CINEMA: I film visti da Franco Pecori21 Marzo 2009 [Franco Pecori dal 1969 ha esercitato la critica cinematografica – per Filmcritica, Bianco & Nero, La Rivista del Cinematografo e per il Paese Sera.  È autore, tra l’altro, di due monografie, Federico Fellini e Vittorio De Sica (La Nuova Italia, 1974 e 1980). Nel 1975, ha presentato alla Mostra di Venezia la Personale di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet; e alla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro, con Maurizio Grande, una ricerca su Neorealismo: istituzioni e procedimenti (cfr. Lino Miccichè, Il Neorealismo cinematografico italiano, Marsilio). Dal 2002, ha tenuto per 4 anni, sul Televideo Rai, la rubrica settimanale Film visti da Franco Pecori. Noto anche come poeta, Pecori può vantare la stima di Franco Fortini.] The InternationalThe International Il rischio è di vivere tutta una vita senza accorgersi di niente o quasi. Ma anche quei pochi che di qualcosa si accorgono non possono fare molto contro il malaffare di alto livello. Le banche, per esempio. Lo sapevate? Puntano a controllare il debito dei grandi clienti (gli stati interessati alle armi) e spadroneggiano spietatamente nella compravendita che incendia il mondo. Per esempio, la Ibbc (una sigla qualunque). All’Interpol c’è Salinger, un agente ex Scotland Yard, il quale ha fiutato il traffico. Insieme a Eleanor Whitman, assistente procuratore distrettuale di New York (bella coppia semiattrattiva, Owen-Watts), cercherà di venirne a capo, ma il suo destino, si capisce, sarà di restare a bocca aperta, in un ghigno di disperato stupore. Allo sconsolato finale si arriva attraverso un infinito labirinto di sequenze thriller, che, girate e montate bene, hanno tuttavia il difetto di distrarre lo spettatore dalla sostanza politica del plot. È un viavai di due ore da Berlino a Istanbul passando per New York e Milano e pensando alla Cina, a Israele, all’Iran, senza che nemmeno per un attimo ci si faccia l’illusione che possa trionfare la giustizia. Il soprabito di Salinger, così sgualcito e sudicio, dobbiamo averlo già visto da qualche parte, roba comune come la sua barba non fatta da due o tre giorni e il suo sonno perduto: sarà per questo che, in fondo, quelli che il potere ce l’hanno non si sprecano più di tanto a tentare di farlo fuori – tranne che in una sparatoria spettacolare al museo Guggenheim, montata per dare un po’ d’importanza al “protagonista”. Protagonista resta la Banca, il suo intreccio con la politica. Persino con quella nostrana, con Barbareschi nei panni del faccendiere Calvini, un po’ mafioso, ammazzato mentre fa un comizio agli sbandieratori del partito “Futuro Italiano”. Dopo di lui continueranno i suoi figli. Curiosa questa particolare attenzione verso l’Italia (non mancano carabinieri loschi e nuove brigate rosse). Per correttezza, il tedesco Tykwer (Lola corre,1998, Profumo – Storia di un assassino, 2006) coinvolge anche un certo Wexler (Armin Mueller-Stahl), il quale, da ex comunista della Stasi (Ministero per la Sicurezza di Stato della ex Germania dell’Est), confessa che «gli ideali è facile perderli ed è dura recuperarli ». Verso la fine, spunta un fascicolo della Cia. Poteva mancare? La verità è che non gli piaci abbastanzaHe’s Just Not That Into You Baltimora. Un giardino, bambini sull’altalena. Una piccola gioca a  fare castelli di sabbia. Si avvicina un maschietto. Lei gli sorride, lui le dà uno spintone facendola cadere a retta. «Perché l’hai fatto? », «Perché puzzi come la pupù del cane e sei una stupida come la pupù del cane, tu sei una pupù ». La bimba corre piangendo dalla mamma. E la mamma: «Quel bambino ha fatto quelle cose perché gli piaci, è innamorato cotto di te ». Voce narrante (Goodwin): «Siamo tutte programmate a pensare che se un uomo si comporta come un perfetto stronzo vuol dire che gli piaciamo ».  Lui non telefona? Le piaci troppo, sei troppo bella. Sono sicura che ha perso il tuo numero. È imbarazzato dal tuo successo professionale. È uscito proprio adesso da una storia d’amore. È perché non ha mai avuto una storia d’amore. Frasi fatte per mentire. La voce narrante prende corpo. È Gigi (proprio Goodwin), seguiamola. Ha un appuntamento con Connor (Connolly). Le sembra tutto bene, ma poi lui non la chiama. Lei si rifugia al bar. Alex(Long), il giovane barista, è un amico e le rivela il segreto degli uomini, come fanno quando vogliono scaricare una donna. E Gigi mette pulci nell’orecchio di tutte le amiche. Conosciamo le amiche. Neil (Affleck) sta con Beth (Aniston) da 7 anni e lui non l’ha sposata, perciò glielo chiede. Matrimonio in crisi. Anna (Johanson) incontra al supermercato Ben (Cooper) e crede che stia «scattata la magia », lui le dice che è sposato ma Anna non riesce a non pensare a lui. Che deve fare, lasciarselo scappare? Lo chiama. Ben le dice che non può. Poi la richiama, proprio mentre con la moglie Janine (Connelly) stanno decidendo di procreare. Mary (Barrymore) crede nelle opportunità di Internet (My Space), spera in Jude (Pearson) ma il contatto è difficile, fa la corte a Conor ma lui è interessato ad Anna. La quale, però, dicono,  «non gliela darà mai ». E così via fino all’amore vero. Intrecci di verità rivelate, segreti di amiche, scambi di coonfidenze tra amici:  uno di quei meccanismi perfettamente oleati, falsamente complicati ma semplicissimi da capire, tutta roba tipica della commedia americana, ovviamente tratta da un bestseller di carta (in questo caso, di Greg Behrendt e Liz Tuccillo, sceneggiatori della serie Sex and the City). Nessuno dice la verità , ma tutti la lasciano intendere. Attrici e attori meritano un bell’applauso. Riguardo al cinema, niente da dire. Con Kwapis (Licenza di matrimonio), nessun intoppo, montaggio liscio, dosatura di primi piani e di piani-sequenza, cucitura di dialoghi sullo spiritoso, con un continuo “agguato” del melodramma possibile, voluto e non voluto. Tipologie di vita e di comportamento che si legano formando un tutto esauriente. Un mondo, insomma. La Tv è complice, la serie di prima serata tende a dettare lo stile. Ma il grande schermo è un’altra cosa, si capisce. Diverso da chi?Diverso da chi? Si fa presto a dire la famiglia.  Certi valori vanno messi in pratica. Prendiamo un momento di vita pubblica in una città italiana (si riconosce Trieste). Si deve eleggere il sindaco, la campagna elettorale è difficile per il centrosinistra.  I sondaggi danno a  Galeazzo (Pannofino), sindaco uscente, un vantaggio che sembra incolmabile. L’Unione Democratica, senza molta convinzione, sceglie di candidare Piero Bonutti (Argentero). Un  sindaco gay in una città di destra? A Piero viene affiancata la cattolica Adele Ferri (Gerini),  “estremista di centro”,  implacabile sostenitrice del matrimonio in chiesa.  Ad Adele, lasciata dal marito  per la sua  difficoltà ad avere figli,  irrigidita e  sessualmente repressa, la posizione subalterna a Piero,  da 14 anni “sposato” con Remo (Nigro) e convinto sostenitore della libertà in amore, appare subito insostenibile. Si profila uno scontro interno che porterà al disastro elettorale. Tutto questo, per il regista debuttante Carteni e per lo sceneggiatore Fabio Bonifacci, fa già commedia. Gli ingredienti della politica sono dosati con ironia e vanno a formare quadretti di un certo rilievo riflessivo. Si sorride e si ri-conosce una realtà alla quale, forse, ci si è un po’ troppo assuefatti. La commedia politica diventa presto,  però, anche commedia di sentimenti. Remo consiglia Piero di prendere Adele con le buone. E l’effetto c’è. Le gentilezze e  le attenzioni di Piero risvegliano  nella donna una sensibilità sopita. Il candidato gay, bell’uomo e anche un po’ “farfallone” (ha tradito qualche volta il compagno), la attrae e se ne innamora. Qui, in alcuni passaggi, la bravura della Gerini salta in primo piano, l’attrice recita da protagonista, ben oltre i limiti macchiettistici e caratteriali in cui  eravamo abituati a vederla confinata (film di Verdone compresi). La “trasformazione” di Adele è talmente convincente che anche Piero finisce per innamorarsi. E Remo? Non accadrà come nella canzone di Povia.  La commedia accentua  ora l’andamento paradossale. Adele rimane incinta. Piero  non se la sente di rinunciare al  suo lato gay. Sembrerebbe la crisi. Ma  l’arrivo di un figlio risolve la situazione. Ancora una volta è Remo ad accendere la lampadina. Il bambino avrà due padri, crescerà in una famiglia così. Perfino Adele se ne convince. Verità e paradosso si coniugano in vista di un futuro diverso? Diverso da che? Con una certa insistenza, la commedia italiana prova a reagire al piattume che generalmente la soffoca. Restando agli ultimi anni, questo buon esordio di Carteni va ad aggiungersi a prove non dissimili, per quanto diverse, come  Due partite, Amore, bugie e calcetto, Tutta la vita davanti, Solo un padre, Notturno bus, Non pensarci, Lezioni di cioccolato, Uno su due, L’amico di famiglia, Lascia perdere, Johnny! Frozen River – Fiume di ghiaccioFrozen River Land of Mohawk non è Lampedusa, non arrivano barconi di disperati. Il paesaggio è freddo, lontano. Tra Canada, Quebec e stato di New York, il fiume ghiacciato St. Lawrence è una via clandestina per gli Usa. È anche il modo di sopravvivere per Ray, rimasta sola con due figli a carico, uno piccolino, l’altro adolescente spinoso. Pakistani e cinesi pagano per un passaggio nel bagagliaio dell’auto e Ray non ha più soldi nemmeno per vivere nella sua baracca di legno. Gira con la pistola. Vita precaria, vita difficile. Un’altra donna, Lila, giovane mohawk a cui è stato sottratto il figlio, prima nemica, sarà poi sua alleata nel segreto progetto di sopravvivenza. Lila e Ray fanno il loro “lavoro” in silenzio, soffrendo e gestendo il dolore che si portano dentro. Due donne in primo piano, spesso in dettaglio, e campi lunghi che mostrano un paesaggio “senza cuore” si alternano e si coniugano nello sguardo pietoso di Courtney Hunt, sceneggiatrice alla sua prima regia. L’America che Hunt ci mostra è insieme passata e futura, sembra a tratti di tornare indietro di almeno tre decenni e, a tratti, si è immersi in angosciose instabilità , premonizioni di rivolgimenti imminenti e forse necessari. Ma senza sociologismi. Hunt è anzi molto attenta ai sentimenti, nascosti e non per questo meno intensi, delle due donne. La loro vita resta la loro vita anche nella suspence del fiume di ghiaccio. Anche, e soprattutto, quando il film volge a thriller. Ma non è per genere, né per esercizio, è attraverso la vita delle persone. Il genere è contraddetto e decostruito proprio nella sequenza dell'”imprevisto” con la polizia durante uno dei carichi clandestini. Un tono di vicenda “familiare” invade l’azione e prevale sulla legge deterministica che di norma regola scene di “irregolarità ” e contrasto. Il senso di umanità non è “predicato” bensì risolve il vissuto con dolcezza e quasi impercettibilmente. È un primo film, certo, ma è una buona promessa. Ottimo il contributo di Melissa Leo (già apprezzata in 21 grammi), ad un soffio dall’Oscar. Letto 2596 volte.  Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||