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La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

CINEMA: I film visti da Franco Pecori

10 Novembre 2012

[Franco Pecori  dal 1969 ha esercitato la critica cinematografica – per Filmcritica, Bianco & Nero, La Rivista del Cinematografo e per il Paese Sera.  È autore, tra l’altro, di due monografie, Federico Fellini e Vittorio De Sica (La Nuova Italia, 1974 e 1980). Nel 1975, ha presentato alla Mostra di Venezia la Personale di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet; e alla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro, con Maurizio Grande, una ricerca su Neorealismo: istituzioni e procedimenti (cfr. Lino Miccichè, Il Neorealismo cinematografico italiano, Marsilio). Dal 2002, ha tenuto per 4 anni, sul Televideo Rai, la rubrica settimanale Film visti da Franco Pecori. Noto anche come poeta, Pecori può vantare la stima di Franco Fortini]

Amelio: Orgoglioso del TFF

Due milioni di euro di budget,  circa un sesto di Venezia e Roma: «E noi non arraffiamo i film italiani, puntiamo sulla qualità, perché paga ».  Gianni Amelio  ha usato una punta di polemica nel presentare la 30ma edizione del  Torino Film Festival,  in programma dal 23 novembre al 1 ° dicembre 2012. Il direttore si è detto  «orgoglioso » del suo festival:  «festeggiamo i 30 anni, ma abbiamo lavorato come sempre ». E ha aggiunto:  «Qualcuno vorrebbe che facessimo solo opere prime di registi sconosciuti…  Chi parla di Torino come un festival che avrebbe venduto la propria anima se lo rimangi presto: Torino ha l’anima più riconoscibile dei festival italiani ». Il riferimento a Marco Müller, il nuovo direttore  del festival di Roma, è evidente. Quanto al tipo di spettatori,  «al Lido ci sono gli addetti ai lavori, quelli di Roma non li conosco, a Torino ci sono i cineasti in pectore. I nostri film sono quelli che non si trovano il giorno dopo al cinema, penso all’imbarazzo della gente che fa la coda all’Auditorium di Roma per un titolo che 3 giorni dopo è già nelle sale ».

Il programma di quest’anno prevede  223 i film in cartellone, 100 tra retrospettiva e corti, e dei restanti 173, 75 sono opere prime e seconde. Saranno 16 i film in concorso,  tutte opere prime e seconde, tra cui tre italiani:  Noi non siamo come James Bond  di Mario Balsamo,  Smettere di fumare fumando  di Gipi e  Su Re  di Giovanni Columbu.

La Retrospettiva sarà su Joseph Losey, mentre il Rapporto confidenziale verrà dedicato a “ossessioni e possessioniâ€, con l’apertura affidata a  Chained  della figlia di David Lynch Jennifer e la chiusura all’horror  Christmas with the Dead  prodotto dallo scrittore Joe Lansdale. La madrina d’apertura sarà Claudia Gerini, quella di chiusura Ambra Angiolini. Nella Giuria presieduta da Paolo Sorrentino c’è anche il compositore Franco Piersanti. Il Gran Premio Torino va Ken Loach ed Ettore Scola.

In cartellone anche la nuova sezione TFF Doc, mentre Onde punta su Miguel Gomes (Tabu) e Festa Mobile sfodera, tra gli altri,  Anna Karenina  di Joe Wright con Keira Knightley.

Vicini del terzo tipo

The Watch
Akiva Schaffer, 2012
Fotografia Barry Peterson
Ben Stiller, Vince Vaughn, Jonah Hill, Richard Ayoade, Rosemarie DeWitt, Will Forte, Andy Samberg, Jorma Taccone, Akiva Schaffer, Cathy Shim, Carissa Capobianco, Kesley Talley, Melia Talley, Patricia French, Erinn Hayes, Zack Mines, Emilee Yuye Sikes.

Commedia divertente e critica non solo – come potrebbe sembrare – sul tema del “tempo libero†degli americani in una piccola città di provincia (Glenview, Ohio), ma ancor di più sulla faciloneria del pregiudizio verso l’alieno, il diverso, l’ignoto e nel rapporto del cittadino “normale†con le istituzioni, soprattutto quella locale della sicurezza. L’attore Akiva Schaffer, sceneggiatore televisivo di successo (Saturday Night Live) e regista cinematografico al secondo film dopo l’esordio con  Hot Rod – Uno svitato in moto  (2007), centra l’attenzione sul comportamento di quattro personaggi della porta accanto. Evan (Ben Stiller) è un bravo marito con qualche difficoltà a far contenta la moglie, sia a causa della propria sterilità e sia per la vocazione all’impegno civico; Bob (Vince Vaughn) è un padre di famiglia con piccoli problemi nell’educazione della figlia adolescente e con una spiccata propensione al trastullo spensierato; Franklin (Jonah Hill) vie con la madre e cova dentro di sé un’insospettabile carattere di duro, non aspetta altro che l’occasione per riscattarsi dalla bocciatura del tentativo di entrare nella polizia; Jarmacus, divorziato e propenso a nuovi incontri di tutti i tipi, sarà la vera sorpresa anche per gli altri amici, messisi insieme nella squadra di guardiani con l’intento di proteggere i vicini da ogni possibile violenza. Tutto nasce dall’improvvisa morte del custode notturno del superstore di cui Evan è direttore. L’uomo viene massacrato da un misterioso assassino, i quattro si mettono alla caccia. Uno scassinatore? Un guardone? Ma no! il nemico è un alieno e sarà tutt’altro che facile neutralizzarne l’aggressività. In chiave spiritosamente parodistica, i guardiani si mettono all’opera, rivelando man mano, più che l’incapacità di organizzarsi e incidere con efficacia nel contrasto verso la minaccia, le proprie caratteristiche umane di uomini molto comuni: messi insieme fanno una gran simpatia e ci permettono addirittura di perdonare a noi stessi qualche imperfezione, qualche difettuccio, qualche incompletezza, come singoli e come comunità.

Ballata dell’odio e dell’amore

Balada triste de trompeta
íÂlex de la Iglesia, 2010
Fotografia Kiko de la Rica
Carlos Areces, Antonio de la Torre, Carolina Bang, Sancho Gracia, Juan Luí­s Galiardo, Enrique  Villén, Manuel Tallafé, Manuel Tejada, Gracia Olayo, Santiago Segura, Roberto íÂlamo, Fofito, Sasha Di Benedetto, Jorge Clemente, Juana Cordero, Luis Varela, Terele Pávez, Fran Perea.
Venezia 2010, Leone d’Argento per la regia e Osella per la sceneggiatura (íÂlex de la Iglesia).

Quello dei “duellanti†è un formato che non scade mai. A 35 anni dal capolavoro iniziale di Ridley Scott, lo scontro inestinguibile prende sembianze circensi, mantenendo il carattere di paradossale inelluttabilità. Caricato di assurdo e di surreale, il luogo della mente artistica si dilata in spazi e tempi dai confini duplici, da una parte il riferimento storico e riconoscibile agli anni della dittatura franchista in Spagna e dall’altra l’â€eternità†di sentimenti profondi e incancellabili, le cui radici resistono alla ricognizione razionale. Ora dimentichiamo i tenenti napoleonici Féraud (Harvey Keitel) e D’Hubert (Keith Carradine) e indossiamo i panni di due clown spagnoli, sotto la tenda del circo: Sergio (Antonio de la Torre) è il tipo allegro, violento e cinico nel privato, ama e fa contenti i bambini quando indossa il costume; Javier (Carlos Areces) è la maschera della tristezza e non è mai stato bambino. Il filo del racconto parte da Javier, il quale nel 1937 vide il padre – clown anch’egli come del resto era stato anche il nonno – subire la violenza dei militari fascisti, strappato dal palcoscenico e costretto a vivere scene di macelleria col machete. Quelle immagini lontane non si cancelleranno mai più dalla memoria né dalla fantasia del ragazzo. Rimasto nell’ambiente del circo, interpreterà il suo ruolo triste accanto a Sergio, dominante, questi, su di lui e prima ancora sulla propria amante, la sanguigna e “irresponsabile†acrobata Natalia (Carolina Bang, bravissima). Javier, inadeguato fisicamente e caratterialmente, viene attratto dalla donna e cade in conflitto con Sergio, il quale – tra sadismo e masochismo – non potrà comunque fare a meno della sua “spallaâ€, non solo sulla pista del circo. Il “duello†si protrarrà in una dimensione “infinitaâ€, assumendo le forme della fantasia più sfrenata con la regia inventiva e provocatoria dello spagnolo già autore di film come  Crimen perfecto  (2004). I due clown si misurano in una ricerca esasperata e orrida dell’autolesionismo e dell’aggressività necessaria a consumare le ragioni interne di una loro insoddisfazione, mentre la donna non riesce a liberarsi della strana dipendenza sia da Sergio che da Javier, l’uno e l’altro mostruosamente evocativi di una dimensione infernale che deborda dall’intreccio per espandersi sulla società tutta. Gelosia, brutalità, umiliazione, orgoglio, vendetta, sessualità e sentimento, sangue e ferite dell’anima si mescolano in un impasto straziante e sarcastico non facilmente dimenticabile. Quanto allo stile, il circo non deve trarre in inganno. Può venire in mente Fellini, ma la fantasia del maestro riminese non c’entra, è tutt’altra. Molto più fantastica. Qui siamo piuttosto nell’horror barocco e cupo, ma spagnolo, di un Hannibal Lecter.

Venuto al mondo

Venuto al mondo
Sergio Castellitto, 2011
Fotografia Gian Filippo Corticelli
Penélope Cruz, Emile Hirsch, Adnan Haskovic, Pietro Castellitto, Saadet Isil Aksoy, Luca De Filippo, Sergio Castellitto, Jane Birkin, Mira Furlan, Jovan Divijak.

«Quando diventi madre cambia tutto nella tua vita, cambia come vedi il mondo, anche come vedi un albero, la luna, le stelle »: parole di Penélope Cruz, l’attrice spagnola che nel film è Gemma, ragazza italiana (occhio intenso e voce non doppiata) appassionata protagonista del film tratto dal romanzo di Margaret Mazzantini. Gemma, innamorata pazza di Diego (Emile Hirsch,  Milk,  Killer Joe,Le belve), fotografo americano un po’ scapestrato, si scopre sterile e insieme al suo amore pensa di risolvere il problema con Aska (Saadet Aksoy), “cicogna†a pagamento. Dopo 19 anni Gemma ritrova Aska sposata con Gojko (Adnan Haskovic), il poeta bosniaco che a Sarajevo le aveva fatto conoscere Diego e col quale aveva mantenuto una profonda amicizia anche a distanza. Nel frattempo Gemma ha sposato Giuliano (Sergio Castellitto), l’ufficiale dei carabinieri che nel 1992 la tirò fuori dai pericoli della guerra mentre, con in braccio il neonato Pietro (Pietro Castellitto), cercava di fuggire dalla città semidistrutta. Ecco, le “parole sante†dell’attrice sull’importanza di divenire madre andrebbero banalmente bene sia alla Bovisa che a Forcella o ai Parioli, ma invece si riferiscono alle circostanze di cui sopra. E perché Sarajevo? Semplice: per il romanzo della Mazzantini, che combina l’intreccio dell’amore e della maternità nel contesto – rivisitato, storico – del drammatico e sanguinoso assedio. E lo spettatore capirà bene che l’operazione “cicogna†non sarà stata una passeggiata, non solo per l’annessa problematica psicologica e morale ma perché Sarajevo era frequentata – diciamo – da soldati Serbi non proprio galantuomini, meno che mai verso Aska, giovane e molto bella. Vedrete scene violente e drammatiche, dolorose, il risultato delle quali sarà quel Pietro, bravo ragazzino, che per una distrazione del padre regista non s’accorge di rifare tali e quali i versi tipici di Sergio. Una regìa abbondantemente generosa carica il film di chiavi di lettura alquanto diverse e di risvolti narrativi scanditi da un uso continuo di inserti della memoria che appesantiscono il racconto, non essendo qui pertinente la dimensione letteraria. La problematica (c’è perfino una Jane Birkin psicologa) della sterilità femminile, per esempio, finisce col disturbare il romanticismo dell’ “amore irresistibileâ€, mentre la scena teatrale del gesto estremo di Diego (sì, perché Diego è un personaggio che vive al passato) va a ri-generare in una tangente emozionale impropria il portato pacifico prescritto invece dal finale accomodante. Non mancano momenti di giusta concentrazione, ma fa capolino spesso una sorta di ubriacatura espressiva che rischia di far scivolare nella facile ridondanza proprio le scene destinate al maggiore impatto.


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2 Comments

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A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart