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La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

CINEMA: I film visti da Franco Pecori

15 Maggio 2010

[Franco Pecori dal 1969 ha esercitato la critica cinematografica – per Filmcritica, Bianco & Nero, La Rivista del Cinematografo e per il Paese Sera.  È autore, tra l’altro, di due monografie, Federico Fellini e Vittorio De Sica (La Nuova Italia, 1974 e 1980). Nel 1975, ha presentato alla Mostra di Venezia la Personale di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet; e alla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro, con Maurizio Grande, una ricerca su Neorealismo: istituzioni e procedimenti (cfr. Lino Miccichè, Il Neorealismo cinematografico italiano, Marsilio). Dal 2002, ha tenuto per 4 anni, sul Televideo Rai, la rubrica settimanale Film visti da Franco Pecori. Noto anche come poeta, Pecori può vantare la stima di Franco Fortini]

Robin Hood

Robin Hood
Ridley Scott, 2010
Fotografia John Mathieson
Russell Crowe, Cate Blanchett, William Hurt, Mark Strong, Mark Addy, Oscar Isaac, Danny Huston, Eileen Atkins, Kevin Durand, Scott Grimes, Alan Doyle, Max von Sydow, Matthew Macfadyen, Léa Seydoux, Bronson Webb, Robert Pugh, Jessica Raine.
Cannes 2010: film d’apertura.

Fuga d’autore.  Il regista de I duellanti, di Alien, di Blade Runner  sembra toccare il fondo della fuga da se stesso, cominciata con Il gladiatore (proprio il film dell’Oscar) e proseguita con Le crociate.    Fissatosi con l’idea di restituire alla Storia una giusta prospettiva dal basso, Scott dimentica definitivamente il tratto romantico del primo  racconto e si guarda bene dal riprendere la linea dei terrificanti destini dell’umanità;    prosegue invece ad assecondare il “tutto tondo”  della leggenda affidandosi alla figura monumentale di Crowe che gli garantisce un’interpretazione senza problemi.  Difficile togliere il cappuccio a Robin. La leggenda medievale  non poco  ingarbugliata avrebbe avuto bisogno di ben altra arguzia, per non dire volontà d’indagine. D’altra parte, non è per niente detto che una leggenda debba  richiedere, in quanto tale, di morire agli occhi e alla curiosità delle generazioni. Ma comunque, per tramadarne il pieno  spirito  sarebbe richiesta, specie al cinema, l’arte di emozionare oltre che di rappresentare. I protagonisti del film, invece, danno l’impressione di “fare come se fosse”, passando da una scena all’altra con la diligenza di grandi attori chiamati per una volta a fare a meno del cuore. Immersi in un calderone di scontri faticosi e confusi, spettacolari all’americana, Riccardo Cuor  di Leone (Danny  Huston) e Sir Godfrey (Mark Strong), il Maresciallo Guglielmo (William Hurt) e il  Principe Giovanni (Oscar Isaac) sono mossi da fili non invisibili e in mezzo ad essi l’arciere di Sherwood persegue l’inverosimile compito di  fare gli occhi dolci a Lady Marion (Cate Blanchett) mentre ancora non  ha deciso di divenire il mitico eroe che  ”ruba ai  ricchi per dare ai poveri”. Finirà in una gran cagnara sulla spiaggia di Dover, dove all’improvviso il film lascia sfacciatamente  cadere il velo medievale e  spara senza mezzi termini sullo spettatore uno “sbarco di marines”, più popoloso che grandioso,  come per dare l’impressione che l’argomento,  pur leggenda,  non fosse poi di rilevanza minima.

Piacere, sono un po’ incinta

The Back-Up Plan
Alan  Poul, 2010
Fotografia Xavier  Pérez Grobet
Jennifer Lopez, Alex O’Loughlin, Danneel Harris, Eric Christian Olsen, Anthony Anderson, Noureen DeWulf, Melissa McCarthy, Tom Bosley, Linda Lavin, Michaela Watkins, Adam Rose, Carlease Burke, Maribeth Monroe, Peggy Miley, Manos Gavras.

Inseminazione artificiale e innamoramento. Zoe (Lopez), orfanella un po’ cresciuta, non riesce a trovare l’uomo giusto. Ne ha frequentati centinaia, confessa, ma nessuno finora gli è sembrato degno di restare al suo fianco. Ormai, ad una certa età, sentendosi sempre più vogliosa di avere un figlio, decide per la banca del seme. E vedi un po’, proprio nel gran giorno dell’inseminazione, uscendo dall’ospedale e cercando un taxi, Zoe incontra l’uomo della sua vita, Stan (O’Loughlin, La musica nel cuore).  Là per là ci litiga, per via che lui, bisognoso a sua volta del taxi, s’è infilato al volo nella stessa vettura di lei. Poi, man mano, le cose prenderanno la giusta piega. Ma i momenti di contraddizione, contrassegnati da altrettante gag,  punteggeranno la commedia. A tratti anche divertente, la sceneggiatura dà spazio a figure rappresentate secondo tipicità e con sufficiente umorismo, per esempio la nonna di Zoe, fidanzata da 22 anni con  il vecchio spasimante col quale non s’è mai decisa di convolare a nozze, o le sedute con il “Gruppo di madri nubili e fiere”, associazione che l’inseminata comincia a frequentare quando finalmente si accerta di essere incinta.  Il fatto è che della stessa buona  novella viene a sapere anche Stan e mentre Zoe si preoccupa del proprio fondoschiena un po’ deformato dalla gravidanza, l’uomo –  produttore di formaggi, ha lasciato la scuola per dedicarsi all’impresa –  si preoccupa dell’impegno anche economico  che lo attende  e che lo costringerà a  tagliare il costo della scuola serale. Ma in sostanza, gag e piccole complicazioni a parte, il film vuol dire che sì, una maternità vale la pena di essere vissuta,  anche col seme di uno sconosciuto; e si può affrontare anche il matrimonio con un bravo giovane  il quale  sa che per essere  il padre dei propri figli dovrà aspettare un secondo turno. Chiave ingenua? Diciamo esibita con ferrea ingenuità e semplificazione del tratto narrativo. I protagonisti assecondano in pieno le intenzioni del regista.

Draquila – L’Italia che trema

Draquila – L’Italia che trema
Sabina Guzzanti, 2010
Fotografia Mario  Amura, Clarissa  Cappellani
Documentario
Cannes 2010, fc.

Il documentario della Guzzanti, adatto per forma al mezzo televisivo e passato invece nella distribuzione cinematografica e addirittura al festival di Cannes, dimostra già per questo “smistamento” la consistenza del pesante conflitto di cui  soffre in Italia il sistema dei mass media.  Un secondo, non secondario,  aspetto del film-denuncia  riguarda la logica imprenditoriale che va  dalle origini del Berlusconi progettista e costruttore di New Town (Milano 2) agli ultimi esiti del governo-impresa dell’attuale premier, esiti verificati sul campo attraverso il film-inchiesta che mostra/dimostra, in una sintesi anche estetica coerente, l’imperversare di un disegno ormai trasparente, di una finalità interna che travalica l’interesse soggettivo per riguardare il destino di una cultura, di una politica. Il campo scelto dalla regista è L’Aquila e il sisma del 6 aprile 2009,  da cui la città medievale  venne distrutta (308 furono le vittime). Le conseguenze di quel disastro si misurano oggi, anche al di là dei danni materiali, sulla portata morale delle responsabilità di quanti, premier in testa, hanno tracciato la via organizzativa del post-terremoto. Secondo il filo logico della Guzzanti, proprio gli intenti e i mezzi  imprenditoriali originari del Berlusconi “milanese” si possono confrontare con l’attuazione-lampo del piano casa per L’Aquila. Man mano che il documentario procede, emerge un’impressionante coerenza tra sistema delle ordinanze, con cui viene regolata l’attività della nuova  Protezione Civile, e obbiettiva equiparazione di pubblico e privato nella concreta definizione dell’emergenza. In parallelo, l’economia italiana viene inquinata dalla presenza della criminalità organizzata. Il sistema è tenuto insieme, come sembra dalle ultime risultanze scandalose, da una corruzione sempre più estesa, che  tende ad occupare i nodi operativi della società. E allora è un altro  il terremoto che fa paura, è un terremoto che può  far tremare non solo una città ma il Paese intero. È la minaccia di un vampiro  assetato di nutrimenti ulteriori.  Il carattere saliente di Draquila – L’Italia che trema – qui è il merito specifico della regista – non è tanto nel bagaglio informativo delle testimonianze che pur  compongono un quadro  equilibrato della situazione aquilana/italiana col supporto di dati e di materiali obbiettivi; il merito del film è soprattutto di trasmettere, per via artistica, attraverso le immagini e i toni delle persone che intervengono –  sia gli entusiasti degli aiuti ricevuti sia i critici e  gli scontenti -,  il senso di un incubo incombente, di un malessere diffuso difficile da curare.


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Bart