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Rivista d'arte Parliamone
La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

CINEMA: I film visti da Franco Pecori

28 Marzo 2009

[Franco Pecori dal 1969 ha esercitato la critica cinematografica – per Filmcritica, Bianco & Nero, La Rivista del Cinematografo e per il Paese Sera.  È autore, tra l’altro, di due monografie, Federico Fellini e Vittorio De Sica (La Nuova Italia, 1974 e 1980). Nel 1975, ha presentato alla Mostra di Venezia la Personale di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet; e alla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro, con Maurizio Grande, una ricerca su Neorealismo: istituzioni e procedimenti (cfr. Lino Miccichè, Il Neorealismo cinematografico italiano, Marsilio). Dal 2002, ha tenuto per 4 anni, sul Televideo Rai, la rubrica settimanale Film visti da Franco Pecori. Noto anche come poeta, Pecori può vantare la stima di Franco Fortini.]

Ponyo sulla scogliera

Gake no ue no Ponyo
Hayao Miyazaki, 2008
Animazione

Qui non si tratta di essere appassionati di animazione. Si va oltre. È che ogni film del maestro giapponese Miyazaki (Tokio,1941) nutre il nostro immaginario di figure che il mondo non è capace nemmeno di rispecchiare, immagini che vivono di una loro vita fantastica, frutto di un genio visionario, immerso nella realtà contemporanea e insieme transmigrante verso mondi ideali, generatori di utopie estetiche. Certo, la prima lettura di Ponyo può essere anche referenziale: dalla Sirenetta di Andersen è nata Ponyo,  la pesciolina che entra in sintonia col bambino Sosuke e trova dal mare il sogno umano di un equilibrio ecologico. Ma la visione di Miyazaki (La città incantata, 2001, Il castello errante di Howl, 2004), lascia al sogno la piena libertà di godere dei colori, in una “trasparenza” magica che sa placare ogni angoscia del male. Meravigliosa la lunga sequenza dello tsunami, provocato   dallo stregone ex uomo. Colori nuovi rispetto ai capolavori precedenti, toni che indicano anzitutto la spettacolare duttilità dell’autore nell’aderire a materie diverse e nel disegnarne altrettanto diversi destini artistici. È anche una nobile lezione di antivolgarità, considerato il diffuso e triste spettacolo di animazioni unite spesso ad effetti digitali che tendono ad esaltare le peggiori propensioni al superomismo, in un’ansia inquinata di futuro grigio, nero, “medievale”.

Il caso dell’infedele Klara

Il caso dell’infedele Klara
Roberto Faenza, 2009
Fotografia Maurizio  Calvesi
Claudio Santamaria, Iain Glen, Laura Chiatti, Kierston Wareing, Paulina Bakarova, Anna Geislerova, Miroslav Simunek, Yemi Dele Akinyemi, Dorota Nvotova, Adriano Wajskol, Zuzana Fialova.

Praga. Luca (Santamaria), musicista che insegna ai bambini e di sera suona nei locali,  è geloso di Klara (Chiatti), studentessa alle prese  con una tesi di storia dell’arte che la porta anche a Venezia (scenario che non guasta mai). Luca si è messo in testa che la sua ragazza lo tradisca con  il tutor Pavel (Simunek) e  si rivolge a Denis (Glen), detective ex poliziotto laureatosi in psicologia. Denis, sposato, convive “liberamente” con la moglie Ruth (Bakarova): «Se tu sei felice io sono felice », le ripete ogni volta che lei va con un altro.  Da parte sua,  il detective ha qualche propensione per Nina (Wareing), la collega che lo aiuta nelle investigazioni. Luca insiste tanto che finisce per “obbligare” Klara a tradirlo veramente. Con Denis. Tutto a posto? Neanche per sogno. Finirà col matrimonio in chiesa, Luca momentaneamente rasserenato e Klara in  abito bianco. E il detective psicologo ripudia gioiosamente la sua falsa teoria. Va bene la spregiudicatezza del tema, ma poi non più di tanto. Ciascuno al suo posto. E a proposio, sarà vero che il film ha avuto, come si dice, il contributo del Ministero dei Beni Culturali? Di sicuro, durante la proiezione s’ode citar Dante e Kafka, ma non dev’essere, se mai,  questo il motivo. Piuttosto si sarà convenuto, ancora una volta, che la cultura può benissimo fare a meno del cinema. Il film, invece,  può servire  da supporto audiovisivo ad una lezione di psicologia, magari un po’ semplificata – come si usa ormai anche a livello universitario –  sul tema della gelosia. In tal caso non sarà necessaria una vera attrazione estetica, men che mai nelle scene di sesso. Basteranno quelle dell’infedele-manco-per-niente Klara.

I mostri oggi

I mostri oggi
Enrico Oldoini, 2009
Fotografia Federico Masiero
Diego Abatantuono, Sabrina Ferilli,  Giorgio Panariello,  Claudio Bisio,  Angela Finocchiaro, Carlo Buccirosso,  Pilar Abella, Massimo Andrei, Susy Laude, Mauro Meconi, Sergio Forconi, Luca Mrrione, Corinne Piccinnu, Pietro Fornaciari, Emanuela Aureli, Rocco Giusti, Moris Verdiai, Valeria De Franciscis, Tushar, Neri Marcorè, Ciara Gensini, Veronica Corsi, Cristel Checca, Beatrice Aiello, Elena Cantarone, Valerio Petrilli, Elisa Marchesani, Maria Teresa Di Bari, Claudio Bisio, Rodolfo Castagna, Anna Foglietta, Rosalia Porcaro, Enzo Cannavale, Paola Lavini, Vincenzo Polidoro, Rino Diana, Beatrice Orlandini, Ugo Conti, Renato Converso, Luciano Manzalini, Andrea Giuliano, Antonello Morea, Luigi Russo, Pippo Cangiano, Sergio D’Auria, M. Letizia Miranda, Desirée Castignini, Massimo Giletti, Shuruz Ali Khalifa.

Oggi i mostri non fanno impressione. Sono “mostri”, tra virgolette. Le virgolette significano per così dire.  I mostri  fanno davvero  parte della realtà di tutti i giorni, una “realtà” per modo di dire. Una volta, la Garbo e Valentino, Humphrey e Marilyn erano il sogno, una realtà lontana impossibile. Oggi, l’influsso e l’interrelazione  della televisione sui modelli di comportamento ha ridotto talmente la distanza tra vita e finzione che –  reality, Tg, miniserie e perfino documentari –  è arduo mantenere la coscienza di ciò che facciamo, di come siamo. E il cinema, spesso,  fa la sua parte, sta al gioco. Così, se andiamo a vedere i mostri di Oldoini, il regista di Yuppies 2, di Vacanze di Natale 90 e 91, de La fidanzata di papà, non possiamo certo aspettarci i paradossi del Risi 1963, di Gassman e Tognazzi. Quel “filmetto a episodi” aveva la cattiveria necessaria alla comicità autentica e chiedeva allo spettatore un impegno scomodo nel riconoscere ed  ammettere certe mostruosità comuni. La risata scaturiva come necessario risarcimento. Con i mostri di oggi, i “mostri”,  non può che esservi identificazione, quindi bonario divertimento. Di risate non c’è nemmeno bisogno. Sono “mostri” per modo di dire, di vedere, di immaginare, di vivere. Detto questo, si poteva, nei 16 miniepisodi, fare qualcosa di più per dare un minimo di respiro ai personaggi, al di là di una risaputa ritualità gestuale codificata dai palinsesti e “autorizzata” dalle abitudini di “ascolto”. Non ha molta importanza se non tutti i “volti” televisivi danno qui il meglio di sé, né se il big Abatantuono approfitta un po’ troppo (con pigrizia)  del proprio “marchio”. Meglio apprezzare alcuni momenti di minore “calcomania” stereotipica, come  nel discreto episodio La testa a posto, in cui, al di là o meglio al di qua del solito risvolto finale  “a sorpresa”, Buccirosso e Foglietta insieme a Cannavale attingono almeno per un momento ad un know how non puramente televisivo; o come nel duetto Ferilli-Marcorè, in cui proprio la copia esplicitamente accentuata  di una finzione (coppia di coatti cerca di  mettere in pratica  i segreti del peggiore opportunismo appresi dagli affaristi furbi) dimostra l’importanza di una “pedagogia” che circola abusivamente  d’attorno.

Two Lovers

Two Lovers
James Gray, 2008
Fotografia Joaquin Baca-Asay
Joaquin Phoenix, Gwyneth Paltrow, Vinessa Shaw, Isabella Rossellini, Elias Koteas, John Ortiz, Moni Moshonov.

Incline al suicidio, timido e rude, fragile e ingombrante, sensibile e inespressivo, Leonard (Phoenix) abita con i genitori a Brighton Beach (Brooklyn, New York). Reuben, il padre (Moshonov), sta per accettare la fusione della sua piccola azienda con quella del padre di Sandra (Shaw). La ragazza è innamorata di Leonard e sarebbe l’ideale per lui. Così la  vedono Reuben e  sua moglie  Ruth (Rossellini).  Ma nella vita, chiusa e quasi segreta,  di Leonard (se potesse, invece di aiutare il padre, farebbe il fotografo), irrompe la bionda e “mobile”  Michelle (Paltrow), tormentata dalla relazione con un uomo sposato. Leonard  la incontra per caso, in un momento critico per lei. Poi la potrà vedere dalla finestra giacché Michelle abita proprio di fronte, nella casa che l’amante paga per i loro incontri. L’attrazione    per la bionda fa crescere in Leonard il dubbio sulla consistenza del possibile amore con Sandra. Un matrimonio tranquillo contro una vera passione. Si va verso una sorta di thriller romantico, in un miscuglio ben dosato di atmosfere indecise, semicupe (non solo fotograficamente) e tagliate con realismo “primitivo”, e improvvise aperture sentimentali (fino alle lacrime), che guidano l’emotività dello sguardo in un labirinto interiore difficile da decifrare. Il quarantenne Gray (Leone d’Argento a Venezia  1994 col suo primo film, Il quarto comandamento – Little Odessa e poi frequentatore assiduo di Cannes, The yards, 2000 – distribuito in dvd nel 2002,  I padroni della notte – We Own The Night, 2007, Two Lovers, 2008)  fa un lavoro specifico sui corpi degli attori e  specialmente di Phoenix, protagonista assoluto eppure “in ombra”, immerso in un’inquietante discrezione, come avesse nello stomaco una bomba innescata, pronta a deflagare.  Anni diversi e sovrapposti di gioventù bruciate, di selvaggi rimasti a piedi (senza moto),  di picnic andati a male, di ultimi respiri futuri e già passati,  fanno un falò compresso  che si spegne insieme alla luce del quadro  quando si riaccende la luce in sala.

Fortapàsc

Fortapàsc
Marco Risi, 2008
Fotografia Marco  Onorato
Libero De Rienzo, Valentina Lodovini, Michele Riondino, Massimiliano Gallo, Ernesto Mahieux, Salvatore Cantalupo, Gigio Morra, Gianfranco Gallo, Antonio Buonomo., Ennio Fantastichini,, Duccio Camerini, Renato Carpentieri, Gianfelice Imparato, Daniele Pecci, Ivano Marescotti, Roberto Calabrese, Maria Lauria, Marcello Mazzarella, Tony Laudadio, Raffaele Vassallo, Ettore Massa.

I mostri del nostro tempo sono tutt’altro che comici. Fanno paura. Se provi a raccontarli rischi la vita. E guai se pretendi, da giornalista, di non fare semplicemente l'”impiegato”, aspettando che le notizie arrivino da sole in redazione. Se ti muovi, se sei curioso e vai sul campo, è facile che trovi delle sorprese, brutte il più delle volte. Toccò così, a metà degli anni Ottanta (orribile decennio le cui tracce indecenti continuano a segnare il tempo attuale), a Giancarlo Siani, ucciso dai camorristi mentre da “abusivo” stava per  passare “praticante” al Mattino di Napoli. Aveva 26 anni, amava – come si dice – la vita e non ebbe paura del proprio mestiere. Marco Risi, autore di film di impegno civile (Soldati, 365 all’alba, Mery per sempre, Ragazzi fuori, Il muro di gomma), torna dopo una pausa nella commedia (L’ultimo Capodanno, Tre mogli) a zoomare sulla realtà italiana, raccontando le intrusioni della malavita organizzata al Sud, nel post-terremoto del 1980, in Campania e in Basilicata. Il titolo stesso del suo ultimo lavoro dice che si tratta di qualcosa di più  del racconto della fine drammatica di un giornalista. È che certe condizioni di malavita sociale e politica implicano uno sguardo allargato e sono attive: viviamo tuttora, dice il film, assediati da quanti pretendono di imporci le loro regole criminali. Libero De Rienzo (La vita degli angeli, Santa Maradona, A/R andata+ritorno, Milano Palermo – Il ritorno) interpreta con convincente immedesimazione il ruolo di Siani, agevolato dalla capacità di Risi di far vivere attorno al protagonista una verosimiglianza complessiva, d’ambiente e di personaggi, il che non è poco in un film di denuncia. Il fatto che  l’accaduto di  più di due decenni fa sia ancora rapportabile al presente (il precariato, per esempio, con i suoi pesanti condizionamenti che non riguardano soltanto il lavoro in sé) non toglie al film (sceneggiatura di Jim Carrington, Andrea Purgatori e dello stesso regista) il suo valore anche “soggettivo”. In altri termini, la tipicità non prevale sul realismo interno, l’opera si tiene in sé. Lo si capisce fin dalla prima sequenza. Siani in macchina sta tornando a casa. La radio trasmette una canzone di Vasco Rossi. Voce fuori campo di Giancarlo: «Certo, se avessi saputo che tra cinque minuti mi avrebbero ammazzato, forse non avrei ascoltato quella canzone ». È un invito esplicito a stare attenti, a seguire il racconto mantenendo una distanza dall’emozione. Sappiamo  già da quale fine è atteso il protagonista. Poi i camorristi entrano in scena con una “naturalezza” impressionante, che ci sorprende, abituati come siamo alle caratterizzazioni quasi sempre ridicole. Non meno incisiva la figura di Sasa (Mahieux), il caporedattore, l’altra faccia della medaglia. La lingua con cui si parla è il dialetto vero, il tono è autentico, i tempi (montaggio di Clelio Benevento) non sono stressati come si fa nel cinema dello pseudorealismo spettacolare. La “normalità” del crimine è espressa nel particolare quotidiano: «Napoli in vantaggio! », urla il radiocronista al gol di Maradona mentre per i vicoli di Torre Annunziata si svolge un’altra partita, una feroce carneficina. La metafora (e non è la sola)  non si chiude, appena accennata si scioglie nell’ambiente e nella storia come una delle canzoni che contrappuntano la narrazione. Ad ogni sequenza l’azione non “monta”, il film resta freddo,  dobbiamo seguire la ragione dei fatti. Senza didascalie, però. Vale di più il sorriso col quale Giancarlo accoglie la morte, in un finale provocatoriamente “dolce”. Con un fondo di amaro.


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1 commento

  1. Commento by Flex Belt Reviews — 15 Maggio 2013 @ 09:56

    The signals connect with concentrated nerve areas, which in turn
    spread the signal to the whole abdominal region.

    My site: Flex Belt Reviews

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A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart