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Caso Napolitano e altro

18 Agosto 2012

Intercettazioni. Il governo interverrà
di (l. mi.)
(da “la Repubblica”, 18 agosto 2012)

ROMA â— Un’intervista di Monti, rilasciata l’8 agosto e diffusa ieri, e si riapre il tormentone delle inter ­cettazioni e del caso Napolitano. Il premier parla con il direttore del settimanale Tempi Luigi Amicone e al quesito sugli ascolti risponde: «E’ evidente a tutti che si sono ve ­rificati e si verificano abusi ». Di se ­guito quello che suona come l’an ­nuncio di un prossimo intervento: «È compito del governo prendere iniziative ». Quanto a Napolitano e alle conversazioni con l’ex mini ­stro dell’Interno Mancino il caso è «grave ».

Partono subito le reazioni. Il pri ­mo è un esponente del Pdl, il par ­tito da cui sono venuti i maggiori ostacoli per una riforma condivi ­sa. Dice Enrico Costa, capogrup ­po in commissione Giustizia a Montecitorio: «Se c’è la volontà politica basta un mese per avere una buona legge che eviti gli abu ­si nella captazione e nella divulga ­zione che quotidianamente si ve ­rificano ». Ma finora è mancata proprio la condivisione politica.

Basta sentire cosa ne dice Ro ­berto Rao, il consigliere più ascol ­tato di Casini: «Sul tappeto ci sono quattro questioni, anticorruzio ­ne, intercettazioni, responsabilità civile ed emergenza carceri. Ma affidate solo alla dialettica dei partiti rischiano di veder prevalere le ragioni delle divisioni pregiudi ­ziali su quelle dell’interesse del cittadino ». Rao propone un per ­corso in Parlamento «dove la mag ­gioranza dovrà indicare soluzioni condivise ». Altrimenti il rischio è di perdere «l’occasione storica per una riforma bipartisan ».

Nemico di qualsiasi intervento repressivo è Antonio Di Pietro. Che attacca Monti per le parole su Napolitano: «Gravi non sono le sue intercettazioni, che non sono mai state disposte, bensì il fatto che il cittadino Mancino, ex presi ­dente del Senato, abbia chiamato il Capo dello Stato per chiedere un intervento sui giudici siciliani che stavano valutando la sua posizio ­ne processuale ». Le parole di Monti sono «inaccettabili perché manipolano la realtà ». Qualsiasi intervento servirebbe solo a «fer ­mare le indagini della magistratu ­ra e delegittimare il suo operato ». Aggiunge il dipietrista Luigi Li Gotti: «C’è da fare una sola cosa: rendere noto il contenuto di quel ­le conversazioni perché dobbia ­mo sapere se chi ci rappresenta ne è degno ».

In allarme per le parole di Mon ­ti la Fnsi. Il presidente Roberto Natale ricorda che «proprio in questi giorni le intercettazioni sono uno strumento prezioso per sapere che cosa è successo all’Ilva, per cui parlarne solo in termi ­ni di abuso come fa Monti è stru ­mentale e ipotizzare modifiche suona come una punizione per magistrati e giornalisti che fanno il loro dovere ».

(l. mi.)


La resa di Fini
di Maurizio Belpietro
(da “Libero”, 18 agosto 2012)

È noto che i vizi crescono con l’età, ra ­dicandosi nel tempo fino a divenire inestirpabili. Nel caso di Gianfranco Fini trent’anni trascorsi fra potere e poltrone hanno lasciato un segno pro ­fondo, facendo aumentare l’ego e l’ar ­roganza del politico di mezza tacca, il quale, invece di ringraziare ogni gior ­no il Signore per la fortuna che gli è capitata e che gli ha consentito di ri ­coprire incarichi di alto rango, dà sfo ­go alla sua sconfinata impudenza. La conseguenza è che invece di chiedere scusa agli italiani per lo spreco di de ­naro pubblico che le sue vacanze han ­no provocato alle casse dello Stato, il presidente della Camera lancia mi ­nacce e insulta chi ha svelato lo spre ­co. Lo ha fatto anche ieri, in una let ­tera a Repubblica, in cui, bontà sua, invita il ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, ad abolire i privilegi di cui egli gode, modificando le dispo ­sizioni che regolano l’organizzazione della propria scorta.

Prima di arrivare alla concessione, riconoscendo implicitamente che fi ­no a oggi per lui è stato sperperato de ­naro degli italiani, Fini però ci accusa. La nostra colpa? Essere pagati per il lavoro che facciamo. Non ci sfugge ovviamente il significato del riferi ­mento: secondo il presidente della Camera colpiremmo lui in quanto av ­versario politico di Silvio Berlusconi. Un ragionamento che evidenzia come l’ego viziato dell’ex gerarchetto possa giocare brutti scherzi. Da quando in qua uno che ha il 2 per cento dei voti può essere considerato un avversario? Forse Fini lo è stato in passato, quan ­do aveva il ditino alzato e, forte del potere di ricatto datogli dal suo inca ­rico istituzionale, poteva tenere in scacco il governo. Ma oggi Berlusconi non è a Palazzo Chigi e l’inquilino di Montecitorio non conta più nul ­la. La sua stagione è agli sgoccioli e quando dovrà lasciare lo scranno, causa elezioni,faticherà a trovarne un altro che soddisfi l’alta concezione che ha di se stesso.

Dopo averci dato degli sgherri al soldo del Cavaliere ed essersi impancato a di ­squisire sul giornalismo d’inchiesta – lui che del giornalismo conoscerà solo l’asse ­gno previdenziale che incasserà nonostan ­te da 30 anni non metta piede in redazione – Fini ci accusa di volgarità. Aver raccon ­tato che la sua scorta aveva prenotato 9 ca ­mere per oltre due mesi in uno dei più be ­gli alberghi dell’Argentario, stanze pagate 80 mila euro anche se non occupate, sarebbe volgare. Non è volgare chi spreca i soldi della collettività, chi non tratta il denaro dei contri ­buenti come se fosse il proprio: la volgarità è di chi denuncia lo sperpero. Siamo volgari noi che abbiamo alzato il velo sull’uso e l’abuso di un servizio, non chi di quel servizio fa un impiego esa ­gerato, senza badare a spese. Ottantamila euro sono per la maggioranza degli italiani lo stipendio di molti anni, una cifra con cui comprare, se non l’appartamento in cui vivere con la fa ­miglia, una buona parte di esso. E per qualche weekend al mare del presidente della Camera si sono spesi 80 mila euro. La volga ­rità è tutta qui. Nell’uso senza freni dei soldi pubblici. Nella mancanza di sensibi ­lità e di rispetto per chi lavora e paga le tas ­se. Non c’è altro da aggiungere.

Non sono in discussione le misure di si ­curezza cui è sottoposto Fini o altri. È in di ­scussione la cafonaggine. Si poteva orga ­nizzare il servizio di scorta con altre moda ­lità? Sì, si poteva. Irene Pivetti ha raccon ­tato a Libero che quand’era presidente del ­la Camera si faceva seguire da due agenti e i soggiorni del personale avvenivano in ca ­serma. Roberto Castelli ha detto di aver fat ­to altrettanto, dormendo in un ex carcere. Anna Maria Cancellieri, ministro dell’In ­terno, ha confessato a Repubblica che lei stessa fa un uso discreto del personale al suo servizio, riducendo al minimo gli spostamenti e cercando sistemazioni che non gravino sul bilancio statale. Non poteva farlo anche Fini? Lui, che nella lettera si di ­mostra sensibile alle condizioni economi ­che degli agenti di polizia, non poteva par ­lare con loro, informarsi circa i turni, la si ­stemazione alberghiera, i relativi costi, sen ­za far spendere 80 mila euro? La risposta non c’è, perché, pur riconoscendo che il si ­stema deve cambiare, pur invocando l’abolizione di un privilegio, nella sua let ­tera il presidente della Camera non dà se ­gno di volersi rimproverare alcunché.

Come un principe intoccabile egli non deve essere chiamato a rispondere: ha fa ­coltà di fare solo editti. Anzi, chiama a rac ­colta gli scortati, come se fossero una ca ­tegoria che deve essere difesa non dalle minacce, dalle aggressioni e dai probabili attentati, bensì dalle critiche dei giornalisti e dal controllo dell’opinione pubblica. Es ­sere scortati – lo sappiamo per esperienza diretta – non è un privilegio, perché si vive in una condizione di semilibertà e si deve rendere conto di ogni spostamento a chi si occupa della sicurezza. Ma non tutti gli scortati sono uguali. Fra i tanti, che vivono come un peso l’essere circondati da uomi ­ni armati, c’è anche chi fa il bullo. E il peg ­gio è che, oltre allo stile, mancano anche i soldi. Ottantamila per l’esattezza.

Ps. Mi sia consentito un riferimento per ­sonale. Nella lettera a Repubblica il presi ­dente della Camera tra le altre cose accen ­na alla mia scorta (due persone), nel ten ­tativo di mettermi sul suo stesso piano. Non avendo alcunché da nascondere, so ­prattutto 80 mila euro da giustificare, mi preme precisare un paio di cose. Il servizio di tutela fu disposto 9 anni fa dal prefetto di Milano, Bruno Ferrante, poi candidato del centrosinistra contro Letizia Moratti, in ac ­cordo con il questore Vincenzo Boncora ­glio, poi responsabile della sicurezza nel Lazio all’epoca di Piero Marrazzo. La mi ­sura fu adottata in seguito a una minaccia precisa e a una rivendicazione precisa da parte di una sigla che si era già segnalata per un attentato alla questura di Genova. Il provvedimento d’urgenza deciso da pre ­fetto e questore fu confermato poi dal co ­mitato nazionale che presiede alle misure di sicurezza e, nonostante nel corso degli anni si siano succeduti governi di centrodestra, governi di centrosinistra e anche governi tecnici, la scorta mi è sempre stata confermata. Non posso dire che la cosa mi abbia fatto piacere. Non avendo bisogno né di autisti né di badanti, avrei preferito continuare a girare da solo, ma questori e prefetti mi hanno dissuaso dal farlo. Pur essendomi assoggettato al dispositivo di tutela, mi sono però sempre attenuto a una regola: costare il meno possibile alla collettività.

L’auto su cui viaggio non è dello Stato ma privata e la manutenzione non è a carico dei conti pubblici. Quando mi sposto, non mi segue il personale che abitualmente si occupa di me a Milano, ma il servizio è curato da agenti del luogo dove mi reco, a La Spezia come a Napoli, a Bari come a Palermo. Le poche volte che, al contrario, la scorta di Milano mi accompagna nella trasferta, cerco di provvedere alle spese, pagando i pranzi e non di rado il soggiorno. In passato, volen ­do qualche volta uscire in mare con un pic ­colo gozzo e avendo la sicurezza predispo ­sto un servizio di tutela al seguito, con tan ­to di motovedetta, ho faticato non poco a convincere i vertici della polizia a levarmi l’imbarazzante codazzo: alla fine, vincendo le resistenze, ce l’ho fatta. Quella pilotina era per me motivo di vergogna. Un senti ­mento che, a quanto pare, altri non prova ­no.


Tutti i privilegi di Fini
di Alessandro Sallusti
(da “il Giornale”, 18 agosto 2012)

Gianfranco Fini ha chiesto ieri al ministro dell’Interno Cancellieri di rivedere pure la costosa elefantiasi della sua scorta, per ­ché lui – scrive in una lettera a Repubblica – non vuole avere privilegi. Nobile gesto, apparente ­mente, ma tardivo e ovviamente tattico, come sem ­pre accade quando il presidente della Camera viene colto con le mani nella marmellata dai giornali nei suoi comportamenti a volte al limite dell’abuso. Fini dice di non essersi accorto degli eccessi di spesa per proteggerlo. Non ci sorprende, la distrazione è una sua caratteristica. Per quarant’anni non si era accor ­to che il fascismo era «il male assoluto », come ebbe a dire anni dopo essere stato eletto in Parlamento dai voti fascisti dei missini, scaricati per rifarsi immagine e credibilità.

Per altri trent’anni non ha visto che il suo stipen ­dio, la sua pensione e i suoi benefit di deputato erano un insulto agli italiani che lavorano. Per quasi vent’ anni ha fatto carriera al traino di Berlusconi, salvo poi tradirlo in quanto persona pericolosa per la democra ­zia. Era distratto anche quando ha venduto a prezzi di favore un bene del partito, la famosa casa di Monte ­carlo, al cognato. Ovviamente non si era accorto che stava facendo pesca subacquea, con tanto di scorta, in un’oasi marina protetta, e neppure era in sé quan ­do raccomandò la società di produzione della suoce ­ra al direttore generale della Rai per un appalto di ol ­tre un milione.

L’elenco sarebbe lungo, per decenza ci fermiamo qui. Può essere credibile un uomo così quando dice di non voler essere un privilegiato? Si può credere a uno che aveva giurato di dimettersi se si fosse provato che la casa di Montecarlo era del cognato ed è ancora al suo posto nonostante l’evidenza? Non scherzia ­mo, Fini è più che un privilegiato, è uno che ha vinto la lotteria dellavita s enza neppure comprare il bigliet ­to. Non ha mai lavorato, vive a nostre spese, ma anco ­ra non gli basta e ci prende pure in giro. Ci consola che la fortuna non è eterna. Dopo aver sfasciato il cen ­trodestra per pura ambizione, il suo partito, il Fli, è da ­to nei sondaggi all’uno virgola. Vuoi vedere che al prossimo giro ce ne liberiamo per sempre? Ci candi ­diamo volentieri a scortarlo gratis fuori dal palazzo.

 


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A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart