CINEMA: I MAESTRI: Il teledivismo9 Ottobre 2013 di Raffaello Brignetti E’ stato di Su e giù o di qualche al tra trasmissione che si è detto: ci fare mo l’abitudine? La questione ha così poca importanza che non mette conto controllarla sulle copie arretrate. Tut ti lo sapevamo. Come Su e giù, si poteva dire la stessa cosa di Partitissi ma, della Fiera dei sogni, e via. Lo si vede dalle facce e dal tono dei saluti ogni volta che una serie arriva all’ulti ma puntata. L’abitudine è fatta: la me lassa di questi commiati, benché spar sa tante volte, è sempre buona in quanto contiene un piccolo che di au tentico e di necessario. Dalla terza o quarta puntata in poi comincia a for marsi l’opinione che lo spettacolo non sia poi tanto povero e dispiaccia che finisca. La constatazione è empirica. Ma se ne trova conferma anche in un testo. E’ Psicologia del divismo televisivo di Donato Goffredo (Fratelli Palombi Editori – Roma, 1968) che naturalmen te non ha per tema soltanto questo, ma che, proprio occupandosi a fondo della televisione, ne delinea il proces so e quasi la fatalità dell’abitudine del pubblico ai programmi, specie di serie. Esaminiamo, trattato alla mano, Su e giù. Vi si riscontrano tutti gli ele menti che, da una parte, dimostrano esatta la teoria, e, dall’altra, consento no di riconoscere la prassi. Il tratteni mento serale del giovedì è una traspo sizione del gioco dell’oca, il più fami liare, bonario, natalizio gioco che la tradizione ci abbia consegnato. Il pre sentatore, Corrado, ha tutte le doti per essere inteso come un amico ilare, dal le battute di spirito mai troppo rare fatte e mai pronunciate in un linguag gio impreziosito, «all’inglese »; di più, egli potrebbe essere un parente, un giovane zio, un cognato, il cugino un tantino « pecora nera » ma « una vera pasta », il meno imbarazzante dei cu gini. La sua misura culturale è quella di uno che ha « fatto gli studi » per gli spettatori che hanno « fatto gli studi », ma anche quella di uno che non ha studiato molto per coloro che non hanno studiato molto. E’ romano, ma non « bullo »; uno di quelli che fanno pensare: beh, nonostante il loro modo di fare scettico in apparenza, i romani sono brava gente; sentimentaloni, co me noi. Corrado è uno di noi. Quando la trasmissione è stata ar ricchita di una componente comica, ecco apparire la Valori e Panelli: non elaborati, non inediti; soprattutto, una coppia. All’inizio era apparsa un’altra riconosciuta, acquisita coppia: la Mon daini e Vianello. I concorrenti, pure, sono come noi, quasi sempre persone senza particolari movenze, di profes sioni correnti, di aspetto consueto. Al le domande il pubblico potrebbe ri spondere il più delle volte esattamen te come loro: non sono degli specializ zati. Sopra ogni altra cosa, Su e giù non presenta sorprese. Si sa che ricom pare ogni giovedì e non si sa quando finirà: Corrado e il gioco in famiglia sono assicurati a tempo indeterminato. Questi canoni, a parte tutto il resto, vengono regolarmente contemplati in Psicologìa del divismo televisivo e in tutti gli altri studi che il saggio indica e richiama abbondantemente. In spe cie. è prevista la serie, l’abitudine. C’è di mezzo la provincia, come qui si ac cennò fin dal primo giorno, ma non meno uno speciale divismo. meccanismi della società neocapi talistica o collettivistica â— è l’assunto del testo â— rendono l’uomo più ogget to che soggetto; la specializzazione tecnologica fraziona l’uomo. L’uomo, così, non può fare a meno di avvertire un’istanza sacrale che lo difenda da tanta sua transitorietà e solitudine. D’altronde si trova di fronte a un vuo to sacrale in rapporto alla maggior parte dei valori tradizionali. Ecco, al lora, il ritorno di uno stato d’animo analogo a quello che indusse l’uomo di altre epoche, generalmente di crisi, a colmare il salto di qualità fra il pro prio stato e quello di una trascenden za diventata inafferrabile appunto per la sua ridotta capacità di percepirla spiritualmente; colmarlo mitizzando alcune figure: l’imperatore, l’eroe, il sacerdote al posto della divinità. Tom maseo ricorda la definizione di « dei » per le entità di natura divina, e di « divi » per gli ascritti, umani, al nu mero degli « dei ». « Gli imperatori erano divi, non dei ». Al posto degli imperatori, degli eroi, eccetera, sono ora « divi » i portatori di immagini. Da questa condizione del l’uomo contemporaneo e dal linguag gio per immagini ecco scaturire la sor gente mitopoietica del divismo. Ma altro è dire divismo, ad esempio, cinematografico, altro è dire divismo televisivo. Il primo ha carattere oniri co; il secondo, carattere realistico. I di vi del cinema sono radiosi, grandi, re moti: i numina; quelli della televisione casalinghi e vicini: i penates. Al cine ma si addice la singolarità delle situa zioni, dei gesti, delle avventure amoro se e di vita esaltabili dai rotocalchi. Alla televisione no. I penates non de vono esse avventurosi; meglio se ap paiono, più che sui rotocalchi, nei « ca roselli », a contatto coi dadi da brodo, i biscotti, le bibite, gli elettrodomestici presenti in tutte le case. In ogni casa sarebbe semplice e affettuoso trovarsi una volta a cena un Corrado, un Lu po, un Simonetti, un Marchesi, una Masiero, una « signorina buonasera », mentre creerebbero, sì, splendore, ma anche scompiglio e disappetenza ner vosa una Sofia Loren o una Claudia Cardinale. Il divismo stesso del tipo numina si trasforma in divismo del tipo penates quando dal cinema o dal teatro passa in televisione. Anche al Delia Scala Story l’abitudine era fatta, nonostante la pochezza delle prime puntate e pro prio per la ripetizione, in TV, di vec chie cose già collaudate sul palcosce nico. I canoni erano ancora meglio che in Su e giù puntualmente rispettati, a co minciare dal titolo già nell’orecchio del pubblico, risaputo, ripreso dalla terminologia americaneggiante in cir colazione, a finire con il lenocinio â— sia detto senza malignità â— della rap presentazione, come sigla conclusiva, dei commenti immaginati proprio in famiglia. Erano penates la modestia di copione della protagonista, dei suoi costumi, la sfilata dei personaggi che il pubblico considera « suoi », la rievoca zione del passato, la variante di una Delia-Odette con la fede all’anulare e specialmente donna di casa… Il divi smo televisivo rispondeva qui a tutte le regole del gioco, compresa la serie. C’erano confidenza, abitudine. Forse era un male: ma almeno in TV questo divismo è realistico â— per quanto lo possa essere un fenomeno del genere â— e concorre a circoscrivere la fanta sticheria di quello dei numina alla Ro dolfo Valentino. Letto 3295 volte. Nessun commentoNo comments yet. 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