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Caso Napolitano. Il senatore Li Gotti se li è mangiati tutti in un boccone

22 Agosto 2012

Vittorio Feltri aveva usato il buon senso. Scriveva: se nelle due telefonate di Napolitano a Mancino non c’è niente di imbarazzante, che sia autorizzata la loro pubblicazione.

Lapalissiano. Invece il capo dello Stato che fa? Si mette ad arzigogolare e partorisce l’idea di far decidere alla Consulta se quelle due telefonate siano ricomprese nell’immunità garantitagli dall’art. 90 della Costituzione, e pertanto vadano subito distrutte senza bisogno della autorizzazione del gip.

A far da tenitori del lungo strascico presidenziale si sono lanciati immantinentemente costituzionalisti di rango, i quali, probabilmente trascinati da una specie di fascinazione del potere, si sono messi a disquisire che il capo dello Stato ha fatto bene a rimettersi alla decisione della Consulta, ma non solo, hanno aggiunto che il capo dello Stato è tutelato da una specie di immunità generale, per cui, salvo che per i reati espressamente previsti dalla Costituzione, per tutto il resto non è perseguibile, e dunque nemmeno intercettabile, sia pure indirettamente.

Da giorni si discute, e si consumano e si massacrano i vari cervelli, uno dei quali sembra già fritto, quello di Scalfari, che si è inventato addirittura (smentito subito dalle parti) che l’Avvocatura dello Stato aveva chiesto alla procura di Palermo di distruggere le due intercettazioni e questa aveva rifiutato. Nulla di tutto ciò è mai accaduto. Perché Scalfari se lo sia inventato, al momento resta dunque un mistero.

Finché arriva il senatore dell’idv, Luigi Li Gotti, e ti spiattella, non più il solo buon senso di Feltri, ma anche nientepopodimenoche una sentenza della Corte Costituzionale del 2004, emessa proprio per dirimere una questione analoga, che riguardava l’allora presidente della repubblica Francesco Cossiga.

Quella sentenza (che potete leggere qui, scorrendo qualche riga) stabilisce che l’immunità di cui gode il Presidente della repubblica è soltanto quella che riguarda l’esercizio delle sue funzioni. Ecco le parole della sentenza:

“A questo riguardo, quale che sia la definizione più o meno ampia che si accolga delle funzioni del Presidente, quale che sia il rapporto che si debba ritenere esistente fra l’irresponsabilità di cui all’art. 90 della Costituzione e la responsabilità ministeriale di cui all’art. 89, e, ancora, quale che sia la ricostruzione che si adotti in relazione ai limiti della cosiddetta facoltà di esternazione non formale del Capo dello Stato, una cosa è fuori discussione: l’art. 90 della Costituzione sancisce la irresponsabilità del Presidente – salve le ipotesi estreme dell’alto tradimento e dell’attentato alla Costituzione – solo per gli “atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioniâ€.
É dunque necessario tenere ferma la distinzione fra atti e dichiarazioni inerenti all’esercizio delle funzioni, e atti e dichiarazioni che, per non essere esplicazione di tali funzioni, restano addebitabili, ove forieri di responsabilità, alla persona fisica del titolare della carica, che conserva la sua soggettività e la sua sfera di rapporti giuridici, senza confondersi con l’organo che pro tempore impersona.
Si può riconoscere che operare la distinzione, nell’ambito delle “esternazioniâ€, fra quelle riconducibili all’esercizio delle funzioni presidenziali e quelle ad esse estranee può risultare, in fatto, più difficile di quanto non sia distinguere nel campo dei comportamenti o degli atti materiali, o anche di quanto non sia distinguere fra opinioni “funzionali†ed “extrafunzionali†espresse dai membri di un’assemblea rappresentativa, che si differenzia dagli individui che ne fanno parte, laddove nel caso del Presidente l’organo è impersonato dallo stesso individuo: ma l’eventuale maggiore difficoltà della distinzione non toglie che essa sia necessaria.†(al punto 6).

Ma consiglio il lettore di leggere la sentenza per intero perché è veramente una goduria pensare che non solo l’Avvocatura dello Stato, ma anche gli insigni costituzionalisti, cerimonieri del Quirinale, si sono fatti accecare dalla lussuria cortigianesca e non si sono resi conto che la Consulta ha già bell’e definita la questione, sin dal 2004. Qualcuno ha addirittura avanzato la tesi – pur di difendere il capo dello Stato – che il caso Cossiga è differente da quello di Napolitano, dimenticando che quanto sopra riportato è di portata generale e ben definisce che il capo dello Stato è responsabile degli atti compiuti di natura extrafunzionale.
A meno che qualche pazzoide (spero che ve ne siano nella Consulta) non voglia sostenere che tra le funzioni del capo dello Stato protette da immunità rientri anche quella di intervenire a favore di un indagato.

Ma non finisce qui. Sapete chi faceva parte del collegio giudicante?
Ecco qui i nomi, e fatevi delle grasse risate perché vi troverete anche giuristi che hanno preso la penna per dare ragione a Napolitano:

“REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
– Gustavo ZAGREBELSKY Presidente
– Valerio ONIDA Giudice
– Fernanda CONTRI
– Guido NEPPI MODONA
– Piero Alberto CAPOTOSTI
– Annibale MARINI
– Franco BILE
– Giovanni Maria FLICK
– Francesco AMIRANTE
– Ugo DE SIERVO
– Romano VACCARELLA
– Paolo MADDALENA
– Alfonso QUARANTA †(segue il testo della sentenza)

Faccio notare tre nomi per tutti: Valerio Onida, Piero Alberto Capotosti e Giovanni Maria Flick, lanciatisi nei giorni scorsi a capofitto in difesa di Napolitano.

Vedete anche chi era il presidente della Corte: quel tale Gustavo Zagrebelsky, che, oggi lo possiamo dire, con molta cortesia ha cercato di far capire al presidente Napolitano che era meglio che si astenesse dal chiamare in ballo la Consulta.

E siccome le argomentazioni di Zagrebelsky erano ineccepibili, è contro di lui che si è scagliato il pluridecorato difensore di Napolitano, Eugenio Scalfari, dicendo delle corbellerie, come ha dimostrato l’articolo di Marco Travaglio.

Ditemi ora se noi italiani dobbiamo essere soddisfatti di come i reggitori dello Stato e i suoi intellettuali   e politici più influenti servono il nostro Paese.
Ogni giorno che passa, da buon Lucchese, sento sempre di più il desiderio di ritornare alla Repubblica Lucchese, che rimase tale fino al 1847. Sono pochi anni dunque che i Lucchesi sono entrati nella repubblica italiana. Ci entrammo con un referendum. Credo sia giunto il momento di farne un altro: per uscirne e tornare a governarci da soli, e bene, come abbiamo saputo fare per decine di secoli.


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Bart