CINEMA: I MAESTRI: Guerra e pace29 Ottobre 2009 di Filippo Sacchi Quando uscì Via col vento, il suo slogan di lancio in America fu questo: “Il Guerra e pace americano”. La pubblicitaria recipro cità, quando Guerra e pace fu presentato a New York, lo annunciava così: “Il Via col vento russo”. Senza volerlo c’è qualcosa di vero in questo sgambetto: come taglio, procedimento di racconto e tecnica spettacolare è un film completamente americano. Di solito questo solleva subito una diffidenza pregiudiziale sulla sua lette raria fedeltà; benché poi sia vero che americane furono alcune del le più memorabili traduzioni cinematografiche di libri celebri, si pensi solo al Dottor Jekyll e a Becky Sharp. Naturalmente bisogna partire dal principio che il libro è una cosa e il film un’altra; e sarebbe facile e anche puerile andare a chiedere conti particolareggiati a King Vidor col romanzo di Tolstoi alla mano. Ma nei limiti, essenzialmente illustrativi, per i quali valgono queste trasposizioni, è giusto riconoscere che il re gista ha fatto tutto il possibile per rispettare il romanziere. In particolare egli ha amorosamente curato tre delle sue creature preferite, il principe André, Natascia e Pierre, i quali, anche se per forza non combaciano sempre con gli originali, risultano lo stesso cinematograficamente personaggi bellissimi e vivi. Meno degli al tri sento l’André di Mel Ferrer, patetico e nobile anche troppo ma senza quella evasiva vibrazione, quella affascinante ipocondria, quel nervoso fuoco controllato dalla fiera educazione della razza. Meglio la Natascia di Audrey Hepburn, tenuta troppo smanciata e deco rativa secondo lo stile di Hollywood anche se porta deliziosamente i suoi innumerevoli costumi, però nella sua capricciosa gracilità da uistiti capace di sensibilità drammatica e di squisita grazia. Quello che salta fuori e domina completamente è il Pierre di Henry Fonda, e domina a ragione perché, tra i mille fili condut tori che formano l’immensa prospettiva del romanzo, Pierre è forse intimamente il principale, quello che convoglia la parte mag giore delle intenzioni o come diremmo del messaggio dell’autore. Fonda è stupendo, e se con le sue lunghe gambe e smilzi fianchi da film del West non ha la corpulenta storditaggine di Pierre, ne ha tutta la virile innocenza e l’illuminante candore. Arriverei a dire questo, che King Vidor è stato talmente at tratto dai personaggi, si è talmente concentrato a interpretarli e a seguirli, che la parte spettacolare non ha più avuto per lui l’inte resse assorbente che aveva forse nei disegni dei produttori, sicché, per quanto si siano profusi come è di norma in questi filmoni, comparse, cavalli, costumi, barbe finte e cartapesta senza risparmio, la coreografia risulta in complesso meno buona ed eccitante del dramma. La carica della cavalleria francese a Borodino è, sì, un gran pezzo ippico-spettacolare, però confesso che dopo la Custoza di Luchino Visconti sono diventato molto esigente, voglio sentire la battaglia dentro il paese e dentro la storia. La ritirata della Grande Armata è condotta spesso con un abuso episodico di effetti teatrali, senza dare il senso complessivo dell’immane tragedia. Per esempio, non è mostrandoci lo stesso squadroncino di tanto in tanto in ve detta (lo squadrone di Dolokov) che si dà il senso di quell’incom bente fantasma dell’esercito russo che notte e giorno non veduto incalza come un’ombra l’invasore. Anche i quadri che avrebbero patetica grandiosità sono distur bati da questa maledetta rottura di timpani che sembra ormai di ventata la mania dei compositori di cinema, anche quelli che come Nino Rota avrebbero precedenti rispettabili. Ricorderò’ il coro che vorrebbe rinforzare la bellissima veduta della lunga colonna che avanza a fatica rigando il costone sepolto sotto la neve: dove pare impossibile che non abbiano capito come quelle voci estranee e in discrete distruggessero in quel momento il più potente elemento di incubo, il terribile silenzio della natura (sì, c’è un modo di dare anche con la musica il silenzio). Ma soprattutto manca per me l’effetto del dramma dei conquistatori nel labirinto di Mosca de serta e incendiata: le scenografie calligrafiche e senza la minima fantasia prospettiva non riescono a creare l’impressione di quella vastità e di quel vuoto; e, al contrario del magnifico Kutusov di Oscar Homolka, il Napoleone di Herbert Lom non è né assomigliante né plausibile. Per giunta i doppiatori italiani hanno com messo il peggiore sfregio a Tolstoi, prestando al personaggio di Napoleone inflessioni di voce manifestamente mussoliniane. Se non c’era intenzione, bisognava accorgersene e risparmiarci questo stupido anacronismo. Detto quel che si doveva, Guerra e pace resta ugualmente il più intelligente e artisticamente importante di tutti i numerosi super colossi in cinemascope che da qualche anno ci affliggono. Ci si può modestamente rallegrare che esso porti anche etichetta italiana. Letto 2757 volte. | ![]() | ||||||||||
Commento by Carlo Capone — 29 Ottobre 2009 @ 10:28
Chiedo a Bart che è intenditore: la battaglia di Custoza non è rappresentata in ‘Senso’, sempre di Luchino Visconti? non ricordavo che ne avesse fatto un film specifico.
Ottima l’idea di riproporre una recensione antica.
Commento by Bartolomeo Di Monaco — 29 Ottobre 2009 @ 11:14
Amo il cinema, ma non sono un intenditore, Carlo. Mi fai troppo erudito:-)
Credo che Filippo Sacchi abbia scritto “Custoza” per riferirsi alla battaglia omonima presente nel film di Visconti.
Può essere anche che Visconti abbia in un primo tempo pensato ad intitolare Custoza il suo film, ma lo credo molto improbabile, visto che Senso è il titolo anche del racconto di Camillo Boito, da cui il film è stato tratto.
Pingback by veduta castelmezzano, basilicata « valuetips — 30 Ottobre 2009 @ 01:53
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