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La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

CINEMA: I film visti da Franco Pecori

23 Gennaio 2010

[Franco Pecori dal 1969 ha esercitato la critica cinematografica – per Filmcritica, Bianco & Nero, La Rivista del Cinematografo e per il Paese Sera.  È autore, tra l’altro, di due monografie, Federico Fellini e Vittorio De Sica (La Nuova Italia, 1974 e 1980). Nel 1975, ha presentato alla Mostra di Venezia la Personale di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet; e alla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro, con Maurizio Grande, una ricerca su Neorealismo: istituzioni e procedimenti (cfr. Lino Miccichè, Il Neorealismo cinematografico italiano, Marsilio). Dal 2002, ha tenuto per 4 anni, sul Televideo Rai, la rubrica settimanale Film visti da Franco Pecori. Noto anche come poeta, Pecori può vantare la stima di Franco Fortini]

La prima cosa bella

La prima cosa bella
Paolo Virzì, 2009
Fotografia Nicola  Pecorini
Valerio  Mastandrea, Micaela Ramazzotti, Stefania  Sandrelli, Claudia  Pandolfi, Marco  Messeri, Aurora  Frasca, Giacomo  Bibbiani, Giulia  Burgalassi, Francesco  Rapalino, Isabella  Cecchi, Sergio  Albelli, Fabrizia  Sacchi, Michele Crestacci, Roberto  Rondelli, Isabelle  Adriani, Paolo  Giommarelli, Giorgio  Algranti.

Ci siamo. Su Mastandrea più  nessun dubbio. L’arte di far capire tutto senza fare “niente” si esprime  finalmente nella sua compiutezza. Il ruolo di Bruno, bambino (bravo il piccolo Giacomo Bibbiani) turbato dalle “leggerezze” di una mamma passionale e frivola, amante della vita e ingenua, e poi figlio in cerca di maturità, comprensivo, compresso, resistente alle lusinghe dell’ovvio, estenuato dalla gioiosa insistenza della donna che perfino  sul letto di morte lo costringe a  cantare con lei e con la sorella Valeria (una convincente, dinamica e sentimentale  Claudia Pandolfi) la canzone di sempre, dell’infanzia e della giovinezza – La prima cosa bella, appunto – è  al centro  del racconto  patetico, ironico, filosofico, psicologico e  storico che Virzì ha portato sullo schermo con spudoratezza d’artista. Il regista livornese, s’immerge nell’humus della sua città e vi attinge lo spirito di famiglia per un quadro semplice in apparenza ma profondo e complesso, vero oltre la commedia e comico oltre il dramma, insomma realistico nel senso proprio del cinema italiano. È uno sguardo, il suo,  capace di comporre e scomporre una vicenda che dura decenni (si parte dal 1971) e sembra non concludersi mai, tanto appartiene ai personaggi in maniera non generica, tanto ne rispetta  il   carattere, il comportamento, il modo di crescere e di affrontare le situazioni intime e le diverse fasi della vita. Anna, la madre di Bruno, è  una Stefania Sandrelli tornata in sé, uscita dalle “particine” di riferimento e del tutto credibile nella difficile prova (l’aiuta efficacemente Micaela Ramazzotti, rappresentandone la fase dell’arrendevole generosità giovanile) della malata terminale che non si arrende alla tristezza e vive fino all’ultimo istante amando e sorridento affettuosa  a tutti quelli che le hanno voluto bene. È un film intimo, toccante, che pure ci riguarda tutti, le generazioni, il paese, il trascorrere del tempo senza che in sostanza nulla sembri mutare. Si sorride e ci si commuove con rispetto partecipando alla storia insieme ai personaggi (tutti  all’altezza gli attori,  da Sergio Albelli a Marco Messeri) e portandosi dentro, alla fine, lo spirito sincero di un autore che si mette in gioco ancora  con passione, nel solco principale del nostro cinema.

Tra le nuvole

Up in the air
Jason Reitman, 2009
Fotografia Eric  Steelberg
George Clooney (Ryan Bingham), Vera Farmiga (Alex), Anna Kendrick (Natalie), Jason Bateman (Craig Gregory), Danny McBridge, Melanie Lynskey, Steve Eastin, Chris Lowell, Adam Rose, James Anthony, Dave Engfer, Lauren Mae Shafer, Doug Fesler.
Roma 2009, concorso.

Dieci milioni di miglia in volo è un traguardo che Ryan (Clooney) ha atteso di raggiungere da quando ha intrapreso la carriera di “tagliatore di teste”, un mestiere antipatico, si deve andare nelle aziende a licenziare le persone. I singoli colloqui richiedono una tecnica professionale per niente facile. Per questo Ryan tiene anche conferenze e lezioni spostandosi di hotel in hotel da un punto all’altro degli Stati Uniti. È una vita che egli  ha scelto, avendo capito che le normali attività degli altri, comprese quelle che riguardano la famiglia e i rapporti interpersonali, sono niente altro che un bagaglio troppo ingombrante, costrizioni che impediscono di sentirsi liberi e “leggeri”. La rappresentazione di tutto questo è affidata ad una sceneggiatura “di ferro” (Jason Reitman, Sheldon Turner), una macchina perfettamente funzionante che riproduce con spirito (fino alla risata) particolari e dettagli ricorrenti e significativi, stimolando la curiosità dello spettatore nello scoprire di attimo in attimo le eccezioni, le novità rispetto alla condizione “frequentativa”. In seconda lettura,  Tra le nuvole si può considerare come un film sul frequentativo, un invito a vedere ciò a cui normalmente non facciamo caso. E seguendo le lezioni e le prestazioni di Ryan ci viene voglia di svuotare anche il nostro zaino, il bagaglio “inutile” che ci portiamo sulle spalle ogni giorno. Poi, la sorpresa. In azienda arriva una donna giovane e rigida, una di quelle persone  che, non essendosi ancora misurate con la  realtà credono di avere il metodo finalmente giusto. Natalie (Kendrick) è destinata a sperimentare le difficoltà del ruolo, accanto ad un “maestro” come Ryan, il quale nel frattempo non perde il gusto della frequentazione erotica, agganciando con aria casuale la bella viaggiatrice Alex (Farmiga), anche lei, in apparenza,  vagolante tra le nuvole. Si va profilando in maniera sempre più netta la funzionalità del doppio incontro, molto diverso quanto a fisicità e simpatia, ma risolutivo per il senso che Ryan   potrà dare alla propria vita. Il tagliatore di teste comincia ad avere i primi sintomi di stanchezza e invita Alex, così per compagnia, perfino al matrimonio della sorella che non vede da tempo immemorabile. È un accenno di rientro in famiglia (con la irresistibile scena dello sposo pentito, che Ryan è chiamato a convincere di rinunciare alla sua improvvisa rinuncia), che poi si preciserà meglio quando la novizia Natalie subirà il trauma del suicidio (preannunciato durante il colloquio e quindi eseguito) di una donna da lei appena licenziata. Il cinico professionista, nel bel mezzo della solita lezione dello zaino da svuotare, si blocca e fugge dal palco. Lo vediamo correre da lei, da Alex. Bussa alla sua porta. Le dirà che la ama e che la vuole con sé? La porta si apre, dietro alla donna bambini corrono giocando  per le scale. Una voce maschile chiede: “Alex, chi è?”. “Niente, uno che ha sbagliato indirizzo”, risponde decisa Alex. Diritto e rovescio della vita tra le nuvole. Molto divertente. Attuale in tempo di crisi.  Attori tutti bravissimi.

L’uomo che verrà

L’uomo  che verrà
Giorgio Diritti, 2009
Fotografia Roberto Cimatti
Maya Sansa, Alba Rohrwacher, Claudio Casadio, Greta Zuccheri Montanari, Stefano Bicocchi, Eleonora Mazzoni, Orfeo Orlando, Diego Pagotto, Bernardo Bolognesi, Stefano Croci, Zoello Gilli, Timo Jacobs, Germano Maccioni, Taddhaeus Meilinger, Francesco Modugno, Maria Grazia Naldi, Laura Pizzirani, Frank Schmalz, Tom Sommerlatte, Raffaele Zabban
Roma 2009, concorso. Gran Premio della Giuria Marc’Aurelio d’Argento, Marc’Aurelio d’Oro del pubblico al miglior film

La fredda indifferenza con cui le SS tedesche  mettono in atto la rappresaglia e uccidono 770 civili, il 29 settembre 1944 a Marzabotto – Monte Sole (Bologna), è il dato storico da cui parte Giorgio  Diritti (Il vento fa il suo giro, 2005)  per tenere accesa la memoria e anche per cogliere i sentimenti e le impressioni che la storia non può  restituire senza l’aiuto dell’arte. Uno dei nazisti, mentre negli occhi abbiamo l’atroce carneficina, commenta: «Tutti noi siamo quello che ci hanno insegnato ad essere, dipende dall’educazione ». Si spera che il vento non torni a fare il suo giro e che l’uomo che verrà non sia più così cattivo. Il regista ha scelto lo sguardo di una bambina di 8 anni, Martina (la bravissima Greta Zuccheri Montanari), per raccontare l’orribile episodio. Muta da quando ha visto morire il  fratello nato da pochi  giorni, Martina osserva e seleziona per noi la realtà in cui vive. La casa contadina, la stalla, il campo, il bosco, la mamma Lena (Sanza) che aspetta un altro figlio, la zia Beniamina (Rohrwacher) e insomma il normale svolgersi delle giornate. Noi impariamo a conoscere i personaggi ascoltando il loro dialetto, che il regista ha mantenuto non per “verismo” ma per amore di verità. L’ambiente è ricostruito con una verosimiglianza impressionante (viene in mente Olmi), ogni particolare diventa personaggio e ciascun personaggio si fonde in un tutto che è appunto la vita a Marzabotto in quei giorni. Poi arrivano i tedeschi e vengono attaccati dai “ribelli” (così si chiamavano allora i partigiani). E arriva la rappresaglia feroce. Diritti affronta la difficoltà di tagliare via  dalla rappresentazione lo stereotipo incombente, gira le scene con occhio “vergine” e insieme consapevole di essere tutt’altro che il primo a portare sullo schermo figure viste e riviste, soprattutto i soldati nazisti, i partigiani e via dicendo. L’idea di affidarsi a Martina funziona e testimonia anche l’istanza poetica dell’autore verso la materia. Molto coinvolgente, senza per altro scadere nel “dolcificante”, la parte in cui la bambina, rimasta sola tra i cadaveri, si rialza e, ancora muta, con movimenti naturali, essenziali,  va a recuperare il fratellino neonato e lo salva. I bambini ci guardano ancora.


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3 Comments

  1. Commento by Carlo Capone — 24 Gennaio 2010 @ 18:21

    Grande recensione del film di Virzì.   Ero molto curioso di conoscere il giudizio di Franco Pecori. La recensione è articolata, il giudizio accurato e motivato. La scrittura, delle grandi occasioni.

    Complimenti

    Carlo Capone

  2. Commento by Bartolomeo Di Monaco — 24 Gennaio 2010 @ 18:58

    Ho trasmesso il tuo giudizio, Carlo, all’autore.

  3. Commento by Bartolomeo Di Monaco — 26 Gennaio 2010 @ 11:58

    Ecco, Carlo, la risposta di Franco Pecori:

    “Mi ha fatto piacere la tua segnalazione a proposito di Capone.  

    Un saluto
    Franco Pecori”

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