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Rivista d'arte Parliamone
La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

CINEMA: I MAESTRI: La congiura degli innocenti

1 Settembre 2016

di Filippo Sacchi
[da “al cinema col lapis”, Mondadori, 1958]

La signora Wigg, che tiene l’unico negozio di un idilliaco villaggetto sperduto tra molli boschi e pastorali pendici, corre affannata una sera ad avvertire il giovane pittore Grenbow che un ignoto signore è arrivato, su una sontuosissima macchina, per comparare in blocco, a qualunque prezzo, tutti quei quadri dei quali egli le riempie coscienziosamente la bottega, a titolo ipotetico di garanzia sui commestibili e le sigarette che la brava donna gli for ­nisce. L’acquirente, un grande collezionista che si è portato dietro apposta il suo critico di fiducia, è pronto con la penna e il libret ­to aperto degli chèques. « Allora, quanto facciamo? » II giovanot ­to si volta alla signora Jennifer Rogers, che è la bella donna del paese. «Cosa le piace, signora? » chiede. «Ma… mi piacciono le fragole. » « Allora » dice il giovanotto al suo mecenate « facciamo due cestini di fragole ogni stagione per la signora. Ma che siano primizie, mi raccomando. » « Non dubiti » risponde l’altro seria mente, annotando sull’agenda: “Primizie…”.

È chiaro che una scena simile non può accadere in una località qualunque di questo mondo. Ci vuole un paese speciale, un ter ­ritorio sui generis, abitato da esseri che hanno un modo di vivere e di vedere, e una misura di giudizio sulle cose assolutamente di ­versa da quella del resto della gente. E un paese interamente composto di originali, quella sottospecie balzana e svagata della grande razza dei lunatici, coloro che, bimbi ancora, la luna, che è il ca ­priccio stesso, vide una notte nella culla e disse: « Cet enfant me plaît ». Però sono tutti originali miti, inoffensivi, divertenti e simpatici, completamente assurdi e privi di senso pratico, e al tempo stesso umoristici e ricchi di fantasia come i bambini. E davvero, coi suoi prati, coi suoi boschi nei quali predominano faggi e betulle, cioè gli alberi in cui l’autunno accende le sue più fiabesche policromie, coi suoi adulti gioviali e un po’ pazzerelli che si in ­teressano di rane, di nastri e di focaccine ai mirtilli, questo è il mondo ideale per Johnny, il bimbo della signora Jennifer, un minuscolo maschietto di cinque anni, con occhi chiari e un tondo musetto da pancotto, per il quale ieri è oggi, e domani è ier l’al ­tro; ed è quasi allegorico che i titoli iniziali del film scorrano so ­pra uno sfondo di ingenui disegni bambineschi, dove uomini e case, alberi e bestie appaiono trasfigurati e ridotti alla stessa sigla elementare, nel beato panteismo dell’infanzia.

In un mondo come questo cosa succede se un giorno al margine di una macchia, sopra un letto di foglie dorate, si scopre il ca ­davere di un uomo? Ma naturalmente anche quel cadavere diven ­terà un gioco. Questa è l’enorme incredibile trovata di Hitchcock nella Congiura degli innocenti. Diventerà un gioco non nel solito senso poliziesco, cioè come ricerca del bandolo di un delitto ma perché tre almeno di quei candidi personaggi, la signorina Gray, zi ­tella inconsolabile, il vecchio rubizzo capitano Whitex, tanto poco di lungo corso come capitano che come cacciatore, e la signora Jen ­nifer, la vedovella (consolabile) madre di Johnny, hanno a turno ragione di credersi esecutori o complici involontari di quell’ucci ­sione, per cui a seconda che prevalgono i personali dubbi o timori o scrupoli dell’uno o dell’altro, l’infelice morto viene successiva ­mente seppellito e disseppellito più volte, sinché alla fine arriva il dottore a diagnosticare un naturale decesso per sincope

La materia sarebbe ostica, se non fossero appunto tutte anime candide, per cui anche le operazioni più funeree e repellenti di ­ventano faccende normali e quasi innocenti svaghi:   basterebbe la scena del bucato del morto, dove Hitchcock è arrivato addirittura al macabro per uso casalingo! È formidabile mestiere, eppure non e soltanto mestiere. C’è nell’impeccabile schema del meccanismo scenico un soffio segreto, un evasivo fermento che mette nel film un alone di estrosa e bizzarra poesia. È il modo come sono in ­ventati certi personaggi,   per esempio   il     bambino,     e soprattutto quella scombinata e adorabile espressione di donna che risponde nel mondo dei mortali al nome di Shirley MacLane.     E infine,     il modo con cui è interpretato il paesaggio. Mostrandosi per la prima volta grande paesista, Hitchcock ha immerso il film nella natura, nelle luci trascolorate degli immensi orizzonti autunnali,     nell’umi ­da fragranza dei boschi e delle foglie secche, nelle fredde iridiscenze dell’alba lunare. È la sua Sinfonia dell’Autunno.

 

 

 


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Bart