CINEMA: I film visti da Franco Pecori11 Febbraio 2012 [Franco Pecori dal 1969 ha esercitato la critica cinematografica – per Filmcritica, Bianco & Nero, La Rivista del Cinematografo e per il Paese Sera. È autore, tra l’altro, di due monografie, Federico Fellini e Vittorio De Sica (La Nuova Italia, 1974 e 1980). Nel 1975, ha presentato alla Mostra di Venezia la Personale di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet; e alla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro, con Maurizio Grande, una ricerca su Neorealismo: istituzioni e procedimenti (cfr. Lino Miccichè, Il Neorealismo cinematografico italiano, Marsilio). Dal 2002, ha tenuto per 4 anni, sul Televideo Rai, la rubrica settimanale Film visti da Franco Pecori. Noto anche come poeta, Pecori può vantare la stima di Franco Fortini] Tre uomini e una pecoraA Few Best Men Il confronto-scontro Inghilterra-Nuovomondo (America), rappresentato da Stephan Elliott in chiave umoristica (con sottofondo drammatico) nel precedente Un matrimonio all’inglese (2008), continua qui con la variante australiana che permette, secondo stereotipi più dichiarati e facili, accentuazioni esplicitamente grossolane sul tema – stracotto ma, sembra, inestinguibile – dell’addio al celibato. Due giovani si incontrano casualmente in un’isolotto del Pacifico e decidono di sposarsi. Lui, David (Xavier Samuel, The Twilight Saga: Eclipse, Anonimous), è un orfano inglese. Sostitutivi della famiglia sono tre inseparabili amici, Tom (Kris Marshall), Graham (Kevin Bishop) e Luke (Tim Draxl), i quali formano un team alquanto pazzarellone. Lei, Mia (Laura Brent, Le cronache di Narnia: Il viaggio del veliero), è australiana, figlia di Jim Ramme (Biggins), possidente e senatore fattosi da sé. Ha scelto a simbolo della sua carriera la pecora Ramsey, che alloggia nell’ovile domestico. Il matrimonio, la “collisione di due mondi†â€“ come lo definisce Mia – si farà proprio nella tenuta di Jim, in Australia, dove abitano anche la mamma Barbara (una supereccitata Olivia Newton-John) e la sorella fintalesbica di Mia, Dafne (Rebel Wilson). I tre amici mattacchioni non ci pensano nemmeno a separarsi da David, lo seguono oltreoceano per fargli compagnia nell’ultima notte prima delle nozze. Se ne vedranno di tutti i colori, ma non sempre si avranno delle vere sorprese. Le situazioni “pazzesche†in successione sono per lo più prevedibili e si nutrono di una volgarità allusiva non sempre necessaria alla comicità del “confronto†tra culture. La giostra di “incidenti†provocati dall’insensatezza comportamentale degli amici di David comprometterà la festa e anche il matrimonio stesso, ma non fino in fondo. Sappiamo benissimo che ogni equivoco potrà essere superato e in più di un’occasione notiamo che i personaggi sono ultraccomodanti, disposti a fare finta di niente. Se Ramsey si ritrova imbottita di cocaina cosa volete che sia. I tre amici avevano cercato di procurare qualche filo d’erba per la fumata dell’ultima notte di libertà di David e invece ne era nata una vera “nevicataâ€, non sgradita del resto alla Barbara non proprio santa. E quel bricconcello di uno spacciatore che s’era intrufolato nella scena, anche lui, non era poi così cattivo, vedrete. Insomma, tra una risata sgangherata e l’altra, la famiglia sarà sana e salva. Sia pure anglo-australiana. Albert NobbsAlbert Nobbs Identità , società , storia. Rodrigo GarcÃÂa, figlio di Gabriel GarcÃÂa Márquez, al suo quarto lavoro da regista –  Le cose che so di lei (premiato al Sundance e al Certain Regard di Cannes 2000), 9 vite da donna 2005, Passengers 2006 -, ha portato sullo schermo il racconto ottocentesco dell’irlandese George Moore, “The Singular Life of Albert Nobbsâ€, al cui adattamento ha partecipato anche Glenn Close, destinata al ruolo di protagonista. Albert Nobbs è una donna travestita da uomo, il travestimento però non serve, come in altri indimenticabili film (uno su tutti e al contrario nell’inversione dei sessi,  A qualcuno piace caldo di Billy Wilder, 1959), principalmente al gioco comico degli equivoci bensì vive radicato nelle necessità drammatiche di un contesto e di un’epoca. Siamo nella Dublino del XIX secolo, la povertà minaccia la sopravvivenza di molti, il lavoro è una dura conquista ed è tutt’altro che sicuro. Il personale del Morrison’s Hotel, frequentato da una clientela ricca, è terrorizzato dalla continua possibilità di finire sulla strada. Per Albert il lavoro da cameriere è stata l’unica occasione e ha dovuto prenderla al volo. Nessuno mai scoprirà la sua identità , intanto mette da parte i miseri risparmi che un giorno gli permetteranno di rifarsi una vita, magari aprendo una tabaccheria e trovando una donna insieme alla quale gestire il negozio. Il miraggio corrisponde al riscatto sociale e, nel film, si realizza nella sublime misura dell’ambiguità con cui il regista traduce scene e inquadrature, non solo quelle in cui Albert/Close è presente ma in tutte le altre che della presenza/assenza di Albert si nutrono, per il processo di disvelamento che va dalla curiosità iniziale al successivo e drammatico intreccio amoroso con altri personaggi, legati anch’essi alla “primaria†necessità di vita. Bussa infatti all’Hotel un giovane disoccupato che accetta di improvvisarsi idraulico pur di avere lavoro: presto s’invaghisce di Joe (Aaron Johnson) la cameriera Helen (Mia Wasikowska) e ne resterà incinta, proprio lei che Albert in cuor suo sceglie come futura “sociaâ€! Per la verità è stata un’altra donna (Janet McTeer), pure travestita da uomo momentaneamente assunto per ridipingere i muri dell’Hotel, a far balenare ad Albert i possibili vantaggi del mascheramento. E la finzione è tanto bene riuscita da “costringere†Albert a corteggiare Helen fino a chiederle di sposarla e poi, drammaticamente, a difenderla dalla reazione di Joe alla notizia della futura maternità . Qui dobbiamo fermarci per non togliere allo spettatore l’umorismo dell’ultima inquadratura. Per Helen il rischio di venir licenziata dopo il parto è molto concreto. Si aggiungerà anche lei alla lista delle probabili identità perdute? Alla fine, non solo per merito della grande interpretazione di Glenn Close – e qui sottolineiamo il valore complessivo del film – Albert Nobbs resta nella memoria come una bellissima prova di ambiguità , caratteristica essenziale d’ogni opera d’arte.
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