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La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

CINEMA: I film visti da Franco Pecori

27 Dicembre 2008

[Franco Pecori dal 1969 ha esercitato la critica cinematografica – per Filmcritica, Bianco & Nero, La Rivista del Cinematografo e per il Paese Sera.  È autore, tra l’altro, di due monografie, Federico Fellini e Vittorio De Sica (La Nuova Italia, 1974 e 1980). Nel 1975, ha presentato alla Mostra di Venezia la Personale di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet; e alla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro, con Maurizio Grande, una ricerca su Neorealismo: istituzioni e procedimenti (cfr. Lino Miccichè, Il Neorealismo cinematografico italiano, Marsilio). Dal 2002, ha tenuto per 4 anni, sul Televideo Rai, la rubrica settimanale Film visti da Franco Pecori. Noto anche come poeta, Pecori può vantare la stima di Franco Fortini.]
 

Il cosmo sul comò

Il cosmo sul comò
Marcello Cesena, 2008
Aldo Baglio, Giovanni Storti, Giacomo Poretti, Silvana Fallisi, Luciana Turina, Debora Villa, Cinzia Massironi, Victoria Cabello, Sergio Bustric, Isabella Ragonese, Alfredo Colina,  Sara D’amario,  Angela Finocchiaro, Raul Cremona,  Elena Giusti, Luciana De Falco, Federica Cifola.

Il trio comico  sterza decisamente sul genere a episodi e, insieme,  pigia sul tasto del sorriso amaro e sarcastico. Il risultato c’entra poco con il “Natale al cinema” e si offre alla coscienza critica dello spettatore attento alle “impertinenze” dei comportamenti. Non è richiesto molto sforzo, l’oggetto è più che  vicino, a portata di sguardo: è lì sul comò. Si comincia con le famiglie in vacanza (Milano Beach). Partire, questo è il problema. Sembra che Giovanni voglia fare il verso al Sordi di Bianco, rosso e Verdone, ma qui si va oltre la pedanteria e il limite della macchietta di costume viene superato con l’approdo ad una meccanica da “cinema muto”, utilizzata per la soluzione falso-conciliante (e invece “acida”) del felice picnic allo stadio, dove il verde non manca. Ancor meno concilianti i personaggi (Falsi prigionieri)  dei ritratti nella cupa pinacoteca la cui atmosfera piacerebbe tanto a ragazzi di nome Harry che volessero verificare le proprie capacità magiche. Entra in campo a piedi pari il paradosso e fa muovere i quadri in un balletto irriverente e liberatorio. Il via lo dà Aldo, menestrello stufo di stare dipinto,  inchiodato da secoli  col suo mandolino muto. Pernacchie a Napoleone e festa con le antiche dame. Il terzo episodio (L’autobus del peccato)  ci porta  in chiesa. Giacomo è il parroco, sottoposto alle domande “teologiche” di Giovanni, sacrestano petulante e furbastro. Nel piccolo mondo delle false ingenuità si respira un’aria poco sacrale. Qui è debole la parte di Aldo, ragazzone timido innamorato di una commessa. Ma è l’episodio migliore per  l’acuto realismo con cui è raccontata la vita della parrocchia. Infine la satira aperta e feroce  verso le mode, occidentali e orientali, della medicina sul tema della procreazione (Temperatura basale). Giacomo ha il seme debole. E pensare che c’è gente che i figli appena nati li abbandona per la strada. Morale della favola? Gli episodi sembrano molto diversi tra loro, ma in fondo basterà affidarsi al senso comune, senza nemmeno spingersi, come fanno Aldo e Giacomo, in cima al mondo per  una meditazione con il maestro Tsu’Nam, che è Giovanni, non altri. Apprezzabile, come sempre, l’impegno del trio nel cercare una coerenza di contenuti evitando facili fughe nel divertimento superficiale. Risalta però, ancora una volta, la resa poco cinematografica della loro verve, più adatta alla “verità” del cabaret, dove i “tempi” dell’azione possono  essere gestiti secondo una scansione che  la regia  di Cesena  fatica a praticare.

La duchessa

The Duchess
Saul Dibb, 2007
Keira Knightley, Ralph Fiennes, Charlotte Rampling, Dominic Cooper, Hayley Atwell, Simon McBurney, Aidan McArdle, John Shrapnel, Alistar Petrie, Patrick Godfrey.

La rivoluzione francese è dietro l’angolo. E si sente. Georgiana Spencer (Knightley) va in sposa al Duca del Devonshire nell’Inghilterra  del 1774,  portando in sé inquietudini del mondo che le sta attorno, vicino e anche un po’ più in là. Il suo è un matrimonio di convenienza, combinatole dalla madre, Lady Spencer (Rampling), con lucidità adeguata ai tempi. Il Duca (Fiennes) impersona, come dire, “direttamente” la storia, assumendo e dominando  nel proprio corpo la prigionia di regole sociali (avere un figlio) che gli lasciano libertà di comportamento “egoista” (i suoi cani soprattutto). C’è posto anche per un triangolo perfino “avanzato” nella motivazione: Georgiana non rinuncia all’amicizia di Bess (Atwell), abbandonata dal marito e impedita da lui  a vedere i figli. Bess frequenta il letto del Duca, ma pazienza. La Duchessa non rinuncia nemmeno alla vita elegante e  alle frequentazioni politiche (dalla parte dei Whigs). Quanto all’amore “vero”, cede un po’ all’attrazione per Charles Grey (Shrapnel). Ne nasce una bambina, ma Lady Spencer non vuole che Georgiana abbandoni il Duca e la Duchessa dovrà accontentarsi di curare la crescita delle sue prime due nate e dell’altra non sua, che il marito le ha gentilmente affidato. Una vita infernale, forse soltanto per essere “benvoluta”. Una compressione di forme che avrebbero provocato, si sente, un botto, una deflagrazione di cui avvertiamo ancora oggi l’onda. Inevitabile, in un film così, storico/romantico, il richiamo ad una pertinenza di linguaggio di  non facilissima lettura. Il rischio, come del resto per ogni film storico, è di scavalcare le distanze sovrapponendo i tempi e le epoche in una confusione percettiva e culturale quasi inevitabile. Ma è il cinema, bellezza. E meno male che il londinese Dibb ha saputo governare con dignità il supercast di attori tutti perfetti (primo un  ottimo  Fiennes). Non gli è stato inferiore Gyula Pados, autore di una fotografia dettagliata e non invadente.

The Spirit

The Spirit
Frank Miller, 2008
Gabriel Macht, Eva Mendes, Sarah Paulson, Dan Lauria, Paz Vega, Scarlett Johansson, Samuel L. Jackson, Jaime King, Stana Katic, Louis Lombardi, Eric Balfour, Richard Portnow, Meeghan Holaway, Johnny Simmons, Seychelle Gabriel.

Moderno e contemporaneo? Ultra, per il modo di dare forma ad antiche sostanze. Morto o vivo? E chi lo sa? Diciamo vivo anche se muore più di una volta, perseguitato dalla Morte che gli sta alle costole. Fantasma o corpo in carne ed ossa, Denny Colt è Spirit (Macht), lo spirito della città: «La mia città », continua a ripetere. E si lancia volando come in un fumetto animato nelle ombre notturne di Central City per salvarla dal crimine. Non è un poliziotto come gli altri, Denny. Lo sa bene il commissario Dolan (Lauria), che pure è parente stretto di tutti i detective dall’impermeabile sgualcito. E lo sa bene anche Ellen (Paulson),  la dottoressa che fa disperare il padre  commissario col suo amore incrollabile per Spirit (prima o poi, ferma, premurosa  e paziente qual’è, lo metterà a posto). Lo sa benissimo, infine,  il cattivone Octopus (un Jackson aggressivo e resistentissimo, che però non riesce a fare la faccia feroce),   il quale cerca lo scontro e amerebbe conquistare nientemeno che l’eternità, assistito da Silken Floss (una Johansson non perfettamente a suo agio, più lost che fredda vipera). Sand Saref (Mendes), invece, sembra non volerne sapere, avida di gioielli e di denaro, consapevole della propria bellezza (lei la chiama «culo », senza mezzi termini).   Il suo ruolo è di mantenere viva la struggente antica passione giovanile, racchiusa in  un ciondolo, con le foto di  sé e di Denny ancora ragazzi –  glielo donò lui e lei se ne andò ugualmente, con in testa una vita ricca. Tratto dal fumetto di Will Eisner, il film vive di immagini visionarie, metalliche e fangose, scure, espressionistiche più che espressive. Miller ripete lo stile di Sin City. Un fiume  di frasi fatte inonda le metafore della finzione, le sole che possano avere un senso nell’incubo della città di Spirit, allusiva e irreale, eppure risaputa, nutrita di idee accettabili e, anzi, per lo più condivise. Idee nientaffatto rivoluzionarie. Quel ciondolo non è che una nostalgia che si porta al collo, di cose e di sentimenti perduti. Purtroppo, né Denny né Sand Saref possono tornare indietro.


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Bart