CINEMA: I film visti da Franco Pecori6 Febbraio 2010 [Franco Pecori dal 1969 ha esercitato la critica cinematografica – per Filmcritica, Bianco & Nero, La Rivista del Cinematografo e per il Paese Sera. È autore, tra l’altro, di due monografie, Federico Fellini e Vittorio De Sica (La Nuova Italia, 1974 e 1980). Nel 1975, ha presentato alla Mostra di Venezia la Personale di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet; e alla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro, con Maurizio Grande, una ricerca su Neorealismo: istituzioni e procedimenti (cfr. Lino Miccichè, Il Neorealismo cinematografico italiano, Marsilio). Dal 2002, ha tenuto per 4 anni, sul Televideo Rai, la rubrica settimanale Film visti da Franco Pecori. Noto anche come poeta, Pecori può vantare la stima di Franco Fortini] Il concertoLe concert ÄŒajkovskij con singhiozzo. E prima, molta ironia per elefanti contro il comunismo sovietico d’epoca Brežneviana e contro le più attuali manifestazioni di volgarità dei nuovi emergenti (o riemergenti) russi. Molta simpatia per gli ebrei e i gitani dentro una storia simbolica, un po’ romantica e un po’ ideologica. Se si attende l’ultima parte del film, si può ascoltare l’emozionante Concerto per violino e orchestra in Re maggiore, composto nel 1878. È il momento della rivincita del grande maestro Andreï Filipov (Guskov) sull’umiliazione e l’epurazione subita trent’anni prima per non aver voluto mettere da parte i componenti ebrei dell’orchestra del Bolshoi da lui diretta. Il comunismo ha ridotto Filipov a uomo delle pulizie, ma egli sa vendicarsi. L’occasione gli è data da un fax intercettato casualmente. Il Théí¢tre du Chí¢telet invita a Parigi l’orchestra russa per un concerto e Andreï organizza la sostituzione all’insaputa del Bolshoi. A Parigi andrà lui con i suoi orchestrali di una volta e con la violinista Anne-Marie Jacquet (Laurent). Filipov ritiene indispensabile la partecipazione della famosa solista, capiremo il perché appunto nel finale, durante la commovente sequenza dell’esecuzione di ÄŒajkovskij (in realtà, a suonare è l’Orchestra sinfonica di Budapest con la violinista Sarah Nemtanu). Per Mihaileanu si è più volte parlato di Lubitsch, ma la finezza dell’autore di Vogliamo vivere, Il cielo può attendere, La signora in ermellino è francamente imparagonabile. Il regista romeno, fattosi conoscere a Venezia nel 1998 con Train de vie (Un treno per vivere), era piaciuto al pubblico di Berlino nel 2005 con Va, vis et deviens (Vai e vivrai), tenera e tragica storia dell’esodo del 1984 degli ebrei dall’Etiopia. Qui si lascia andare ad una metafora alquanto scontata sul senso “universale” della musica e sul valore del rapporto uno-molti, tra direttore e orchestra. Il «vero comunismo », dice Filipov. Vera comicità non c’è. Piuttosto sarcasmo a piena voce. E la musica di ÄŒajkovskij (con lacrime) per gli appassionati. Il concerto è stato presentato in anteprima fuori concorso al Festival di Roma 2009. An educationAn education Studiare o non studiare? Stare sui libri di latino per ottenere il punteggio che aprirà le porte di Oxford, rinunciando così alle attrattive di una vita divertente, ai piaceri della gioventù non secchiona, alla musica non classica, ai corteggiatori timidi ben accetti a papà? Nel 1961, a sedici anni, una ragazza di buona famiglia inglese simile interrogativo se lo poneva con molta probabilità. Specie se intelligente e carina. Perseverare col violoncello o prestare orecchio a Jacques Brel, a Juliette Greco e sognare la Parigi esistenzialista e il jazz? Jenny (Carey Mulligan) vive nel quartiere londinese di Twickenham. Suo padre ha la faccia di Alfred Molina, rigido educatore ma pronto a tutto pur di sistemare la figlia, al di là – molto al di là – dei discorsi serissimi che gli tocca propinare alla moglie e alla ragazzina. La quale non è poi così “infante”, come le professoresse vorrebbero che fossero lei e le compagne di scuola. Infatti, in un giorno di pioggia intensa, tornando a casa, Jenny accetta un passaggio in macchina da David (Peter Sargaard). Un uomo fatto. Storia romantica? Nessuno ci pensa. Siamo alla trasgressione. Composta, inglese. Ma trasgressione. David è uno che ci sa fare, sa vivere, ha disponibilità (vedremo come) per offrire alla giovane brillanti intrattenimenti. Niente a che vedere con la noia dei sani princìpi. Come se nulla fosse, la invita a cena e poi nientemeno che a Parigi, superando gli ostacoli della buona creanza con approcci sempre più spiritosi e diretti verso il genitore (la madre di Jenny non c’è bisogno di conquistarla). Ma sì, va a finire che se David la chiederà in sposa, ciao Oxford. Però non è così semplice. Ve ne accorgerete nel sottofinale. Proprio mentre stavate godendovi la trasgressione all’inglese, una sorpresa sgradita vi riporterà al senso comune e tutto sarà sistemato a dovere. La regista danese (scuola Von Trier, Italiano per principianti, 2000) critica con finezza la chiusura morale di un’Inghilterra rigida e poco sincera. La protagonista mantiene con bravura il tono della ribellione contenuta ma “irrinunciabile”. I duetti di David/Sargaard con Molina sono spassosi. Emma Thompson è una preside perfetta, implacabile. Sally Hawkins sfodera con giusta misura l’umanità dell’insegnante dura e comprensiva. Ma il brivido contestatario è al passato, si offre allo spettatore sul filo di un paradosso accomodante, dato il finale. L’analogia con l’attualità richiede applicazione. Letto 1670 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. 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