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La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

CINEMA: I film visti da Franco Pecori

12 Marzo 2008


[Franco Pecori dal 1969 ha esercitato la critica cinematografica – per Filmcritica, Bianco & Nero, La Rivista del Cinematografo e per il Paese Sera. È autore, tra l’altro, di due monografie, Federico Fellini e Vittorio De Sica (La Nuova Italia, 1974 e 1980). Nel 1975, ha presentato alla Mostra di Venezia la Personale di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet; e alla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro, con Maurizio Grande, una ricerca su Neorealismo: istituzioni e procedimenti (cfr. Lino Miccichè, Il Neorealismo cinematografico italiano, Marsilio). Dal 2002, ha tenuto per 4 anni, sul Televideo Rai, la rubrica settimanale Film visti da Franco Pecori. Noto anche come poeta, Pecori può vantare la stima di Franco Fortini.]

Sonetàula

Sonetàula
Salvatore Mereu, 2007
Francesco Falchetto, Manuela Martelli, Antonio Crisponi, Serafino Spiggia, Giuseppe Cuccu, Lazar Ristovski, Giselda Volodi.

Conoscere la Sardegna. Banditi a Orgosolo è del 1960. Vittorio De Seta indicava con  quel saggio esemplare sulla  vita dei pastori e sul loro destino segnato dal crudo e crudele contesto,  una via per lo scavo poetico  della traccia neorealistica mentre  stavano per uscire  i nuovi capolavori di Visconti, Fellini, Antonioni, Pasolini.   La lunga parentesi della commedia, chiusa e riaperta più volte in un’altalena infinita, non ha poi  attenuato l’istanza di un cinema d’impegno artistico,  la cui valenza espressiva fosse prioritaria rispetto alla ricerca del target commerciale. Tra i tentativi che testimoniano la vivacità culturale non sopita del cinema italiano, questa tragedia isolana  attinta dal romanzo di Giuseppe Fiori ripropone il tema di una sofferenza interna, silenziosa e quasi muta, dalle radici profonde e antiche, sarde – non c’è altra parola per definirle. La specificità del contesto rappresentato rende il racconto e il film universali proprio nella loro intaccabile singolarità, originalità. Vero da toccarsi con mano eppure fantastico più della fantascienza, il “paesaggio” che anima i sentimenti di Sonetàula (“sonu ‘e taula”, suono di tavola, rumore di legna),  servo-pastore dodicenne nel 1937 e giovane bandito nel 1950, è fatto di dettagli fisici che hanno il potere di aprire porte alla meditazione e abissi di indicibile coinvolgimento. A sintetizzare in poche parole la vicenda si rischia di banalizzarla in uno schemino astratto ed estraneo. Non a caso Mereu, premiato per  Ballo a tre passi  a Venezia 2003 (Settimana della critica), e  vincitore del  David di Donatello 2004 (Migliore Opera Prima), ha voluto che il protagonista (Falchetto) non fosse un attore di professione. Non è questione di verismo, bensì di consapevole autenticità. Sonetàula vive con il gregge nell’entroterra nuorese, in montagna d’estate e  verso il  mare d’inverno, insieme al nonno (Spiggia) e allo zio Giobatta (lo stesso  Cuccu del film di De Seta). Deve prendersi sulle spalle il peso di un’ingiustizia subita dal padre, reagisce e, ricercato dai carabinieri, finisce latitante in una banda di fuorilegge. Non potrà godersi l’amore per Maddalena, la ragazza che ha sempre desiderato. Detto così, il sentimento di Sonetàula, può somigliare a quello di qualsiasi altro giovane. Ma c’è la lingua sarda, il suono dell’ambiente, il modo di guardarsi attorno, di stare a contatto con il bosco, di prendersi le pause essenziali nella giornata e nella notte, il tempo di decidere, di ascoltare gli impulsi che vengono da una tradizione lontana e presente.  Insomma c’è la Sardegna, anzi c’è una Sardegna (Nuoro non è Cagliari)  da conoscere. Un mondo ancora poco più che intuibile. C’è quel tanto di mistero imprigionato nel mirino della cinepresa, quel tanto che fa del film di Mereu un dono prezioso,  prezioso come la luce elettrica,  arrivata in quelle povere case nel secondo  dopoguerra.

Cenerentola e gli 007 nani

Happily n’ever after
Paul J. Bolger, 2007
Animazione. Voci orig.: Sigourney Weaver, Sarah Michelle Gellar, Andy Dick, Freddie Prinze Jr., Jon Polito, Jill Talley, Lee Arenberg, Phil Proctor.

Rivoluzione delle fiabe, di tutte. Capovolgimento radicale dei racconti, nei caratteri dei personaggi e negli esiti.  L’idea è di Mambo, assistente del Mago, il vecchio saggio che garantisce l’equilibrio tra Bene e Male nel Paese delle Fiabe. Il capo si è preso una vacanza e sembra questo il momento di movimentare la situazione. A Frieda, la Matrigna Cattiva, frustrata dal dover sempre cedere al trionfo del Bene, non sembra vero di poter spostare la bilancia dalla sua parte:  Vissero felici e contenti? Mai più.  La prima a subire la brusca sterzata del “destino” è Cenerentola. Svanirà per lei il sogno del Principe Azzurro. Ma la Matrigna non ha fatto i conti con Rick, il giovane lavapiatti innamorato della ragazza, né con le inaspettate qualità di “agenti segreti” dei Sette Nani. La battaglia sarà dura per tutti, ma, c’è da scommetterci, la bilancia riacquisterà il suo equilibrio prima della fine del film. Di buona fattura, gradevole nella realizzazione grafica,  l’animazione poggia tuttavia sull’idea paradossale di  invertire la struttura delle fiabe. Idea non facile da comprendere immediatamente, se il pubblico è composto da bambini.  E infatti, il regista sente il bisogno di spiegare l’operazione con una “voce narrante”. Il discorso strutturale può risultare impegnativo, tanto da  attenuare  l’effetto  “poetico” dell’idea-base. Alcune battute denunciano in modo evidente il “dislivello” tra spiegazione e azione. Per esempio, si vede la Bella Addormentata che, sotto l’effetto malefico della Matrigna Cattiva, continua a dormire nonostante abbia ricevuto il bacio-sveglia e il narratore commenta: «Dorme ancora, qualcuno le porti un caffè doppio ». E ancora di più, di fronte allo spettacolo del disordine, nel pieno della “rivoluzione”: «Ti prego, dimmi che è arte contemporanea! ». Non è detto, per altro,  che debba essere pacifico che una certa situazione  di disordine sia da associare genericamente a forme artistiche del nostro tempo.  Ciò assegnerebbe al ri-bilanciamento della fiaba (Cenerentola “felice e contenta con Rick”)  un senso di “restaurazione” (viva l’arte tradizionale) bisognoso di ulteriore spiegazione, adatta, anche questa,  più ai grandi che ai piccini.

Grande, grosso e Verdone

Grande, grosso e Verdone
Carlo Verdone, 2007
Carlo Verdone, Claudia Gerini, Geppi Cucciari, Eva Riccobono, Emanuele Propizio, Andrea Miglio Risi, Martina Pinto, Clizia Fornasier, Vincenzo Fiorillo, Alessandro Di Fede, Stefano Natale, Anna Maria Torniai, Roberto Farnesi, Marco Minetti.  

Per non lasciarsi toccare dalla volgarità di cui dice di sentire il disgusto, Verdone, 57 anni, al suo  ventiduesimo film da regista, carica  le  scenette di un mimetismo iperbolico che, in sostanza, finisce per farsi “perdonare” l’intenzione critica e rende, se non proprio divertenti, gradevoli i personaggi “riattivati” a grande richiesta dei fans via email. A 27 anni da Bianco, Rosso e Verdone, lo sguardo è rivolto indietro, al periodo più brillante della comicità del tipo Un sacco bello, quando  il  successo poggiava sulle qualità dell’attore, sulla sua capacità di “fotografare”  alcuni tipi contemporanei tra i più riconoscibili, restituendoli – per così dire – al mittente in forma  quasi di calcomania. Poi, Verdone ha voluto fare il passo della commedia, perdendo in immediatezza, un po’ com’era successo, fatte le debite proporzioni,  al suo maestro Sordi, anch’egli molto più bravo e ficcante  da attore che da regista.  E ora, questa “rimpatriata”  risulta forzata, appesantita da un ritmo sonnacchioso,  quasi a denunciare il passare degli anni, in una resa vagamente patetica al mercato della nostalgia. Per paradosso, i tre tipi protagonisti dei tre minifilm di cui Grande, grosso e Verdone è composto, fanno l’effetto complessivo di essere così lontani dal “vero” da sembrare perfino  ossequiosi verso il loro referente. Per dire, il Papa non attende certo, per la Giornata mondiale della gioventù, boy scout come il  Leo del primo atto. E  nessun figlio, pur educatissimo, resisterebbe a non  ribellarsi apertamente  ad  un padre come  il professor Cagnato del secondo atto, figura pre-pre-Sessantotto,  tanto archeologica  da dover essere  estremizzata oltre il limite della caricatura. Infine, al terzo atto, la coppia di “cafoni”, Moreno ed Enza (Gerini), in vacanza/cura psicoanalitica a Taormina, mentre sembrerebbe più credibile  come “specchio dei tempi”,  è stiracchiata  in una sottolineatura infinita e pesante, tale da estenuare  un possibile  senso di verismo critico. Tuttavia, finché si sta all’interno del film, la  “vittoria” della volgarità sui suoi “critici” (compreso Verdone) può restare relativa alle forme espressive.  Più concreta la “volgarità” dell’uscita “a tappeto” nelle sale,  con  oltre 800 copie.


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2 Comments

  1. Commento by Carlo Capone — 12 Marzo 2008 @ 12:15

    Gustosissima questa ‘rubrica’ di Franco Pecori. Fa assaporare anche film non visti o persi.
    Complimenti

    Carlo Capone

  2. Commento by Bartolomeo Di Monaco — 12 Marzo 2008 @ 13:11

    Franco Pecori va spedito come un turbo. Difficile stargli dietro, Carlo.

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