napoli, Umberto Impro ta, il 20 febbraio invia un primo fax “urgentissimo” al ministero di Grazia e Giustizia proponen do di attenuare il rigore del prov vedimento per “stemperare ten sioni all’esterno del carcere”, come si legge nel docu mento inviato. La richiesta viene immediatamente accolta da Conso che revoca il decreto del 9 febbraio firmato da Martelli, facendo tutta via eccezione per i re parti di Poggioreale denominati “Torino” e “Venezia”, e per i re parti “T1” e “T2” di Secondigliano. E ne dà notizia alla stampa con un co municato: “La decisione del ministro nasce dalla constatazione che, nel periodo di vigenza del decreto che imponeva le restrizioni generali, i detenuti hanno mantenuto un comportamento regolare”. E subito dopo arriva l’appunto scritto a mano da Niccolò Amato e inviato a Conso. Poche righe che, da come scrive Amato, anche Nicola Mancino (indagato a Palermo per falsa testimonianza nell’am bito della trattativa) avrebbe let to, tramite il suo capo di gabinet to Raffaele Lauro. Interpellato da Il Fatto, Niccolò Amato spiega: “Nel mio primo appunto ho pro posto a Martelli di fare le restri zioni. Poi la revoca di Conso fu fatta non a seguito di una mia propo sta. Questo biglietto autografo al ministro è la conferma che la revoca è stata fatta al di là di ogni mia volontà, e su proposta di Improta. Si tratta di un atto amichevole che io inviai a Conso per informarlo che su sua richiesta avevo mandato la revoca anche a Lauro perché non potevo inviar lo direttamente a Mancino.” POI AMATO ricorda un episo dio in particolare, di cui ha par lato durante un interrogatorio anche Paolo Falco, numero due del Dap in quegli anni, a Gabriele Chelazzi, pm che indagava in passato sulla Trattativa. “Falco racconta di una discussione ve race tra me e Conso. Io infatti mi lamentavo quando chiedevo a Conso di applicare il 41-bis, e Conso spesso interpellava Man cino. Io ritenevo che non era di competenza del ministero del’interno” . L’ordine pubblico è salvo, le ten sioni rappresentate dal questore si allentano. In un secondo fax inviato sempre il 20 febbraio a via Arenula, Improta aveva raccontato di un in contro con i familiari dei detenu ti che hanno “rappresentato un profondo stato di disagio corre lato alle limitazioni poste in am bito dei rapporti tra i detenuti e i loro coniugi, evidenziando che le restrizioni colpiscono tutti i 2600 detenuti ingiustamente ri tenuti oggettivamente responsa bili per l’omicidio premeditato ai danni dell’agente Campanel lo”. Del quale non sono mai stati scoperti né mandanti, né killer. ________ Qui l’articolo coi documenti La verità di Bertolaso. «Ecco cosa vi nasconde Repubblica » Guido Bertolaso pone una sola condizione a Libero per rila sciare l’intervista. La stessa dettata a Sette e al Fatto Quotidiano: «Che si parli pure del Cuamm, l’ong di medici con la quale lavoro in Afri ca e che merita la massima consi derazione per la missione che svolge qui da oltre sessant’anni ». L’ex capo della Protezione civile si trova da due mesi a Sud del Sudan, dov’è tornato al suo primo mestie re: il medico. Professione che oggi esercita principalmente per de bellare la malaria, nell’ospedale materno-infantile di Yrol, dopo averlo ristrutturato e intitolato a Beniamino Andreatta («uomo po litico che stimavo e a cui volevo molto bene »). Ma è nella Cambo gia di Pol Pot, tra il 1980 e il 1983, che Bertolaso iniziò a indossare il camice bianco, dopo essersi spe cializzato in Inghilterra in malattie tropicali. Lei ha detto che era Napolitano il suo referente, non Berlusconi. Che rapporto c’era tra lei e il capo dello Stato? «È dai tempi di Pertini, quando con il suo “fate presto” rimproverò i ritardi delle istituzioni nei soccor si alle vittime del terremoto in Irpi nia ne11980, che la Presidenza del la Repubblica dimostra, ad ogni grande catastrofe, un interesse immediato, diretto, partecipato alle vicende della Protezione civi le. È accaduto anche con la trage dia dell’Aquila. Credo vi sia un feeling fisiologico tra Protezione civi le e Quirinale ». Da cosa deriva? «Dal fatto che il Presidente della Repubblica rappresenta al som mo grado l’unità del Paese, il suo essere Patria di tutti. E queste di mensioni condivise del nostro es sere italiani sono le risorse di base del nostro sistema di protezione civile, che organizza la mobilita zione collettiva di tutti in favore delle vittime di ogni singolo gran de disastro ». La procura di Firenze ha intercet tato due telefonate tra lei e Napolitano. Di cosa parlaste? «Come ovvio, di terremoto. Il Pre sidente si rivolgeva al capo della Protezione civile per seguire le vi cende fin dalle prime ore dopo l’accaduto, si informava su come andavano i soccorsi. Di telefonate ce ne furono ben più di due. Lui si confrontò con me anche per pia nificare la sua visita alla popola zione delle zone terremotate. Era preoccupato di non intralciare in alcun modo l’ attività di soccorso ». Su quelle telefonate il Quirinale non ha chiesto il silenzio, mentre su quelle palermitane sì. Lei che spiegazione si è dato? «Sul Quirinale, non credo ci sia spazio per grandi retroscena: semplicemente, non si chiede il si lenzio a uno che sta zitto ». E, secondo lei, perché tutti hanno preferito stare zitti e non pubblica re le sue conversazioni con Napoli tano sebbene lui non abbia posto alcun veto? «La risposta l’ha data la procura di Firenze. In un articolo comparso solo sull’edizione locale, Repub blica riporta una dichiarazione della procura che spiega di aver sospeso le intercettazioni delle mie telefonate, comprese quelle con il Capo dello Stato, tre giorni dopo il sisma del 6 aprile all’Aquila perché «l’indagato parlava solo delle sue attività legate all’emer genza terremoto »! La procura af ferma di non aver neppure sbobi nato quelle conversazioni, che so no in un cd rom ». Ma lei è sicuro che Repubblica le abbia quelle conversazioni? «Certo che ce l’ha. Ma la linea è stata quella di pubblicare solo gli spezzoni di telefonate utili a sostenere la tesi della mia appartenen za alla “cricca”, non quelle che la contraddicono ». Per esempio? «C’è un’intercettazione dei fratelli Anemone in cui uno dice: “Berto laso ci ha rovinato, ci ha tolto 50 milioni di euro, sono finito ». E l’al tro risponde: “Questa è una porca ta, adesso andiamo noi da Santoro a fare casino contro Bertolaso”. Ma ce n’è un’altra ancora migliore che Repubblica si è tenuta nel cas setto. Se vuole gliela dico ». Vada. «L’ex procuratore aggiunto di Ro ma Achille Toro, condannato per aver avvertito alcuni indagati dell’inchiesta sui Grandi eventi, alla sorella che gli chiede se ero coinvolto anch’io, risponde: “Ber tolaso non c’entra un cazzo eppu re lo hanno messo in mezzo lo stesso”. È evidente che Repubblica ha usato lo stesso criterio della procura, giudicando queste inter cettazioni di nessun interesse per sostenere la tesi della mia pretesa colpevolezza. Quindi le ha buttate nel cestino ». Ok, ma perché la procura avrebbe smesso di intercettarla? «Non riesco a capire il perché di quella sospensione nelle intercet tazioni, proprio nel momento in cui, secondo il teorema dell’accu sa che mi vuole a capo della “cric ca”, disponevo di soldi e poteri co me mai prima e potevo, quindi, fi nalmente “delinquere” a man bassa. I magistrati di Firenze ave vano già ascoltato la telefonata di Piscicelli, quello che rideva del ter remoto. Se davvero mi ritenevano colpevole, avrebbero potuto im maginare che finalmente era arri vato il momento per beccarmi col sorcio in bocca. Invece no, stop-pano tutto ». Un’idea su ciò che può aver spinto gli inquirenti a tale scelta se la sarà fatta… «Decidono di sospendere le intercettazioni perché parlavo solo del mio lavoro. Perché se avessero continuato ad intercettarmi, i ma gistrati non avrebbero trovato al tro che nuovi elementi per avere conferma che i teoremi accusatori erano del tutto campati in aria. Mi pare non sia peregrino il dubbio che mi viene circa i reali motivi dell’indagine e dello spazio dato da alcuni media a tutte le dicerie su di me ». E quali sarebbero i motivi? «L’obiettivo era colpire la persona che aveva messo in piedi una struttura straordinaria come quel la Protezione civile, e poi smantel larla perché dava fastidio, era troppo attiva, troppo presente e ingombrante per quelle che sono le dinamiche di un Paese come il nostro. Ma gli elementi per capire la mia innocenza c’erano già tutti dall’inizio. Alcuni, contenuti in te lefonate acquisite e mai rese pub bliche. Solo il processo, quando avranno la bontà di celebrarlo, può dimostrare la mia totale estra neità alle accuse ». Il direttore di Libero, Maurizio Bel pietro, ha rivolto sei domande a Repubblica sulle sue intercetta zioni. Secondo lei, risponderà? Risata. «Quando nel 2010 quel quotidiano mi attaccò dicendo che ero un corrotto, Eugenio Scalfari mi pose dieci domande su tut te le mie presunte malefatte e io gli risposi dopo sei ore, perché sono una persona trasparente, non ho nulla da nascondere. Repubblica, invece, qualche piccolo sche letro da nascondere sul mo do in cui ha trattato la mia vicenda ce l’ha. E temo che duran te la pausa estiva cercherà di far passare nel dimenticatoio le do mande di Belpietro. Io spero, inve ce, che rispondano e facciano ve dere cos’hanno in mano ». A Monti il presidente della Repub blica ha affidato la guida del Paese. A lei quale mission aveva dato? «Il Capo dello Stato ha responsa bilità costituzionali precise per quanto riguarda i governi, non ne ha sulla nomina di un funzionario pubblico a capo della Protezione civile e perciò non può affidare nessuna specifica mission al capo del dipartimento. Può, invece, aspettarsi molto dalla Protezione civile, che nei momenti di gravi emergenze rappresenta la faccia dello Stato che si mostra alle per sone colpite e all’opinione pubbli ca. Ciò che viene fatto bene è a vantaggio di tutte le istituzioni, gli errori diventano ombre sull’ope rato di tutto lo Stato. A questo il Presidente della Repubblica era ed è molto sensibile ». Vi siete sentiti di recente con Na politano? «Non sento il Presidente da tem po, da quando sono pensionato ». Il capo dello Stato le ha espresso solidarietà o rimproveri riguardo il suo coinvolgimento nell’inchie sta sulla cricca? «So che la vicenda nella quale so no stato tirato per i capelli non gli ha certo fatto piacere. Non ho rice vuto messaggi di solidarietà: cosa che sarebbe stata impropria, visto che il Presidente della Repubblica è anche il capo del Csm e sarebbe ben strano se, a fronte di un’inizia tiva della magistratura, lui espri messe solidarietà a un indagato o a un imputato, quale sono io in questo momento. Ritengo sia ob bligato dal suo ruolo e dalla sua funzione a stare in silenzio fino a che la stessa magistratura non si esprimerà sulla mia vicenda in modo definitivo, sanzionando uf ficialmente la mia estraneità alle accuse costruite contro di me ». Quindi lei dà per scontata la sua assoluzione. «Considero la completa assolu zione “perché il fatto non sussiste” l’unico esito possibile di questa storiaccia, nonostante il parere espresso dai media. E sono certo che quando questa sentenza arri verà, al Presidente farà piacere ». Con chi è rimasto in contatto in Italia? «Con molti amici veri, che sono molti meno di quelli che si dichia rerebbero tali se io non fossi im putato. Le disgrazie aiutano a ca pire anche la qualità delle persone che frequenti. A far selezione, a sgombrare il campo dalle presen ze che mettono su la maschera dell’amicizia, ma sono attirate so lo dalla posizione che ricopri nel momento del favore, quando le cose vanno bene. Rimango in contatto anche con le persone che leggono periodicamente il mio si to e seguono le mie attività. Non sono pochi e spesso sentono il bi sogno di sostenermi, di esprimer mi la loro stima e la loro partecipa zione. Rappresentano per me una grande fonte di energia e di forza, e li ringrazio per la costanza nel tra smettermi la loro vicinanza ». Con Berlusconi vi sentite? «Col presidente Berlusconi ho mantenuto rapporti diretti. Prima di partire abbiamo parlato di Afri ca e di possibili progetti. Quando torno gli riferirò della mia espe rienza qui. Avrò elementi nuovi e freschi per ravvivare il suo intendi mento ad operare nel campo della solidarietà e della sanità nei Paesi del terzo mondo. Sono sicuro che riuscirò ad interessarlo e a convin cerlo. Anche perché questa espe rienza mi è servita per riprendere la mano e a togliermi di dosso la ruggine prodotta dalle recenti questioni giudiziarie » Quanto tempo rimarrà in Sudan? «Fino alla metà di settembre ». Che farà tornato in Italia? «Con l’aiuto delle persone di buo na volontà che conosco, intendo mettere in piedi un grande movi mento che combatta lo scandalo mondiale della malaria, che nel Terzo millennio miete ancora mi gliaia di vittime, soprattutto tra i bambini. Un dramma che forse non ci preoccupa quanto lo spread o il Porcellum, ma che ha un valore infinitamente più im portante per la vita umana ». “I pm di Palermo? Corretti. Avrei fatto la stessa cosa” I pm della Procura di Palermo si sono comportati correttamente. Al loro po sto avrei agito allo stesso modo. Le in tercettazioni di Napolitano non anda vano distrutte d’ufficio e mi sorprende che solo Il Fatto e pochi altri sostengano questa tesi”. A parlare è Antonello Racanelli, con sigliere del Consiglio Superiore della Magi stratura in quota Magistratura Indipenden te: un moderato, non sospettabile di essere un amico della Procura di Palermo. È stato lui il pm che ha chiesto l’archiviazione per Silvio Berlusconi nel caso Saccà e che ha acconsentito alla distruzione delle telefo nate imbarazzanti del Cavaliere con le sue amiche in cerca di lavoro in Rai. Racanelli oggi però non si unisce al coro di chi dà ragione al presidente Napolitano: “Da so stituto procuratore – dice al Fatto – mi sono occupato più volte del problema della di struzione delle intercettazioni non rilevan ti e, se fossi stato al posto dei colleghi di Palermo, mi sarei comportato esattamente come loro. Il procuratore Messineo, In groia e Di Matteo hanno rispettato la legge. Inutile girarci attorno: la normativa attuale non prevede la possibilità di distruggere gli audio delle conversazioni del presidente con Nicola Mancino al di fuori dell’udienza davanti al Gip alla presenza degli avvocati delle parti e del pm”. Alcuni giuristi, come Gianluigi Pellegrino, sostengono che il Presidente ha ragione e che le intercettazioni andrebbero distrutte applicando la Costituzione e l’articolo 271 del codice. Quella norma non c’entra nulla: riguarda le telefonate dell’indagato con il suo legale, non è applicabile per analogia al Capo dello Stato. La Costituzione non si occupa delle intercettazioni indirette, ma so lo del divieto di disporre l’intercettazione del Capo dello Stato. L’interpretazione costi tuzionalmente orientata a cui lei fa riferimento merita rispetto, ma ho delle perples sità su questa tesi. A mio parere c’è una la cuna normativa e spetta al Parlamento col marla. Non può farlo il pm inventandosi una norma che non c’è o applicando un’altra norma che non c’entra nulla come il 271. Il Fatto sostiene da tempo questa tesi nell’isolamento generale. Perché nessun costituzionalista ha il coraggio di farsi in tervistare per dire una cosa così ovvia? Lei sa che le mie posizioni su molte questioni sono lontane anni luce dal Fatto. Devo dire pe rò con mia sorpresa che su questi aspetti mol te volte ho notato che siete stati gli unici a scri vere, magari con toni che non condivido (spe cie con riferimento alla persona del Presiden te), cose corrette dal punto di vista tecnico. Anche se alcuni giuristi come il professor Cor dero hanno scritto che la procedura seguita dai pm di Palermo è giusta, effettivamente non sono state tante le voci fuori dal coro. Anche l ‘Anm non ha brillato nel difendere i sostituti della Procura di Palermo sottoposti non a le gittime critiche, ma a pesanti accuse. Come valuta l’intervento del Capo dello Stato nella questione del coordinamen to tra le procure che indagano sulle stra gi e sulla trattativa? La famosa lettera al Procuratore generale Ciani per imporre un coordinamento tra procure è un’ano mala invasione di campo su richiesta di un amico di Napolitano o è una normale attività del presidente? Se il Presidente Napolitano è intervenuto co me Capo dello Stato nella mia qualità di com ponente del Csm posso solo esprimere ri spetto istituzionale. Ma se si è trattato, come alcuni hanno sostenuto, di un intervento nella qualità di Presidente del Csm, allora, secondo me, si pone un problema sul quale è opportuno riflettere con serenità e rispetto. Ritengo che se il presidente del Csm inter viene su una questione così delicata dovreb be interessare il Consiglio. Pur con il mas simo rispetto e con la massima stima per il suo insostituibile ruolo nella difesa dell’au tonomia e dell’indipendenza della magistra tura mi chiedo: perché il Presidente della Re pubblica, quando ha deciso di far scrivere al Pg della Cassazione, non lo ha comunicato a noi consiglieri del Csm? Il Csm si occuperà del pro blema della distruzione del le intercettazioni. Le sem bra opportuno? Dai giornali ho appreso dell’a pertura di una pratica sulle prassi e sulle linee interpretative corrette in materia, su richiesta del consigliere Nappi. Nappi è di Md e altri esponenti influenti di Md come Nello Rossi hanno criticato pubblicamente nel merito l’inchiesta di Ingroia e Di Matteo. In generale mi sembra inaccettabile che un magistrato critichi pubblicamente un altro magistrato nel merito delle sue indagini. So no rimasto deluso dal comportamento del l’Anm. La magistratura associata deve difen dere per principio un pm esposto ad attacchi molto forti, sia dall’interno della magistratu ra sia da esponenti politici, solo perché sta applicando la legge e sta svolgendo, nel suo libero convincimento, la sua funzione nel modo che ritiene giusto. A prescindere dalle idee che ciascuno può avere sul merito del l’indagine sulla trattativa, la nostra associa zione di categoria doveva difendere Ingroia e Di Matteo così come secondo me era giusto difendere il sostituto pg Iacoviello quando fu attaccato per la sua requisitoria al processo Dell’Utri. Lei ha votato contro il collocamento fuo ri ruolo di Ingroia. Se tutti i consiglieri avessero fatto come lei, Ingroia non sa rebbe potuto andare in Guatemala. È sicuro che sarebbe stato un male per la giu stizia italiana? Ed è sicuro che quello era dav vero il desiderio più profondo di un magi strato appassionato come Ingroia? Il mio ti more è che abbia deciso di fare questo passo proprio perché ha sentito l’isolamento crea to anche all’interno della stessa magistratura ed è questa la novità che mi preoccupa. La Giustizia, la Politica e la Ragion di Stato Caro direttore, Antonio Ingroia Non penso di aver insultato il signor Ingroia dubitando non sapesse che cosa sia la Ragion di Stato. Piuttosto è lui che insulta non solo me, ma il senso comune, identificando la verità processuale con la verità storica. Se ricordo bene, l’inchiesta sulla (supposta) trattativa Stato-mafia avrebbe la funzione â— nelle sue parole â— di «ripristinare la verità su un periodo della vita del Paese ». Come se fosse compito della magistratura (ri)scrivere la storia… Io ho definito «supposta » la trattativa fra Stato e mafia in omaggio a quel tanto di relativismo e di scetticismo che David Hume ha posto a fondamento della cultura liberale. Diciamo, allora, che il signor Ingroia pare voler definire gli ambiti e fissare i confini della Ragion di Stato, mutuandoli dal «segreto di Stato ». Per esempio quando si rivolge al mondo della politica affermando: «Diteci quali sono i temi e i territori coperti dalla Ragion di Stato, sui quali non volete che la magistratura intervenga; e noi li rispetteremo ». Secondo il signor Ingroia ci sarebbero, dunque, zone tutte bianche e zone tutte nere. È nelle zone nere che si sarebbe esercitata, nel passato, a suo avviso, la Ragion di Stato. Se, invece, la Politica dichiarasse ora, «preventivamente », che le zone nere sono coperte dal segreto di Stato, le cose andrebbero meglio: perché anche quelle nere diventerebbero bianche. Attenzione, signor Ingroia, lei confonde, e inverte, l’ordine dei fattori. È la Ragion di Stato, una (permanente) categoria della Politica, che genera il segreto di Stato, una categoria giuridica (contingente), non viceversa. A me pare, perciò, che la sua proposta abbia (solo) un duplice obiettivo. E di quelli che la Politica «non può accettare », senza dichiararsi esplicitamente legibus soluta. Mira ad assolvere, contemporaneamente, la magistratura dalle derive giustizialiste dell’obbligatorietà dell’azione penale, nelle pieghe delle quali â— con l’inchiesta sulla (supposta) trattativa Stato-mafia â— è finito addirittura il presidente della Repubblica, indotto ad appellarsi (giustamente) alla Corte costituzionale. Fuor di metafora, ciò cui il signor Ingroia tende â— sulla base di una interpretazione parziale e bigotta della «realtà effettuale » â— è, sotto il profilo istituzionale e funzionale, la «giuridicizzazione » della Politica, cioè la sua subordinazione all’idea che egli ha del Diritto e la fine dell’autonomia della Politica rispetto al potere giudiziario. Nello Stato pre-moderno, il potere politico era legibus solutus, non rispondeva che a se stesso. Si era nell’arbitrio assoluto: la Società civile ubbidiva a precetti religiosi cui si ispiravano anche le leggi dello Stato; l’Etica era quella della Chiesa alla quale sottostavano l’imperatore e i sovrani regnanti. Con la nascita dello Stato moderno, l’ingresso della Società civile nella Modernità e la secolarizzazione della cultura politica e dell’Etica, la «teoria dei distinti » è la fonte sulla quale si fonda il Costituzionalismo e la condizione storica nella quale si è realizzata la democrazia liberale. Ma non per questo è scomparsa la Ragion di Stato, come il signor Ingroia vorrebbe far credere. Letto 1168 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||